Massimiliano Menichetti
Accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Il segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, richiama per il viaggio del Papa a Malta, i quattro verbi che Francesco indica per abbracciare chi fugge da guerre, persecuzioni, violenze o cerca un futuro migliore, invitando l’Europa tutta alla condivisione e responsabilità. Centrale nella visita l’annuncio del Vangelo per dare “ragioni di vita e di speranza di cui abbiamo tanto bisogno nel mondo di oggi”. Il viaggio, rinviato nel 2020 a causa dell’epidemia da COVID-19, si svolge durante la guerra in Ucraina. Il cardinale, che come di consueto sarà a fianco del Papa, ribadisce il dolore di Francesco per il conflitto in corso e l’auspicio che tacciano le armi.
Eminenza con che spirito il Papa si appresta a partire?
R. – Certamente questo è un viaggio atteso proprio perché è stato rimandato già una volta a causa del covid e nello stesso tempo avviene in questo contesto di guerra che sta preoccupando enormemente il Santo Padre. Quindi immagino che compirà questo viaggio con questo dolore forte che ha già manifestato in tante occasioni in questi mesi, in queste settimane per quanto sta succedendo in Ucraina e ripeterà, immagino, il suo appello perché si fermino i combattimenti, tacciano le armi e si continui a dialogare perché in effetti, già delle trattative, dei negoziati sono in corso anche se non sembrano essere arrivati a nessun risultato concreto. Quindi sarà uno spirito di dolore e di partecipazione della sofferenza di quella popolazione ed un invito a mettere fine alla guerra.
Malta si trova in mezzo al “deserto blu”, come ha definito il Papa il Mediterraneo. Un luogo che richiama il dramma delle migrazioni. L’Europa sta facendo molto per i profughi ucraini, cosa può fare di più per quanti attraversano il Mare Nostrum in cerca di speranza?
R. – Intanto ringraziamo il Signore proprio perché stiamo assistendo davvero ad una gara di solidarietà nei confronti dei profughi, dei rifugiati dell’Ucraina. E’ davvero ammirevole quanto i vari Paesi d’Europa stanno facendo nei loro confronti. Spero che questa tragica esperienza possa davvero anche aiutare a far crescere, ad aumentare la sensibilità anche nei confronti dell’altra migrazione, quella che viene da sud e mi pare che a questo riguardo non ci siano alternative ad una collaborazione e a una condivisione delle responsabilità dei “pesi”, chiamiamoli così, fra tutti i Paesi europei, soprattutto tra quelli dell’arrivo, del primo arrivo e quelli poi di transito e destinazione. Allora, si tratta prima di tutto, della priorità – il Papa l’ha spesso ripetuto – è salvare vite, salvare vite in mare e questo si può fare aumentando i percorsi disponibili per una migrazione regolare. E poi più a monte ancora lavorare perché nessuno sia costretto a lasciare la sua patria a causa di situazioni di conflitto, di situazioni di insicurezza o di sottosviluppo. Quindi fare degli investimenti dei Paesi di provenienza soprattutto in termini di sviluppo economico, di stabilità politica, di buona governance, di rispetto dei diritti umani. E poi insieme coniugare quei quattro verbi che il Papa ci ha indicato: accogliere, proteggere, promuovere e integrare, farlo davvero insieme. Nessuno Stato può accollarsi la responsabilità da solo. C’è bisogno di un impegno comune che deve essere anche condiviso con la società civile, compresi anche i gruppi religiosi e la Chiesa cattolica in particolare.
Il Papa, dopo Grecia e Cipro, giungerà sull’isola del naufragio di San Paolo. Un’altra tappa sulle orme del grande evangelizzatore delle Genti. Siamo entrati nel decimo anno di questo Pontificato: che bilancio fare, guardando in particolare alla Chiesa in uscita che desidera Francesco?
R. – Mi pare significativo che in questo decimo anno di pontificato, ci sia questo viaggio a Malta, perché Malta è legata alla figura di San Paolo che è l’evangelizzatore per eccellenza e se c’è una nota che con insistenza ha caratterizzato il pontificato di Francesco è stata proprio quella del richiamo, dell’invito alla Chiesa di farsi missionaria, di diventare sempre più missionaria, di portare l’annuncio del Vangelo a tutti, in ogni situazione. Quindi questa uscita missionaria con due caratteristiche che mi pare sono tipiche sottolineature di Papa Francesco, cioè andare verso le persone concrete, incontrarle là nelle situazioni i cui si trovano a vivere che possono essere situazioni positive, negative o situazioni critiche. Certo l’invito suo è proprio quello di una conversione missionaria e per convertirsi ci vuole tempo e buona volontà. Ma io credo che questo richiamo ha inciso profondamente sulla vita della Chiesa e che quindi c’è da parte dei più questa volontà di mettersi in questa direzione per annunciare il Vangelo agli uomini di oggi e dare ragioni soprattutto attraverso l’annuncio del Vangelo, ragioni di vita e di speranza di cui abbiamo tanto bisogno nel mondo di oggi.
Papa Francesco sarà il terzo Pontefice a visitare Malta, un Paese che ha una Chiesa che affronta le tipiche sfide delle società occidentali. Come viverle coniugando insieme identità e dialogo?
R. – Anche la Chiesa di Malta si trova di fronte alle problematiche che deve affrontare un po’ la Chiesa in tutti i Paesi occidentali. C’è una grande tradizione religiosa e di prossimità, di vicinanza alla gente e alle sue necessità, basti pensare alle tantissime opere che esistono a Malta per quando riguarda la carità, l’attenzione agli ultimi, l’attenzione ai malati, ai disabili e poi tutta l’educazione, il tema stesso dell’emigrazione che evocavamo anche prima e l’attenzione della Chiesa. Dall’atra parte un certo venir meno della pratica religiosa e un po’ uno sgretolarsi di quelli che erano i valori cristiani sui quali si fondava la società. Credo che la risposta è quella che ricordavamo prima, che si può – e Papa Francesco naturalmente la propone – formulare nel binomio discepolo-missionario. Dove, a mio parere, discepolo indica l’identità, una forte identità cristiana che nasce dal rapporto personale con Gesù Cristo, dalla sequela di Gesù Cristo, il cristiano si identifica e la sua identità è essere discepolo di Gesù Cristo e nello stesso tempo – il discepolo-missionario – questa apertura che deve tradursi soprattutto attraverso un dialogo con il mondo di oggi. Un dialogo che sia nello stesso tempo di accoglienza e di criticità anche per quelli che sono gli aspetti meno positivi della nostra realtà e della nostra società.
L’85 per cento della popolazione di Malta è cattolica. Il Papa va per confermare nella fede, qual è l’auspicio?
R. – L’auspicio è che Malta si lasci confermare nella fede e che questa fede si traduca in testimonianza, in una presa di coscienza forte della necessità che hanno i cristiani maltesi di testimoniare la loro fede nel senso dell’annuncio. Potremmo ricordare quello che diceva Paolo: “Opportune et importune”, in ogni momento, in ogni situazione sia che piaccia o che non piaccia, io annuncio Gesù Cristo, annuncio il suo Vangelo. Quindi una testimonianza che vada in quel senso e una testimonianza che vada nel senso di incarnare la propria fede proprio nella carità e nell’accoglienza e nei confronti degli altri.