Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Errori” e “orrori”, appelli e negoziati, controversie e spiragli di pace, l’assuefazione globale e le lacrime del Papa. In un’affollata Sala degli Arazzi di Palazzo Borromeo, sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, guarda indietro ai dieci mesi della guerra in Ucraina “che ha avuto inizio con l’aggressione perpetrata dall’esercito della Federazione Russa”, ma anche in avanti, al futuro, chiedendo un coinvolgimento universale affinché possa realizzare una grande Conferenza di pace per l’Europa, sulla scia di quella di Helsinki del 1975 che frenò la Guerra fredda.
L’evento a Palazzo Borromeo
Il cardinale è intervenuto a “L’Europa e la guerra, dallo spirito di Helsinki alle prospettive di pace”, importante appuntamento promosso dall’Ambasciata in collaborazione con la rivista di geopolitica Limes e i Media vaticani. All’evento era prevista la presenza del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, positivo al Covid-19. Gli auguri di pronta guarigione al capo di Stato da parte dell’ambasciatore Francesco Di Nitto hanno aperto infatti la mattinata. Presenti cardinali, ambasciatori, politici, giornalisti, ai quali ha spiegato la genesi dell’incontro, Andrea Tornielli, direttore editoriale dei media vaticani, uno dei fautori insieme a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes. Proprio dai dialoghi e dal confronto quotidiano tra la testata e i media della Santa Sede, dal 24 febbraio impegnati a “descrivere la brutalità della guerra”, a raccontare le storie di vittime e profughi, a fare eco agli appelli del Papa e, a volte, ospitare “voci fuori dal coro”, è nata l’idea di organizzare un momento come quello di oggi di proposte, condivisione, riflessione.
Far “rivivere” lo spirito di Helsinki
La Conferenza di Helsinki e lo “spirito” da essa generato sono stati il centro dei vari interventi. Il richiamo a quell’evento storico, che vide anche la Santa Sede partecipare con una delegazione guidata dal cardinale Agostino Casaroli, non è recente ma è stato proposto già nei mesi scorsi – con una interessante coincidenza temporale – da Mattarella e Parolin e lo stesso Papa Francesco. Stamane, a Palazzo Borromeo, non si è voluto analizzare Helsinki ma confrontarsi “con creatività e coraggio” sulle possibilità di tornare al tavolo del negoziato.
Un auspicio che purtroppo si scontra con la realtà: “Oggi non ci sono le condizioni perché si ripeta quanto accaduto a Helsinki”, ha detto Parolin in esordio del suo intervento. Tuttavia bisogna lavorare per “far rivivere lo spirito” di Helsinki: “Abbiamo bisogno di affrontare questa crisi, questa guerra e le tante guerre dimenticate, con strumenti nuovi. Non possiamo leggere il presente e immaginare il futuro soltanto sulla base dei vecchi schemi, delle vecchie alleanze militari o delle colonizzazioni ideologiche ed economiche”.
Il rischio dell’assuefazione
L’intervento del Segretario di Stato si è snodato tra il magistero dei Papi, dalla Pacem in Terris alla Fratelli Tutti, e sulle cronache che dal 24 febbraio scorso riportano immagini cruente: civili morti, bambini sotto le macerie, soldati uccisi, sfollati, città semidistrutte al buio e al freddo. Dinanzi a questo dolore “c’è il rischio dell’assuefazione”, ha osservato il cardinale. In questo senso, ha sottolineato, le lacrime del Papa ai piedi dell’Immacolata sono “un antidoto potente contro il rischio dell’abitudine e dell’indifferenza”. Di Papa Francesco, il cardinale ha ricordato anche l’appello “affinché si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora inutilizzati” per arrivare a “una pace giusta”. Pace che sembra un obiettivo lontano, specie nelle ultime settimane, che seppur hanno registrato “qualche spiraglio” per un possibile riavvio del negoziato, hanno visto anche “chiusure e l’acuirsi dei bombardamenti”.
“Stiamo facendo tutto il possibile?”
Parolin ha dato voce al terrore, perché si è “tornati a parlare dell’uso di ordigni nucleari e di guerra atomica come eventualità possibili”, e alla preoccupazione “che in diversi Paesi del mondo si sia accelerata la corsa al riarmo, con ingenti investimenti di denaro” che dovrebbe essere impiegato invece per cibo, lavoro, cure mediche.
“Non possiamo non domandarci se stiamo veramente facendo di tutto, tutto il possibile, per porre fine a questa tragedia!”, ha affermato il segretario di Stato. Da qui un nuovo accorato invito a tutti i protagonisti della vita internazionale, sulla scia di quello del Papa nell’Angelus del 2 ottobre, perché “facciano tutto il possibile per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo”.
Una grande Conferenza europea
“Abbiamo bisogno di coraggio, di scommettere sulla pace e non sull’ineluttabilità della guerra… Perché non lavorare insieme per realizzare una nuova grande conferenza europea dedicata alla pace?”, ha domandato Parolin, suggerendo “un maggiore coinvolgimento, organizzato e preordinato, della società civile europea, dei movimenti per la pace, delle think-tank e delle organizzazioni che a tutti i livelli operano per educare alla pace e al dialogo”. Questo coinvolgimento, ha assicurato, potrebbe contribuire a “rinfrescare e ringiovanire quei concetti di pace e solidarietà che vengono richiamati, a volte ‘a gettone’ e secondo le convenienze”.
“Bisogna osare di più e impegnarsi di più”, ha insistito Parolin. “Non releghiamo il desiderio di pace che alberga nel cuore dei nostri popoli nella soffitta dei sogni irrealizzabili!”. Da parte sua la Santa Sede, ha concluso il cardinale, “è pronta a fare tutto il possibile” per favorire un percorso di dialogo e cooperazione. “Impegniamoci tutti a scrivere una pagina nuova della storia d’Europa e del mondo, per porre fine alla barbarie fratricida in corso in Ucraina”.
Riccardi: raffreddare il conflitto
L’impegno richiesto è un impegno immediato: “Non è mai troppo presto per preparare la pace”, ha detto Caracciolo, moderatore della tavola rotonda. Se l’evento di Helsinki si svolgeva in un modo diviso in due blocchi, ha annotato, oggi abbiamo “fronti frastagliati”. E dall’Ucraina il conflitto rischia di avere “riflessi mondiali”.
Ancora peggio, ha detto lo storico Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, si aggira “lo spettro che il conflitto si eternizzi come accade in Siria e con i conflitti del nostro mondo globale”. “Lo spirito di Helsinki è perduto e noi ci ritroviamo in una prospettiva di guerra senza pace… Helsinki fu il frutto di un compromesso, pure criticato all’epoca, e all’origine di una grande visione: l’inviolabilità delle frontiere, lo status quo, la cooperazione europea”. Questa visione è ciò che manca oggi. “Per superare la guerra dobbiamo dirci quale Europa vogliamo”, ha rimarcato Riccardi: “Per cominciare a guardare al futuro bisogna provare a congelare una guerra così intensa. Difficile cercare piste di pace senza visione e con una guerra che consuma le nostre energie”. Un primo passo sarebbe “un cessate il fuoco, almeno una tregua di Natale”. Ma, ha domandato Riccardi, “come proporre tregua e cessate il fuoco in un quadro in cui tutto è impegnato in armi e niente o poco nella diplomazia? Bisogna fermare il treno che va verso solo un binario, quello del conflitto. Raffreddare la guerra è necessario per guardare al domani”.
Descanzi: non dimenticare le tante guerre in Africa
Approfonditi e ricchi di spunti gli interventi degli altri relatori, a cominciare dal professor Matteo Luigi Napolitano, dell’Università degli Studi del Molise, che ha inquadrato storicamente la Conferenza di Helsinki, “faro della storia diplomatica”. Poi la professoressa Monica Lugato, docente alla Lumsa, che ha sottolineato come “l’unica strada per il rispetto della pace sia il rispetto del diritto, vero patrimonio comune dell’umanità”. “A volte ce lo dimentichiamo, ci sembra che non aiuti, invece è l’unico assetto che può garantire relazione internazionali ordinate e che ha sviluppato strumenti per il ripristino legalità quando essa è violata”.
Da Descalzi, infine, un focus sul cambiamento di equilibri provocato dalla guerra in Ucraina che, ha detto, “ci ha preso nel momento più debole dell’Europa, con una Russia che ha spostato l’asse di interesse energetico verso la Cina”. Il vecchio continente, ha detto l’ad di ENI, “non ha energia propria, ha una situazione di competitività interna e con gli Stati Uniti”. E adesso, tra sanzioni e rincari, è sempre più solo e “con una industria che si sta atrofizzando”. Dall’altra parte, c’è invece l’Africa che sta subendo per la guerra “problemi seri di energia e alimentazione”. “La situazione in Africa – ha denunciato Descalzi – sta peggiorando. Non hanno neanche l’energia sporca… Non c’è solo la guerra in Ucraina, ma le tante guerre in Africa. Noi ci preoccupiamo perché veniamo da 60-70 anni di pace, pensiamo che sia la normalità, ma non è così se non c’è una leadership profonda che guarda all’essere umano”. Anzi, “abituandoci alla pace, abbiamo atrofizzato quei muscoli intellettuali e spirituali che ci devono difendere in tempo di guerra”.