Pakistan, il neo arcivescovo di Karachi: ”Il dialogo, un impegno essenziale”

Vatican News

Federico Piana- Città del Vaticano

Oltre 190 mila battezzati su un totale di 20 milioni di abitanti, un territorio pari a 1.400 km quadrati, quindici parrocchie e una cinquantina di sacerdoti. L’arcidiocesi pachistana di Karachi, una delle aree metropolitane più affollate di un Paese a quasi totale maggioranza musulmana, può essere considerata una delle punte di diamante di una ‘Chiesa in uscita’ impegnata sul fronte del dialogo interreligioso, del sostegno ai poveri, dell’evangelizzazione. Da tre mesi è guidata da un nuovo arcivescovo, monsignor Benny Mario Travas, insediatosi lo scorso aprile con un desiderio, che è anche una missione: “Sradicare ogni divisione con il lavoro di squadra, pregando insieme e facendo del bene a tutti”. Lui stesso, del resto, conosce bene, come le sue tasche, la sua arcidiocesi: “Sono quello che, genericamente, si definisce un ‘ragazzo di Karachi’: qui sono nato e qui sono stato ordinato sacerdote, svolgendo il mio ministero per 23 anni. Per questo non ho avuto bisogno di molto tempo per adattarmi”.

Monsignor Travas appena avviato il suo nuovo incarico, ha un programma o azioni che ritiene importante intraprende?

Credo che sia necessario rafforzare la comunione della fratellanza sacerdotale e incoraggiare il mio clero e i miei religiosi ad essere pastori con l’odore delle pecore. Poi, occorre elevare lo standard delle scuole cattoliche ed introdurre in esse un senso di professionalità, di competenza e di amore per i poveri. Infine, migliorare l’assistenza sanitaria per la gente di Karachi attraverso le nostre istituzioni sanitarie con l’attenzione particolare alla cura degli anziani, dei disabili e degli emarginati dalla società.

Qual è lo stato di salute della Chiesa nella sua arcidiocesi e quali sono le difficoltà ed i punti di forza?

Sono stato per oltre cinque anni vescovo di Multan: la sfida maggiore è stata la povertà economica delle persone e il numero ridotto di cristiani, sparsi nel vasto territorio della diocesi. L’arcidiocesi di Karachi, invece, ha grandi risorse economiche e anche un ragguardevole numero di cristiani nell’intera città. In questo caso, le sfide sono la trasparenza e la responsabilità finanziaria. Ho chiara davanti a me la necessità di rafforzare le strutture all’interno delle istituzioni della nostra Chiesa affinché trasparenza e responsabilità siano visibili a tutti.

Uno dei suoi obiettivi è quello di sradicare ogni divisione: in che modo intende portare avanti questa missione? E quali sono gli altri obiettivi del suo ministero pastorale?

Per quanto riguarda lo sradicamento delle divisioni, ha colto nel segno. Noi abbiamo un’espressione locale per indicare questo fenomeno che chiamiamo ‘party bazi’: già nel mio precedente ministero episcopale a Multan avevo fatto mia la missione di sradicare ogni tipo di divisione e di ‘party bazi’ dal clero e dai fedeli laici. Come farò ad eliminare queste divisioni nell’arcidiocesi di Karachi? Prima di tutto, essendo vicino al mio clero, specialmente ai giovani, accompagnandoli nel loro cammino pastorale. In secondo luogo, rivolgendomi a tutti con eguaglianza e giustizia, anche coloro che possono avere danneggiato l’arcidiocesi; infine, trattando tutti con misericordia e compassione.

Quale importanza avrà il dialogo interreligioso nella sua arcidiocesi?

Il dialogo interreligioso è stato un impegno essenziale dell’arcivescovo di Karachi mio predecessore, il cardinale Joseph Coutts, che è stato pioniere nell’avviare e mantenere buoni rapporti con tutti, di ogni ceto e ogni appartenenza religiosa. Attraverso le nostre scuole e i nostri ospedali abbiamo grandi occasioni di dialogo con la comunità musulmana, che è maggioritaria, ma anche con tutte le comunità minoritarie che vivono a Karachi. Inoltre, il mio ruolo mi offre l’opportunità di collaborare con i miei fratelli e sorelle protestanti per l’unità ecumenica. Grazie ai buoni rapporti esistenti tra i vescovi cattolici e protestanti, questo compito è molto facilitato e io continuerò a lavorare per l’unità tra tutte le denominazioni cristiane a Karachi.

La sua arcidiocesi è ricca di vocazioni giovanili e ci sono molti giovani religiosi e religiose: a cosa è dovuto questo successo?

Intanto, ringraziamo Dio! I giovani di Karachi sono pieni di sincero fervore e amore nel desiderio di conoscere e compiere la volontà di Dio. E’ vero, negli ultimi anni, l’arcidiocesi di Karachi è stata benedetta con moltissimi sacerdoti e suore giovani. Con questo dono, però, arrivano anche le sfide: queste vocazioni richiedono una seria formazione umana, spirituale, pastorale e accademica insieme a un accompagnamento pastorale e a una formazione permanente dei giovani sacerdoti e religiosi. Non avere ottemperato a queste necessità è stato causa di scandali nella Chiesa del Pakistan…

Quali strade pensa che la Chiesa debba intraprendere in Pakistan per portare pace, sicurezza e benessere per la popolazione?

Se guardo al passato e considero in quale misura la Chiesa sia stata capace di influenzare la società di questo Paese, analizzo anche il metodo seguito: la Chiesa offriva un’istruzione di buon livello e alla portata di tutti senza distinzione di colore della pelle, appartenenza di casta o di religione; la Chiesa forniva una buona assistenza sanitaria a tutti, con compassione e amore, a costi bassissimi; i disabili e i reietti della società erano accuditi e seguiti con compassione e amore. Ecco, seguendo questa strada la comunità cristiana ha dato testimonianza della sua missione a Karachi e io intendo continuare rafforzando questo ‘metodo’, che sicuramente farà sì che il popolo del Pakistan guardi alla comunità cristiana di Karachi con rispetto e amore.