Anna Poce – Città del Vaticano
“Un nuovo Paraguay ha bisogno di laici impegnati con Cristo e la sua Chiesa”, per superare “la disuguaglianza sociale strutturale, i vizi della corruzione, dell’impunità, dell’individualismo egoista, dell’avidità che emargina, esclude e uccide gli altri per mancanza di salute, educazione, terra, casa e lavoro”. Scrive così la Conferenza episcopale paraguayana, in una lettera pastorale, diffusa il 25 dicembre sul suo sito web, indirizzata, nell’Anno del Laicato, ai sacerdoti e agli altri ministri della Chiesa, agli operatori pastorali, ai membri dei movimenti, degli istituti di vita consacrata e di tutte le associazioni di vita cristiana, ai fedeli di tutte le diocesi e a tutti coloro che sono interessati al cammino della Chiesa.
Essi, rivolgendosi ai cattolici “come un popolo” e citando la Lumen Gentium, Costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, chiamano i laici ad impegnarsi nella promozione del Regno di Dio, e ricordano che l’Anno del Laicato coincide con l’evento dell’Assemblea ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi, svoltasi a novembre, e con l’inizio del Sinodo sulla sinodalità (2021-2023), nella sua fase di ascolto e consultazione del popolo di Dio. E “sinodalità” – ricordano i presuli – significa “camminare insieme”, laici, pastori e comunità religiose.
Lievito nella massa, sale della terra e luce del mondo
La missione del popolo di Dio – spiegano – è la santificazione del mondo, composto da clero, consacrati e laici. “Ognuno deve contribuire a rendere presente Cristo secondo la sua dignità e il suo carisma, esprimendo insieme l’unità nel Battesimo e vivendo la vocazione di ciascuno di essere, in Cristo, sacerdote, profeta e re”.
I presuli descrivono come “necessario e urgente” il protagonismo dei laici, in una Chiesa in uscita, missionaria, desiderosa di contribuire a trasformare peccati come la corruzione, la disuguaglianza, la violenza silenziosa che nasce dalla povertà che esclude e scarta i più deboli. I laici, che sono la maggioranza nella Chiesa, sono coinvolti in queste realtà, ed è il momento che essi assumano un ruolo di primo piano e approfondiscano la loro formazione per “essere lievito nella massa, sale della terra e luce per la trasformazione della società”.
Non devono “aver paura di camminare per le strade, di entrare in ogni angolo della società, di raggiungere le periferie della città, di toccare le ferite della nostra gente…”, afferma ancora la Cep, di essere una Chiesa “che si rimbocca le maniche per andare incontro all’altro”. “La vocazione dei laici è santificare l’ambiente – prosegue la lettera pastorale -, impregnarlo del Vangelo. Per questo è essenziale non separarsi dal mondo, ma vivere in esso e, a partire da esso, evangelizzare”.
Invitando i laici impegnati nell’amministrazione pubblica e nella politica, così come in tutti i settori della vita sociale, a non sottrarsi alla responsabilità di “trasformare la realtà e creare strutture giuste secondo i criteri del Vangelo”, i presuli esortano anche le comunità parrocchiali e diocesane a sostenere coloro che si impegnano in questi campi, non per il “profitto” che portano, ma per la vocazione che osano assumere.
La grande sfida per tutti è quella di affrontare la realtà della società, sempre più violenta, sulla base della fede cristiana, da battezzati. La Dottrina sociale della Chiesa, infatti, – sottolineano – è uno strumento prezioso per trasformare la politica, l’economia, la cultura e l’educazione, per essere costruttori di giustizia e di pace. I cristiani di cui Cristo ha bisogno – ribadiscono i vescovi – devono incarnare quei valori ed evidenziare quelle virtù che contribuiscono alla comunione, al dialogo, alla fraternità e al bene e alla casa comune.
La formazione dei laici
Aspetto fondamentale su cui si soffermano è poi la formazione del laicato, che deve essere continua. Senza di essa – affermano i presuli – si corre il rischio di restare paralizzati nel cammino ecclesiale. La formazione deve essere integrale e considerare l’aspetto umano e spirituale, per aiutare la persona ad essere matura in tutte le sue dimensioni (intellettuale, affettiva, spirituale, sociale, pastorale); non deve essere occasionale, ma programmata e sistematica. E il primo ambito in cui deve essere esercitata è all’interno della propria famiglia, della Chiesa domestica e del nucleo fondamentale della società.
Compito della Chiesa, dunque, è quello di formare buoni cittadini, impegnati nelle realtà del mondo come discepoli missionari del Signore, che non si ritirino nelle chiese e non restino in attesa di direttive e slogan ecclesiastici per lottare a favore della giustizia e di condizioni di vita più umane per tutti. In qualità di battezzati, “siamo tutti profeti consacrati – ricordano i vescovi – chiamati ad annunciare la Parola di Dio, a dare pubblica testimonianza di Gesù Cristo, ad essere promotori della verità, della giustizia e dell’amore, a denunciare l’ingiustizia e la menzogna, a respingere tutto ciò che danneggia la persona e la società”.