Come ogni anno dal 1997, l’11 aprile ricorre la Giornata Mondiale dedicata alla malattia neurologica. Paolo Calabresi, del Policlinico Gemelli: “La ricerca va avanti, con i farmaci e lo sport si può ritardare lo sviluppo del morbo”
Eliana Astorri e Beatrice D’Ascenzi – Città del Vaticano
Il Parkinson è la malattia neurodegenerativa progressiva più diffusa, dopo l’Alzheimer, in tutto il mondo, Italia compresa. La Giornata Mondiale dedicata a questa patologia, che si celebra oggi, vuole sollecitare maggiore attenzione da parte della società nei confronti di questa patologia e di chi ne è affetto. Celebrata per la prima volta nel 1997, la Giornata cade in occasione dell’anniversario della nascita di James Parkinson, il medico inglese che nel 1817 descrisse per la prima volta la “paralisi agitante”.
Conoscere la malattia
Le stime parlano di circa 300 mila italiani affetti da malattia di Parkinson o da parkinsonismi, termine con cui si indicano forme analoghe, ma più rare, della patologia. Un’epidemiologia molto importante, che come spiega a Vatican News il dottor Paolo Calabresi, direttore dell’UOC di Neurologia del Policlinico Gemelli, è seconda in Italia solo all’Alzheimer. “Possiamo dire che ogni anno circa sei mila italiani si ammalano di questa malattia – racconta Calabresi – la previsione nel tempo, essendo una malattia correlata con l’invecchiamento, è che questi numeri in futuro possano aumentare”. I sintomi più comuni sono i ‘tremori a riposo’, a cui si possono aggiungere un visibile rallentamento dei movimenti, una rigidità nell’espressione facciale e disturbi nella deambulazione. Inoltre, a questi sintomi si possono associare problemi legati al sistema nervoso, come difficoltà cognitive, ansia e depressione.
Il ruolo dei farmaci e della ricerca
A tutt’oggi, il motivo per cui il Parkinson si sviluppa non è noto. Molti esperti ritengono che la malattia sia il risultato dell’interazione tra fattori ambientali e una predisposizione genetica. Negli anni la ricerca ha però affinato molti strumenti terapeutici che permettono ai malati di tenere sotto controllo i sintomi e migliorare la qualità della vita. “Abbiamo ottime terapie sintomatiche – continua il medico – tuttavia nello studio in cui siamo coinvolti come Policlinico Gemelli, abbiamo anticorpi monoclonali diretti contro una proteina anomala, che è tipica di questa malattia, l’alfa sinucleina”. Una terapia, dunque, ancora in fase di sperimentazione, non ancora inserita nella comune farmacologia clinica, che, però, secondo Calabresi, potrebbe cambiare il tenore di vita di molti pazienti. “Ci sono studi che speriamo possano dare risultati positivi per questa terapia, che non sarebbe più sintomatica, ma in grado di ritardare o persino bloccare la progressione della malattia”.
Le attività fisica e culturale come prevenzione
Quello che emerge, soprattutto nella fase precoce del Parkinson, è il ruolo che l’attività fisica svolge nel ritardare i malesseri legati al morbo. Secondo Paolo Calabresi, lo sport e il movimento assumerebbero un effetto protettivo nei pazienti: “Abbiamo investito molto nello studio dell’efficacia dell’esercizio fisico e quello che abbiamo visto è che addirittura sembra ridurre i disturbi della malattia. L’invito che quotidianamente facciamo ai nostri pazienti è quello di fare passeggiate all’aperto, anche con sforzo aerobico.” Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda la socialità e l’attività intellettuale. “Una vita di relazione – conclude il neurologo – e un’attività culturale sembrano essere, dai dati della letteratura, molto importanti per proteggere dai primi sintomi. Non bisogna riservare attenzione solo ai farmaci, ma porre un impegno particolare nel curare l’attività fisica e la vita di relazione.”