Chiesa Cattolica – Italiana

Paralimpiadi, si spegne a Tokyo la fiamma olimpica

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Sono tante le istantee dei Giochi Paralimpici di Tokyo. Le lacrime per i successi raggiunti che nascondono i drammi vissuti nei mesi precedenti, come nel caso della schermitrice Bebe Vio alle prese con un’infezione e il timore di una nuova amputazione, o la gioia dell’atleta di Capo Verde Keula Nidreia Pereira Semedo, quarta nelle semifinali dei 200 metri, categoria non vedenti, ma prima nel cuore della sua guida che al termine della gara l’ha chiesta in sposa. Le ultime pose ritraggono Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Contrafatto sul podio colorato d’azzurro. Tre medaglie sulla pista di atletica che già all’Italia aveva regalato sogni incredibili all’Olimpiade. Tre donne con storie dure alle spalle: gli incidenti stradali che cambiano direzione alla vita e, nel caso di Monica Contrafatto, un’esplosione in Afghanistan che non la uccide ma la segna per sempre. A quel Paese lei dedica la sua vittoria. “L’Afghanistan – afferma – mi ha tolto qualcosa ma in realtà mi ha dato tanto”

Luce sulla disabilità

Sono i Giochi dell’inclusività, della determinazione, della tenacia. Se si pensa a quello che ogni atleta ha vissuto si comprende la straordinarietà delle loro imprese. Quella che si chiude a Tokyo è la sedicesima edizione, circa quattromila gli atleti in gara appartenenti a 153 Paesi tra questi anche il martoriato Afghanistan. Due gli sportivi presenti: Zakia Khudadadi, prima lottatrice afghana di taekwondo – e seconda donna di sempre del suo Paese – a partecipare alle Paralimpiadi e Hossain Rasouli che ha partecipato al salto in lungo. Exploit dell’Ucraina e anche dell’Azerbaigian, pioggia di medaglie anche per l’Italia. Paul Gabriel Weston fa parte di Atlethica Vaticana ed è un appassionato di Giochi Paralimpici:

Ascolta l’intervista a Paul Gabriel Weston

Negli ultimi anni l’attenzione mediatica nei confronti dei Giochi Paralimpici sembra essere cresciuta. E’ una percezione giusta?

A livello italiano sicuramente è cresciuta. Direi che questo è merito innanzitutto degli atleti paralimpici che hanno fatto delle performance egregie. Poi alcuni di loro sono divenute delle icone popolari, penso a Bebe Vio o in passato ad Alex Zanardi. A livello internazionale i giochi di Londra hanno segnato la svolta, sono stati ben organizzati e lo dico perché ho chiesto e ottenuto di fare il volontario. C’era una grande partecipazione di gente anche perché in Inghilterra c’è molta attenzione alla disabilità. A me fa piacere che i Giochi stiano diventando più popolari, più seguiti, più utilizzati per veicolare i messaggi, più attrattivi per gli sponsor ma dall’altro lato vedo il pericolo che le Paralimpiadi si prestino a giochi di potere, esattamente come avviene per le Olimpiadi. Per quanto riguarda l’Italia, il fatto di avere vinto tante medaglie a Tokyo ha rappresentato un’impresa assolutamente fondamentale per la società perché ha mostrato che gli atleti sanno fare bene quello che in realtà fanno nella vita e dunque anche nello sport. Questo chiaramente fa capire qual è il peso, la responsabilità e il ruolo nella vita quotidiana delle persone che sono portatrici di vari tipi di disabilità.

Abbiamo parlato di visibilità ed è importante soprattutto per lavorare bene in futuro, non solo in ambito sportivo ma per una crescita culturale riguardo al tema della disabilità. Personalmente per quale motivo ricorderà questa edizione? Cosa ha colto?

Direi che nella squadra italiana, sicuramente ho colto lo spirito di squadra. Ci sono stati episodi particolarmente significativi, di fratellanza molto bella.

Le Paralimpiadi arrivano in un momento storico di grande difficoltà, soprattutto per un paese come l’Afghanistan. Tutti guardiamo a questa realtà con una grande preoccupazione, gli atleti afghani che hanno partecipato a questa competizione che testimoni sono stati?

Al di là della disabilità, sono stati testimoni di determinazione, hanno voluto partecipare nonostante tutte le difficoltà della guerra, anzi in questo caso la guerra è stata sconfitta dalla pace. La vicenda di questi atleti che sono arrivati passando per altri Paesi, riuscendo a scappare da Kabul prima che fosse troppo tardi, è un modo per dire: “noi ci siamo e rappresentiamo il nostro Paese”.  Sicuramente questa è una grande risposta alla guerra.

C’è una storia in particolare che l’ha colpita più di altre in questi Giochi?

Una storia in particolare no, però vorrei raccontare una cosa che riguarda il mondo paralimpico. E’ la storia del nipote di un mio compagno di squadra che ha avuto un incidente di moto. Era molto depresso ma poi ha incontrato casualmente Alex Zanardi che gli ha detto che con il suo fisico poteva fare grandi cose, solo se si fosse impegnato. Gli ha donato la sua handbike. E’ diventato molto bravo, ha vinto anche delle gare e credo che questo “passaggio di testimone”, perché Zanardi ha poi avuto il grave incidente, rappresenta sicuramente la capacità da parte del grande olimpionico di offrire un messaggio di speranza ad una giovane che in questo modo si è completamente riscattato ed è diventato un’altra persona. Credo che questa, anche se non rientra nei Giochi Paralimpici, sia comunque una storia recente che io mi sento di testimoniare.  

Lei è anche un’atleta di Athletica Vaticana, questa esperienza personale ha cambiato il suo sguardo verso lo sport o verso le Olimpiadi e i Giochi Paralimpici?

Sì in maniera decisiva perché mi ha messo di fronte a degli esempi evidenti di tolleranza di integrazione. Io stesso, correndo in alcune manifestazioni nelle quali partecipano atleti di tutte le provenienze, di tutte le religioni, mi sono reso conto di quanto sia efficace l’esempio che dà lo sport, quando si parte assieme ci si incoraggia vicendevolmente, poi all’arrivo ci si abbraccia e solo dopo viene in mente che magari la persona che hai davanti non è cattolica, non è cristiana, non è della tua etnia, non parla la tua lingua ma ti accomuna il fatto che per arrivare con te in quel momento, con lo stesso tempo, ha fatto la tua stessa fatica, ha sudato il tuo stesso sudore, ha lottato. Questa è una cosa bellissima! Poi è bellissima ancora di più la staffetta. Noi abbiamo la fortuna, nella nostra squadra, di avere atleti musulmani che sono venuti come migranti e sono stati poi accolti in alcune comunità, fanno parte della squadra come partecipanti. Ed è bello fare con loro la staffetta perché è un momento in cui ci si dimentica di chi si è, si sta tutti assieme, si dimenticano anche le storie precedenti che, nel loro caso, spesso sono storie di desolazione, di attraversamento di deserti, di persone che hanno perduto. C’è anche da dire che c’è un aspetto importante della mia esperienza con i compagni di squadra paralimpici, prima di conoscerli avevo un atteggiamento compassionevole nei loro confronti. Adesso invece mi sento “disabile” anch’io, nel senso che ho scoperto che la disabilità non è solo quella fisica, ma tutti siamo disabili. Vorrei saper sciare ma non lo so fare, ad esempio.  Accettare i propri limiti significa riconoscere di essere tutti parte di un’unica società. Se noi sapessimo metterci l’uno al posto dell’altro sicuramente saremmo in grado di pensare meglio la nostra società e di vivere in maniera più responsabile anche a favore dei nostri figli dei nostri nipoti.

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