Chiesa Cattolica – Italiana

Parolin sull’Ucraina: “Si eviti qualsiasi escalation”

Ignazio Ingrao*

Eminenza, il beato Giovanni Paolo I parla ancora oggi al mondo segnato dalla guerra. “Vogliamo la pace” disse nel suo primo messaggio Urbi et Orbi e all’Angelus chiese di pregare per la pace in Medio Oriente. La Chiesa dice no ad ogni violenza, da qualsiasi parte arrivi.

“Citerei proprio anche io all’inizio questo punto del messaggio Urbi et Orbi, uno dei sei vogliamo con cui Giovanni Paolo I ha iniziato il suo pontificato. Leggo: ‘Favorire tutte le iniziative che possono tutelare e incrementare la pace nel mondo turbato’. Questa attenzione e questa preoccupazione per la pace è stato uno dei punti centrali del suo breve pontificato, legato soprattutto agli eventi di Camp David, quindi alla ricerca della pace tra ebrei e palestinesi, tra Israele e Palestina. Ci sono state varie iniziative di Papa Luciani, tra le quali soprattutto l’Angelus del 10 settembre 1978, dove il Papa ricordava quanto era successo a Camp David e soprattutto il fatto che i leaders avevano invitato a pregare: quindi non soltanto a lavorare ma anche ad affidare al Signore questo impegno per la pace. È stato uno dei punti qualificanti del suo pontificato. E ne aveva già parlato al Corpo diplomatico qualche giorno prima, dicendo che la Chiesa non ha soluzioni concrete da proporre però ha uno spirito che può trasmettere, alla luce del quale risolvere le grandi problematiche del mondo di oggi. E vorrei concludere questo punto citando Papa Francesco nella prefazione che ha fatto ai documenti del pontificato di Luciani dicendo che Giovanni Paolo I ha mostrato quanto la pace stia a cuore alla Chiesa”.

Giovanni Paolo I pastore vicino alla gente, ai lavoratori, partendo dagli ultimi, come Papa Francesco. Anche su questo il suo messaggio è attualissimo: mettere i poveri al centro, in un mondo segnato da crescenti disuguaglianze.

“Ricordo quello che disse il Patriarca di Venezia, quando gli chiesero se c’era ancora un ricordo del Patriarca Luciani a Venezia. Anche perché quelli sono stati anni segnati da molte tensioni: erano gli anni del post Concilio, della contestazione eccetera, e Luciani si è trovato in mezzo a tutta questa situazione, però il Patriarca disse: ‘Chi lo ricorda di più è la gente semplice’. Per esprimere proprio questa che è stata una delle caratteristiche principali di Papa Luciani: essere un pastore vicino alla gente e un pastore attento alle necessità concrete delle persone, forse anche per il suo passato, forse anche per l’ambiente di vita, un ambiente segnato dalla povertà, dalla ristrettezza, dall’emigrazione. È stato davvero un pontefice che ha dedicato attenzione ai poveri e che già voleva una Chiesa povera al servizio dei poveri, non soltanto un servizio di carità personale ma anche di carità planetaria. In questo Luciani si è ispirato soprattutto al magistero montiniano e in particolare all’enciclica Populorum Progressio”.

Il beato Giovanni Paolo I è un modello di umiltà per i pastori e per tutti i cristiani?

“Sì abbiamo tanto bisogno di umiltà nel nostro mondo. È la virtù principale. Diceva: qual è la prima virtù di un pastore? L’umiltà. E la seconda? L’umiltà. E la terza? L’umiltà. E la quarta ancora l’umiltà. Certamente questa è stata la sua caratteristica principale. Da un punto di vista personale ha vissuto fino in fondo questa virtù, l’ha scelta come motto. Nel suo motto auspicava l’humilitas di sant’Agostino e di san Carlo Borromeo. Vorrei citare a questo riguardo due frasi: una dell’allora cardinale Ratzinger che ricordò che Luciani non ha mai cercato posti di rilievo nella Chiesa e quando gli sono capitati addosso – lo disse anche per quanto riguarda il pontificato: ‘Non me l’aspettavo’ – li ha sempre vissuti come un servizio. E poi Benedetto XVI quando disse che l’umiltà è l’eredità spirituale che Giovanni Paolo I lascia al mondo”.

Eminenza, anche Lei è veneto come Giovanni Paolo I. Ha qualche ricordo personale di Luciani?

“Io ero giovane, avevo 23 anni, ero ancora seminarista e non ho mai incontrato Papa Luciani.  Però ricordo soprattutto la sorpresa: questa è stata la cifra con cui ho vissuto la sua elezione, perché nessuno si aspettava che in 26 ore sarebbe stato fatto il Papa quando i pronostici dicevano che ci sarebbe voluto chissà quanto tempo e quanta sofferenza. E poi naturalmente sorpresa per la notizia della sua morte. Mi ricordo che dissi: ma non è appena morto il Papa? E invece era proprio Giovanni Paolo I che ci aveva lasciato”.

Abbiamo parlato di Giovanni Paolo I e la pace. Oggi assistiamo alla delicata posizione della Chiesa sulla guerra in Ucraina tra bisogno di invocare la pace e necessità di distinguere le responsabilità. Come Segretario di Stato come guarda a quello che sta accadendo?

“Guardo con estrema preoccupazione perché questa guerra si sta dilungando per un lunghissimo tempo, sono già passati sei mesi da quando è iniziata questo conflitto con tutto lo strascico di orrori che questa guerra comporta: nel recente comunicato della Santa Sede si utilizzavano aggettivi molto forti per qualificarla, credo che rispecchino anche la mia personale posizione e tutta la posizione e il sentire della Santa Sede, cominciando dal Santo Padre. Soprattutto la preoccupazione per il fatto che non si intravedono prospettive e possibilità di soluzione attraverso un negoziato. Questo è quello che ci fa più inquietare e preoccupare. Noi restiamo sempre disponibili, nel senso di non chiudere la porta a nessuno, cercando di offrire a tutti quelli che sono implicati, ai protagonisti, la possibilità di trovare un terreno neutro nel quale incontrarsi e nel quale cercare una soluzione che sia, come diceva Giovanni Paolo I a proposito degli accordi di Camp David, ‘una soluzione giusta e completa’. Cioè una soluzione che sia giusta nel senso che soddisfi le esigenze di tutti, cosa difficilissima da fare, un po’ la quadratura del cerchio, ma almeno la tensione ci deve essere, e che sia completa, cioè che risolva tutti i problemi, in modo tale che non si dia adito a nuove problematiche e a nuovi conflitti”.

Gli ispettori dell’Aiea in queste ore sono a Zaporizhia. C’è una preoccupazione diffusa per una catastrofe nucleare.

“L’appello è che si eviti qualsiasi escalation, davvero, soprattutto per quanto riguarda l’uso dell’atomica, sapendo a quali conseguenze si andrebbe incontro se ci fosse anche per sbaglio un passo falso in quella direzione. L’appello è sempre quello: alla saggezza, l’appello alla moderazione, alla ricerca di soluzioni pacifiche. E vorrei ripetere quello che hanno detto i papi, quello che ha detto Pio XII e che hanno ripetuto tutti i papi. Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra e lo stiamo sperimentando”.

Quali priorità si sente di indicare al Parlamento che uscirà dalle prossime elezioni politiche?

“Io credo che le priorità siano sempre le stesse: le priorità di una buona politica, cioè di una politica che si metta a servizio del Paese e delle esigenze concrete del Paese. Sono tante, e sono già state elencate, ma vorrei che fosse quella la preoccupazione di chi rappresenterà il popolo italiano in seguito alle prossime elezioni. Io vorrei proprio insistere su questo: stiamo attenti, ascoltiamo, dovrebbe esserci un processo sinodale anche nella politica italiana, nel senso dell’ascolto. Ascoltiamo davvero quelle che sono le esigenze, e sono tante, della nostra gente e cerchiamo di dare delle risposte concrete, cercando di mettere insieme le forze. Credo che una delle soluzioni ai nostri problemi e ai problemi del mondo, pur nella distinzione delle posizioni, sia cercare delle convergenze su quello che può essere veramente utile per il Paese”.

Il suo è un appello a non dividersi anche dopo le elezioni e a lavorare insieme sulle emergenze?

“Questa secondo me dovrebbe essere la linea guida nelle rispettive posizioni. Nessuno chiede a nessuno di rinunciare ai propri punti di vista però credo che ci sono degli spazi in cui ci si può mettere insieme e si può collaborare”.

Lei avverte la necessità per i cattolici di un impegno particolare?

“Certo i cattolici, lo abbiamo già detto tante volte, devono tornare ad esprimere la loro posizione all’interno del dibattito politico: che parlino e che siano anche tenuti in considerazione perché io credo che i cattolici per la loro storia e per i contenuti delle loro proposte – pensiamo alla dottrina sociale della Chiesa – possono dare davvero delle risposte effettive ed efficaci ai problemi del Paese e anche a un certo modo di vivere la politica. Evidentemente quando si è all’interno di un partito bisogna accettarne anche la disciplina e le linee guida. Però credo che una posizione più autonoma e più profetica i cattolici potrebbero averla”.

*Vaticanista del Tg1

 

 

 

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