Chiesa Cattolica – Italiana

Palermo, il Centro di don Puglisi rischia di chiudere per il caro bollette

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

“Noi vogliamo rimboccarci le maniche e dire: si può fare qualche cosa, e se ognuno fa qualche cosa allora si può fare molto”: diceva così padre Pino Puglisi, quando nel quartiere Brancaccio, a Palermo, era il primo a darsi da fare tra la gente, perché non fossero il degrado e la violenza l’ordinario e il futuro dei giovani e per far comprendere che la vita è fatta anche di altri valori, come la pace, la fraternità, la collaborazione. “Queste sono le nostre speranze”, affermava con un tono fiducioso, pacato e convincente il sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Le sue parole, a 29 anni dalla morte, sono ancora custodite dal Centro di Accoglienza Padre Nostro, l’associazione da lui fondata per il recupero dei minori e degli adolescenti a rischio di emarginazione e di reclutamento da parte della criminalità organizzata e oggi una onlus impegnata a favore delle fasce più deboli. All’attivo ha svariati progetti a sostegno dei giovani, è al fianco di famiglie disagiate, offre assistenza attraverso varie professionalità e ancora servizi sociali e spazi sportivi e si adopera con  interventi e progetti di aiuto – insieme ad enti pubblici e ad altre organizzazioni no-profit – con particolare attenzione a quanti sono emarginati a motivo della loro condizione sociale. Ma c’è di più, il Centro Padre Nostro ha aperto nuove sedi in altri quartieri del capoluogo siciliano moltiplicando il suo impegno.

Due inaugurazioni nel nome di don Puglisi

Il Centro ha in programma, fino al 21 ottobre, giorno in cui ricorre la memoria liturgica del beato Pino Puglisi, diverse iniziative per ricordare il XXIX anniversario della morte.  Sono previsti appuntamenti nelle scuole e nelle carceri, momenti di preghiera, incontri. Il 22 settembre, inoltre, viene presentato il Progetto Poliambulatorio di Prossimità a Brancaccio e il giorno dopo, in via Belmonte Chiavelli, è prevista l’inaugurazione dello “Spazio Gioco Beato Giuseppe Puglisi e Santa Rosa Venerini”. Il Centro Padre Nostro si trova però in difficoltà a causa dei rincari dell’energia elettrica, le bollette degli ultimi mesi sono altissime e si rischia la chiusura, spiega Maurizio Artale, presidente della onlus. Non si riescono a coprire le spese, anche perché le istituzioni non prevedono aiuti per le associazioni di volontariato. Ma, nonostante tutto, a Brancaccio si continuano a portare avanti le idee di padre Pino.  

Ascolta l’intervista a Maurizio Artale

Ventinove anni fa l’uccisione di padre Pino Puglisi: non è un semplice ricordo, il suo, a Palermo perché la sua è una testimonianza che continua a dare frutti…

Si, dà tanti frutti. Come ogni anno, noi vogliamo ricordare padre Puglisi non soltanto con le manifestazioni che ne fanno memoria, ma apriamo un servizio nuovo. Il 22 settembre inaugureremo il Poliambulatorio di Prossimità. Era uno dei sogni di padre Puglisi, perché lui, vivendo a Brancaccio, si era reso conto di una carenza nel settore della sanità, non solo nel territorio, ma anche fra la gente, nel senso di tutela della salute personale. Finalmente si sono realizzate le condizioni per poter aprire questo poliambulatorio dove la gente può recarsi anche per una semplice visita preventiva, e quindi non soltanto nel caso di un malessere conclamato. E questo grazie al gruppo Villa Maria Eleonora, che sta finanziando il progetto, e alla Fondazione Giovanni Paolo II. Abbiamo trovato questi sponsor che ci daranno questa possibilità. Quindi, questo è un altro servizio in più che apriremo a Brancaccio. Circa 7 anni fa una ragazza – aveva 17 anni – è deceduta per un ascesso alla bocca. Non glielo hanno diagnosticato in tempo; era andata al pronto soccorso, ha fatto una fila di due giorni, poi è ritornata, non ha preso l’antibiotico ed è morta. Vogliamo che questo non succeda più, non soltanto a Brancaccio, ma in tutti i quartieri dove il Centro opera.

Che cosa è cambiato in 29 anni nel quartiere Brancaccio dove padre Pino cercava di seminare il Vangelo tra la gente e di strappare le nuove generazioni alla cultura della mafia?

È cambiato tantissimo. Oggi tra le vie di Brancaccio ci sono diverse strutture che il Centro ha aperto in questi anni: il Centro antiviolenza, il Centro dove vengono seguiti i ragazzi per i compiti che vengono assegnati a scuola, il luogo in cui i detenuti in esecuzione penale esterna operano. Proprio grazie al loro aiuto riusciamo ad avviare molti servizi e a tenerli aperti, perchè assicurano manutenzione e pulizia. Poi c’è il Centro polivalente sportivo, che prima non esisteva, dove c’è un campo di calcetto, un campo di calcio, una piscina, un campo da tennis e il Parco Robinson, un’area per i bambini dai 18 ai 36 mesi. Sono tante le strutture che abbiamo aperto. Nel tempo abbiamo promosso la riqualificazione ambientale. L’anno scorso abbiamo recuperato una zona del quartiere che era diventata una discarica abusiva, grazie all’aiuto della polizia, dei carabinieri, dei vigili urbani, dei volontari del Centro, ma soprattutto dei detenuti. Vedere lavorare insieme queste persone è stato forse il frutto più bello dell’opera di padre Puglisi. Tanto è cambiato a Brancaccio. Ma si deve fare ancora molto, perché questo prete non è tuttora non è visto come un compagno di viaggio, una persona vicina nella quotidianità, nonostante fosse una persona normalissima; non era un sacerdote irraggiungibile, era uno che stava tra la gente. Però, questo, ancora, è un messaggio che non è passato del tutto. Ci avviciniamo al trentennale della sua morte, il vescovo ci sprona, per il prossimo anno, a sensibilizzare tutte le comunità, a farci sentire compagni di padre Pino Puglisi.

Oggi la gente del quartiere come vi vede?

Ci vede sicuramente come una risorsa, un punto di riferimento. Noi assistiamo circa 600 famiglie. Ma la crisi ci sta attanagliando. Il caro bollette ci ha messo in ginocchio. Non chiudiamo a settembre per rispetto a padre Pino Puglisi, ma siamo a rischio. A luglio dell’anno scorso pagavamo bollette di energia elettrica di 1.700 euro. Quest’anno, a luglio, abbiamo pagato 6.800 euro. Non possiamo andare avanti sostenendo queste cifre. Purtroppo, mio malgrado, devo dire che la politica è distante da questi problemi, perché, se è vero che approveranno degli aiuti, non è previsto nessun sostegno per le associazioni di volontariato. Ecco, oggi si tende a fare diventare tutto impresa, tutto deve essere un rapporto tra servizio offerto e retribuzione del servizio. Noi vogliamo rimanere quello che siamo, un’associazione di volontariato, una onlus che ha creato pure dei posti di lavoro. Chiudere il Centro significherebbe distruggere 29 anni di storia e licenziare 13 persone. Quindi avremmo problemi di occupazione, ma soprattutto non saremmo più un punto di riferimento per le 600 famiglie che si rivolgono al Centro. Noi abbiamo una sede a Brancaccio, una a Falsomiele, una allo Zen, una al Villaggio Ruffini, una alla Guadagna: sono tanti i servizi che offriamo. Mi dispiacerebbe che quello che non è riuscita a fare la mafia, dopo l’uccisione di padre Pino Puglisi, al Centro Padre Nostro, riuscissero a fare, invece, le istituzioni con questa loro disattenzione nei nostri confronti. La cosa che dispiace ancora di più è che neanche i rappresentanti del mondo del volontariato a livello nazionale hanno fatto emergere questa grandissima criticità.

Quali soluzioni possibili?

Le soluzioni potrebbero essere degli aiuti, come quelli che si stanno concedendo alle imprese, agli imprenditori artigiani e a tutte le categorie che oggi soffrono per il caro bollette. Si spera che vengano concessi sgravi anche alle associazioni di volontariato. Pagare l’energia elettrica come la pagano tutti gli altri è una cosa che non ha nessun senso per una associazione come la nostra. Noi offriamo servizi gratuiti, chi porta, ad esempio, al Centro sportivo i propri figli non paga l’ingresso. L’accesso alla casa-museo del beato Puglisi con l’aula didattica, visitata ogni anno da circa 10mila pellegrini, è gratuito, ma sono spazi per i quali sosteniamo dei costi. Ad esempio, dovendo accogliere i visitatori, in estate – e quest’anno abbiamo avuto 44 gradi per un mese intero – è necessario mantenere attivi i condizionatori d’aria. Certo, si può fare economia, ma si tratterebbe di risparmi che potrebbero influire poco, il 5% o il 10%. Quindi su 6.800 euro si risparmierebbero 800 euro, ma 6.000 euro moltiplicati per 12 mesi sono una spesa eccessiva per la sola energia elettrica. E quello che riceviamo dai donatori servirebbe solo per pagare luce, acqua, telefono, gas. Non avremmo fondi per dare una mano a chi ha bisogno di un farmaco, di alimenti o vestiario, perché sarebbero appena sufficienti per pagare le utenze. In questo caso è meglio chiudere, restare aperti significherebbe illudere la gente, perché non saremmo più un presidio accessibile a chi ha veramente bisogno.

Sulla base dell’eredità che padre Pino vi ha lasciato, qual è il messaggio del Centro Padre Nostro, ma quelle anche l’appello che il Centro vuole lanciare?

Il messaggio di padre Puglisi è quello della presenza. Noi, da 29 anni presidiamo il territorio, stiamo in mezzo alla gente ed è questa la chiave di volta. Non sentirsi qualcuno che serve agli altri ma essere a servizio. Abbiamo fatto in modo che il Centro Padre Nostro e tutti i suoi utenti diventassero un’unica comunità. Padre Puglisi diceva che chi prima di fare un passo ci pensa un’ora o due, starà tutta la vita su un piede solo. L’appello che facciamo è che bisogna capire quali sono le esigenze del territorio e agire, agire sulla base di un pensiero, di un indirizzo. Non si può vivere sempre pensando a cosa si deve fare senza prendere alcuna decisione.

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