Papua Nuova Guinea, le testimonianze delle realtà ecclesiali

Vatican News

Nel santuario di Maria Ausiliatrice a Port Moresby il Papa ha ascoltato le testimonianze una suora, di un sacerdote e di rappresentanti dei catechisti e del Sinodo sulla sinodalità

Lorena Leonardi – Città del Vaticano

La sfida di comunicare agli indigenti e a coloro che si trovano nelle periferie, la fatica di integrare fede cattolica e identità culturale, l’impegno di trasmettere ai giovani l’entusiasmo della missione, la sinodalità da intessere alla cultura in evoluzione della Papua Nuova Guinea. Sono fondamentali i temi emersi dalle testimonianze – di una suora, un sacerdote, di rappresentanti dei catechisti e del Sinodo – che Papa Francesco ha ascoltato nel santuario di Maria Ausiliatrice a Port Moresby, nel corso dell’incontro con i vescovi della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi e i catechisti che si è svolto nel pomeriggio di oggi, mattinata in Italia, sabato 7 settembre.

In prima linea per le donne

A intervenire per prima è stata suor Lorena Jenal, che nella diocesi di Mendi segue le attività della Casa della speranza, luogo di rifugio e guarigione per le vittime di accuse di stregoneria e malefici. Grazie a un lavoro concertato con i leader delle comunità, le famiglie, le diverse confessioni, i difensori dei diritti umani, la polizia, i funzionari dei tribunali e gli avvocati, ha spiegato la consacrata, si opera “per proteggere le donne da false accuse e da estorsioni”. L’approccio olistico con consulenza, terapia, aiuto medico, psicologico, finanziario ed emotivo ha finora consentito di aiutare 250 donne, tra cui Maria, arrivata nel 2017 dopo essere stata torturata e ustionata “in modo così grave che non sapevamo se avremmo potuto salvarle la vita”. Anche se i familiari non le facevano visita “per paura e vergogna”, ricorda la consacrata, “li abbiamo incontrati ogni settimana e informati dei progressi”, finché non si sono resi conto della sua sofferenza. Rientrata a casa e giudicata poi innocente dal tribunale, Maria, ha riferito la suora, è diventata “testimone dell’importanza dell’amore e del perdono tra tutte le persone: oggi lavora nel nostro team e si batte per i diritti umani, la dignità e l’uguaglianza delle donne”.

Una faticosa integrazione

La propria “vocazione tardiva” e un percorso da seminarista denso di ostacoli sono stati raccontati da don Emmanuel Moku, oggi 64enne e ordinato sacerdote a 52 anni. Al centro della sua testimonianza, i problemi vissuti da seminarista in un contesto di forte pressione. “Quando ho scelto il sacerdozio anteponendolo alle mie norme culturali, sono stato ridicolizzato e rifiutato”, venendo definito “uno spreco di risorse umane”, ha evidenziato, perché “il mio clan si aspettava che un uomo diventasse padre e lavorasse per sfamare la sua gente”. Anche se dopo l’ordinazione la situazione è migliorata, non mancano le sfide in un contesto in cui è faticoso integrare la fede cattolica con l’identità culturale, soprattutto, sottolinea, “per comunicare il duplice scopo del matrimonio – compagnia per la vita e cura ed educazione dei figli – e per sostenere i giovani che faticano per potere accogliere la propria vocazione religiosa”.

A contatto con la gente

Per James Etariva, catechista 68enne proveniente dal distretto di Goilala, nella provincia centrale di Papua Nuova Guinea, la cosa più bella è “camminare per i villaggi e servire la gente, incoraggiare i bambini nella loro catechesi ed essere in amicizia con tutti”. Nei lunghi anni di servizio  – ha iniziato nel 1982 nella parrocchia della Sacra Famiglia nell’arcidiocesi di Port Moresby per diplomarsi come catechista a tempo pieno nel 1997 – ha affrontato numerose difficoltà, dalla mancanza di risorse alla conciliazione con le responsabilità famigliari, passando per gli spostamenti, anche a piedi, per raggiungere le comunità più lontane.

Crescere nella sinodalità

Ha infine presentato alcune riflessioni personali sulla sinodalità Grace Wrakia, laica, proveniente da una famiglia cattolica di terza generazione e madre di tre figlie che ha cresciuto da sola. Parlando della partecipazione al Sinodo sulla sinodalità come di “uno dei più grandi onori” della sua vita, Grace si è chiesta fino a che punto tale metodo possa trovare espressione nella “cultura in evoluzione” della Papua Nuova Guinea. Il desiderio è vedere “le donne partner e cooperatrici”, i giovani “non ignorati o trascurati” ma “accolti con cuori e menti aperti”, i sacerdoti e i religiosi non più considerati “grandi uomini” ma “leader servitori” e i laici parte attiva nella vita della Chiesa e non solo “spettatori”. Ancora, seppur nella consapevolezza della gradualità del processo nel suo Paese, la testimone ha confidato al Papa il sogno di una politica ecclesiastica che accolga la diversità, per una fusione reale degli aspetti sinodali con la vita della Chiesa locale.