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Pakistan, 1.7 milioni di afghani rischiano i rimpatri forzati

È finito ieri l’ultimatum lanciato un mese fa dal governo pakistano agli afghani rifugiati nel Paese senza documenti. Preoccupano le condizioni sociali, la sicurezza e il rispetto dei diritti umani che troverebbero in patria. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia: “la comunità internazionale si attivi per velocizzare le procedure di riconoscimento dello status di rifugiati”

Leone Spallino e Luana Foti – Città del Vaticano

Il Pakistan non è più un luogo sicuro per i profughi provenienti dall’Afghanistan senza senza i permessi necessari: si tratta di 1.7 milioni di persone che sono ora passibili di arresto e deportazione forzata. Il 3 ottobre, il ministro dell’Interno pakistano Sarfraz Bugti, aveva lanciato un ultimatum, scaduto ieri 1 novembre, in cui dava un mese di tempo per lasciare volontariamente il Paese a una parte della cospicua comunità afghana rifugiatasi nel vicino Pakistan. “Se a questo ultimatum scaduto seguiranno espulsioni di massa in un Paese tra l’altro impoverito e devastato da recenti terremoti, per queste persone la vita sarà veramente a rischio”, afferma a Vatican News- Radio Vaticana il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury.

Ascolta l’intervista con Riccardo Noury

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/11/02/15/137430397_F137430397.mp3

La comunità afghana in Pakistan

Secondo i dati ufficiale del ministero gli Interni, infatti, in Pakistan sono registrati come richiedenti asilo 1.3 milioni di afghani mentre a 800mila è stato riconosciuto lo status di rifugiati. Oltre a loro, ci sono 1.7 milioni di persone che vivono nel Paese illegalmente, perché senza documenti regolari e non riconosciuti né come richiedenti asilo né come rifugiati. “Il fatto che siano sprovvisti della documentazione adeguata non è colpa loro”, spiega Noury. Lo status di rifugiato infatti viene attestato da un documento rilasciato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ma queste procedure sono lentissime, spiega. “Sappiamo di minacce, intimidazioni e tentativi di estorsione da parte di funzionari pakistani nei confronti di queste persone. Quindi, in sintesi, che paghino loro per inefficienza e ritardi di altri è irresponsabile”, dichiara il portavoce di Amnesty Italia.

L’esodo afghano verso il Pakistan dura da decenni. I primi flussi risalgono agli anni Settanta, motivati dalla ricerca di opportunità economiche migliori, poi la fuga dall’occupazione sovietica negli anni ottanta e dal primo regime talebano negli anni novanta. Dal ritorno dei talebani al potere nell’agosto del 2021 invece si stima che siano arrivati oltre 600mila afghani. Ma molti di loro sono finiti in campi di accoglienza in cui erano sottoposti a condizioni di vita dure segnate da un accesso limitato all’istruzione, assistenza sanitaria e lavoro.

La posizione pakistana

La decisione adottata dal governo pakistano di espellere i rifugiati privi di documenti è stata motivata da questioni definite “di sicurezza nazionale”. Nei primi nove mesi del 2023 infatti in Pakistan si sono verificati numerosi attacchi suicidi che hanno provocato la morte di oltre 1.000 persone, tendenza che dura nel Paese da ormai due anni. Secondo il Centro di ricerche e studi per la sicurezza CRSS, gli episodi violenti in Pakistan sono aumentati del 57% negli ultimi mesi. Gli attacchi sono in parte condotti dai talebani pakistani del gruppo terroristico più grande del Paese, il Tehrik-i-Taliban Pakistan. E le autorità di Islamabad hanno accusato il regime talebano afghano di finanziare questi attacchi terroristici. Accusa che quest’ultimo rigetta.  

Un ritorno rischioso

Alcune organizzazioni internazionali a difesa dei diritti umani sono preoccupate per le potenziali ritorsioni sulla vita degli afghani costretti a ritornare nel Paese dal quale erano fuggiti. “Il rischio è che riprenda la caccia alla persona. Per le autorità afghane, avere a casa uomini e donne, attivisti, giornalisti, insegnanti, persone a cui davano la caccia, potrebbe portare a un esito tragico come la loro eliminazione fisica perché percepite come nemici ” dice ancora Noury. Inoltre, aggiunge, molti di loro non avrebbero un luogo dove andare e senza una casa non avrebbero accesso a servizi fondamentali e  a mezzi di sostentamento, senza contare l’arrivo della stagione fredda. “Sarebbe veramente un gesto irresponsabile rimandare queste persone in Afghanistan. Si tratterebbe peraltro di una grave infrazione del diritto dei rifugiati che prevede il divieto assoluto di respingimento in luoghi in cui le persone respinte potrebbero essere a rischio di subire violazioni dei diritti umani”, spiega Riccardo Noury.

“L’Occidente li ha lasciati soli”

L’occidente, in questo, sottolinea ancora il portavoce di Amnesty Italia, non ha aiutato il Pakistan. “Dopo l’evacuazione dell’agosto del 2021 gli stati occidentali hanno voltato le spalle all’Afghanistan. Il governo tedesco aveva promesso mille reinserimenti al mese, eppure in Germania non è arrivato neanche un afgano”. Quello che Amnesty auspica è un cambio di rotta soprattutto attraverso finanziamenti al Pakistan nella gestione dell’enorme flusso di rifugiati. “Se lo farà, e verranno accelerate le procedure di riconoscimento tutto finirà bene. Perché alla fine, se queste persone che non sono in regola lo fossero, lo stesso Pakistan non avrebbe dato questo ultimatum”.

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