Chiesa Cattolica – Italiana

Papua Nuova Guinea: la via dello sviluppo sostenibile per fermare lo sfruttamento

Giada Aquilino – Città del Vaticano

È un legame stretto quello che unisce i missionari del Pime, il Pontificio istituto missioni estere, con la Papua Nuova Guinea. Quella terra dell’Oceano Pacifico, che comprende la regione orientale della Nuova Guinea e le sue isole, con una popolazione attuale di 8 milioni di abitanti (il 40% ha meno di 15 anni), una diversificata varietà di ricchezze naturali e una foresta pluviale tropicale caratterizzata da una straordinaria biodiversità (oltre il 5% del totale mondiale), fu nel 1852 la loro prima destinazione: una spedizione di 7 missionari raggiunse infatti l’isola di Woodlark. Una presenza interrotta nel 1855, dopo il martirio del beato Giovanni Mazzucconi e altre dolorose prove fisiche, e ripresa nel 1981. Oggi nel Paese sono in 12 e a loro si aggiungono 28 suore dell’Immacolata. Dopo aver portato avanti negli anni vari progetti di sviluppo, come la ristrutturazione di una casa parrocchiale per persone in difficoltà ad Alota, l’acquisto di una barca a motore per raggiungere i villaggi di Kayan, la fornitura di acqua pulita per la comunità di Waibula, i missionari del Pime hanno scelto di dedicare proprio alla Papua Nuova Guinea il Fondo Paese 2021, una raccolta di donazioni che nelle campagne del 2019 e 2020 era stata destinata all’Amazzonia e alla Cina.

Una struttura in costruzione sopra un’area colpita dall’erosione delle coste

Il richiamo della Laudato si’

La riflessione che li ha guidati parte dall’enciclica Laudato si’ del Papa. Nel 2015 Francesco scattava l’istantanea del Pianeta, denunciando il superamento di «certi limiti massimi di sfruttamento», senza che fosse stato risolto il problema della povertà. Il Pontefice constatava inoltre «l’impossibilità di sostenere l’attuale livello di consumo dei Paesi più sviluppati e dei settori più ricchi delle società» ed esortava a considerare come qualunque azione sulla natura potesse «avere conseguenze che non avvertiamo a prima vista»: 

«certe forme di sfruttamento delle risorse – evidenziava – si ottengono a costo di un degrado che alla fine giunge fino in fondo agli oceani». Eppure oggi, quasi sei anni dopo quel documento, in certi Paesi si sono aperte ulteriori “frontiere” di sfruttamento delle risorse naturali, alcune di queste proprio in Papua Nuova Guinea. Ne parla a Vatican News Giorgio Bernardelli, responsabile della comunicazione del Pime, che sottolinea come i missionari – attraverso il loro centro di Milano – abbiano accolto l’esortazione di Francesco a proteggere la casa comune e a cercare un modello di sviluppo sostenibile che non dimentichi i poveri. “Ogni anno – racconta Bernardelli – mettiamo al centro dell’attenzione una situazione particolare del mondo per far sì che la solidarietà diventi anche conoscenza della realtà. Quest’anno abbiamo scelto la Papua Nuova Guinea perché ci pare uno dei Paesi che incarna nella maniera più chiara quanto Papa Francesco dice nell’enciclica Laudato si’ e cioè come l’attenzione al creato suggerisca che tutto è connesso nel mondo di oggi. La Papua Nuova Guinea – prosegue – è uno di quei Paesi dove a nostro avviso appaiono più evidenti gli intrecci tra l’emergenza ambientale e quella umana, la valorizzazione delle persone e la minaccia che lo sfruttamento indiscriminato delle risorse porta alla vita degli abitanti”.

Sand mining e seabed mining

L’equilibrio ambientale del Paese del Pacifico ha subito “un grave degrado nell’ultimo decennio a causa – spiega il Pime – di pratiche non sostenibili di utilizzo delle risorse, deforestazione, distruzione degli habitat naturali, inquinamento e cattiva governance del territorio”.

Il disboscamento per il commercio di legni pregiati

Si tratta di uno dei luoghi, aggiunge Bernardelli, in cui “la nostra economia globale trova in maniera più facile quella abbondanza di materie prime di cui abbiamo bisogno. Oggi sappiamo che c’è stata una certa frenata per la crisi legata alla pandemia, ma in un’economia che gira a regime normale noi abbiamo bisogno di tante materie prime e anche preziose, come oro, argento, rame, minerali utilizzati in mille componenti degli oggetti che ci arrivano tra le mani. La Papua Nuova Guinea è una terra ricchissima da questo punto di vista ed è una terra in cui esistono anche nuove frontiere di questo sfruttamento. Uno dei problemi oggi più gravi – riferisce Bernardelli – è quello del sand mining, l’estrazione della sabbia. Ci sono intere aree della costa della Papua Nuova Guinea che rischiano di essere erose proprio per lo sfruttamento di questi materiali per l’esportazione. Ma ci sono progetti addirittura per il seabed mining, cioè per lo sfruttamento delle risorse sotto il mare, sui fondali marini”.

Cambiamento climatico

“La Papua Nuova Guinea, come un po’ tutta l’Oceania, è inoltre uno di quei luoghi che – osserva – fanno i conti oggi col cambiamento climatico. Il livello del mare sta già salendo, le coste vivono il fenomeno dell’erosione”, con un deciso innalzamento delle temperature e un aumento delle precipitazioni ad alta intensità. 

La popolazione locale, che per oltre l’80% dipende da un’agricoltura di sussistenza, “vive in un equilibrio abbastanza precario, tra un mondo che non esiste più, quello della propria vita tradizionale, la vita del villaggio che era un po’ la caratteristica di questa terra, e questo essere proiettati, soprattutto i giovani, in un mondo globalizzato. C’è una grossa difficoltà a tenere insieme queste due queste realtà, senza dimenticare che si tratta di un Paese dalle istituzioni e dall’organizzazione sociale e politica ancora abbastanza giovani: la Papua Nuova Guinea è indipendente dal 1975”.

Acqua dolce e pannelli solari

Grazie al Fondo ‘S142 – Sorella Papua Nuova Guinea’, i missionari del Pime – che oggi nel mondo sono 460 – puntano a promuovere progetti e attività di sviluppo eco-sostenibile nelle missioni locali, che prevedono ad esempio la fornitura di energia elettrica e acqua utilizzando strumenti a basso impatto ambientale. “Vogliamo promuovere progetti molto semplici, di base, che partono dalla vita delle persone. Progetti che hanno a che fare primariamente con l’acqua: può sembrare strano ma proprio in un’isola in mezzo all’oceano avere dell’acqua dolce diventa una sfida molto difficile in alcune comunità. E quindi alcune delle iniziative che andremo a promuovere riguardano la valorizzazione dell’acqua come risorsa per la vita e anche per un equilibrio sostenibile nel tempo. Un altro grande ambito di impegno è quello dell’energia, per cui attraverso i pannelli solari cerchiamo di assicurare un approvvigionamento energetico rispettoso delle risorse”.

Le barche con cui ci si sposta da un’isola all’altra in Papua Nuova Guinea

Educazione ambientale

C’è poi tutta un’attività di sensibilizzazione, per bambini, giovani e adulti, sui temi della missione e della tutela ambientale. “Iniziative che – ci tiene a precisare Bernardelli – realizzeremo in Papua Nuova Guinea, ma anche in Italia, soprattutto nelle scuole. Perché quello che ci preme far capire è che questa non è una storia lontana, che riguarda solo chi sta dall’altra parte del mondo. Ciò che viene vissuto laggiù – le sofferenze, le contraddizioni – è il più delle volte conseguenza di scelte che vengono compiute per continuare a garantire uno stile di vita che è quello che noi viviamo quotidianamente, senza pensare troppo alle conseguenze”. 

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