Chiesa Cattolica – Italiana

Padre Stoia inaugura il suo ministero come parroco di San Pietro

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Con la Messa celebrata questo pomeriggio dal cardinale Mauro Gambetti, arciprete della Basilica di San Pietro, si inaugura il ministero pastorale di fra Agnello Stoia, frate minore conventuale, come parroco di San Pietro. La cerimonia potrà essere seguita dalle 15.45 in live streaming sul canale italiano Youtube di Vatican News al link: https://www.youtube.com/watch?v=euHt0_JevaI.

Nato a Pagani, in provincia di Salerno, 54 anni fa, fra Agnello ha maturato la sua vocazione all’ombra del convento francescano di Sant’Antonio a Nocera Inferiore. Gli ultimi otto anni li ha vissuti come parroco ai Santi XII Apostoli, nel centro storico della capitale. Nell’intervista a Vatican News fra Agnello Stoia ci racconta gli stati d’animo, le funzioni ma soprattutto l’atteggiamento pastorale con cui si appresta ad esercitare il suo ministero:

Ascolta l’intervista a fra Agnello Stoia

Come si sente ad intraprendere questo incarico?

Il primo sentimento è quello della gratitudine. Gratitudine al Santo Padre, nei confronti del mio confratello Fra’ Mauro. Sono senz’altro molto emozionato. In qualche modo mi sento alle spalle tanti volti, mi sento parte di un popolo di preti, mi sento di rappresentarli, ecco.

Con quale bagaglio di vita spirituale e di incontri preziosi, maturati in particolare nella precedente esperienza ai Santi Apostoli di Roma, si prepara a vivere questa nuova missione?

Innanzitutto la devozione agli apostoli, a Filippo e a Giacomo, adesso a Pietro, a Simone e Giuda. Il dono della preghiera agli apostoli per tante situazioni che si sono sciolte. Mi porto l’insegnamento soprattutto dell’apostolo Giacomo nei confronti dell’accoglienza dei poveri, come dell’accoglienza dei ricchi. La gioia che ho avuto in quella parrocchia di veder seduti negli stessi banchi i ‘principi’ – perché la parrocchia dei Santi Apostoli è circondata da case principesche – e i poveri. Guardarsi con molto rispetto, con molto garbo: questa è una cosa bella di cui ringrazio Dio. Allo stesso tempo mi porto dentro tutta la dimensione del rapporto con le Chiese d’Oriente, il viaggio fatto a Smirne, per esempio, l’esperienza con la mia comunità francescana… E, ancora, quella con le persone che trovarono per nove mesi riparo sotto i portici della chiesa (decine di persone, adulti e bambini, sfollate nel 2017 in seguito allo sgombero di un edificio occupato nel quartiere romano di Cinecittà, ndr). Soprattutto, poi, ripenso all’esperienza bellissima della Chiesa di Roma, considerato che per sette anni sono stato nel Consiglio presbiterale. 

Ci si può chiedere se sia una novità la figura del parroco a San Pietro…

In effetti più di qualcuno mi ha rivolto questa domanda. Il parroco esiste, certo, dagli inizi del ‘500, da quando è cominciata la nuova Fabbrica di San Pietro. Il parroco era ordinato per quanti desideravano, in questo ‘santuario delle nazioni’, ricevere soprattutto il Battesimo. Fino a trenta anni fa, in buona sostanza, ogni famiglia romana aveva almeno un figlio battezzato a San Pietro. Poi, il fatto che il centro di Roma si sia spopolato ha fatto sì che ci si sia allontanati verso la periferia. 

Come interagisce il parroco con l’arciprete della basilica?

Sono il suo diretto collaboratore. Ne sono contento, in questo momento di riforma voluta da Francesco in tutta la Chiesa e nella Curia romana. La riforma ha bisogno di menti, nel mio caso di braccia, di supporto. Quindi sarò vicino a lui in questa opera. Così come mi sento vicino a tutte quelle realtà che operano all’interno della basilica, soprattuto per la accoglienza dei pellegrini, dei fedeli: i sanpietrini, i vigilanti, l’associazione di SS. Pietro e Paolo… C’è veramente un mondo all’interno, preposto sia alla manutenzione della basilica, che all’accoglienza delle persone in modo che si sentano al sicuro, guidate, abbiano dei punti di riferimento. 

Ripenso a questo proposito a un volume da lei curato – presentato a giugno scorso ai sacerdoti romani – che incarna l’esortazione del Papa ad essere Chiesa in uscita. Ma come si fa, concretamente, presi dagli impegni più di ‘ufficio’ che spesso rischiano di prevalere? Quali sono gli insegnamenti raccolti nel libro che ritiene più utili per lei?

Sottolineo due cose: la prima è che nel centro storico di Roma uscire significa accogliere. Io sulla mia pelle ho vissuto tutto questo. Mi sono sentito Chiesa in uscita insieme alla comunità che ho accolto, nella misura in cui ho saputo accogliere. Perché ci sono molte realtà periferiche che vengono al centro e nel momento in cui si apre la porta e si presentano gli scrigni di spiritualità, di bellezza, di arte, di storia e li si accoglie veramente, allora si vive una esperienza davvero incredibile. Quindi, mi piacerebbe vivere il fatto di essere parroco a San Pietro in uscita, vale a dire accogliendo le persone. L’altra nota è quella della sinodalità, un percorso che abbiamo affrontato nel Consiglio presbiterale per un po’ di anni. Lo Spirito ha soffiato forte, ci siamo trovati in mare aperto. E comprendiamo peraltro che uno è lo Spirito perché noi lo abbiamo cominciato tempo fa questo cammino e adesso Papa Francesco con così forza lo compie. Del resto, lo aveva detto in occasione del 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi, che la sinodalità è la sfida della Chiesa del terzo millennio. Sinodalità significa trovare le parole, le forme, gli organismi, reinvetarsi, avere creatività per fare in modo che si cammini insieme. Io facevo parte del Vicariato di Roma, adesso faccio parte del Vicariato vaticano. Di per sé sono due strutture della stessa diocesi ma camminano in pratica in modo indipendente. Ecco, un primo passo è stato chiedere al cardinale Gambetti e al cardinale De Donatis di partecipare al Consiglio dei Prefetti che, all’interno della Chiesa di Roma, è il Consiglio operativo dal punto di vista pastorale. E quindi è bello che adesso ci sia qui anche il parroco di San Pietro. E’ un modo anche questo per dire la sinodalità: affacciarsi, gettare un ponte perché – come ci ha detto Papa Francesco – non gli facciamo fare una brutta figura! Se proprio nella mia chiesa non si fa un percorso di sinodalità, mi fate fare una brutta figura, ha detto simpaticamente lo scorso 18 settembre quando ha radunato diversi fedeli nella Sala Nervi…

In effetti, l’inizio della sua missione in questa basilica coincide con l’inizio del percorso sinodale. Come vede questa combinazione? 

Lo leggo tutto come una provvidenza. Troverò ispirazione nelle parole e nei gesti del Papa, giacché sono il parroco della sua basilica. Mi auguro di essere all’altezza, di poter tradurre nel modo più vivo e immediato il pensiero e l’azione di Papa Francesco. 

Quale valore aggiunto può dare al suo ministero la spiritualità francescana di cui veste l’abito?

Ancora una volta mi riferisco a Papa Francesco, perché ha fatto dell’insegnamento di Francesco d’Assisi la linea guida del suo ministero petrino, quando ha parlato dell’evangelizzazione nei termini di uscire, di andare incontro alle persone, di superare l’ideologia dello scarto…. E poi nella Laudato Si’, in Fratelli tutti dove l’insegnamento di Francesco di Assisi diventa l’insegnamento di Pietro…. Ecco, io mi permetto di dire che mi sento veramente a casa. Aggiungo che – molti non lo sanno – la parrocchia dei Santi Apostoli era la parrocchia di Michelangelo per cinquant’anni. Adesso passare sotto il cupolone è un bel salto, però ci eravamo in qualche modo abituati…

Il suo sorriso aperto e solare fa supporre anche un senso dell’umorismo molto spiccato, umorismo a cui peraltro il Papa spesso richiama, invitando a non prendersi troppo sul serio…

E’ una grande lezione di vita, ha ragione Papa Francesco. E spero anche di cadere dalla stanchezza. Lui qualche anno fa nella Messa crismale ci ha detto: voglio dei preti stanchi alla fine della giornata. Comunque, in merito al sorriso, molto fa anche la genetica e la cultura di un popolo, l’essere del Sud e l’essere francescano. 

Si sente spesso parlare della sfida di riportare la gente, soprattutto i giovani, nelle chiese. Quale, secondo lei, può essere la pista da coltivare per rinvigorire la frequentazione delle chiese come spazi per curare il rapporto a tu per tu con il Signore?

Io credo che la via sia sempre quella dello stare vicino, del ‘perdere tempo’ con le persone. Io ho perso tanto tempo. Prima di venire qui sono stato vent’anni in Irpinia in un convento abbandonato e sperduto, a Montella. Non c’era nessuno ma poi è bastato accogliere un gruppo di giovani che si sono passati la voce ed è diventato un popolo. Stavamo insieme, pregavamo insieme, lavoravamo insieme, abbiamo mangiato quintali di polvere per pulire, riordinare. Ma loro si sono prestati. L’aspetto della familiarità per me è molto molto importante e ha segnato molto la mia vita. Non è una ricetta ma vedo che il Papa insiste su questo punto e sono convinto che questa sia la strada.

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