Eugenio Bonanata e Daniele D’Elia – Città del Vaticano
La riflessione di oggi di padre Francesco Piloni è ispirata all’episodio dell’incontro con il lebbroso raccontato da San Bonaventura da Bagnoregio nella Leggenda Maggiore. Per comprendere meglio l’accaduto, secondo il ministro Provinciale dei Frati Minori di Umbria e Sardegna, occorre premettere quanto lo stesso Francesco afferma nell’incipit della sua Regola e cioè che prima della sua conversione “sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi” (FF, 110). Ma questo ribrezzo, questa ripugnanza, fu tramutata in “dolcezza d’animo”. Dallo “scontro” con una realtà che provoca paura e disgusto – commenta padre Piloni – si passa ad un “felice confronto”.
Questi uomini erano considerati reietti, da emarginare, nella società medievale. Confinati nei lazzaretti, in luoghi di estrema solitudine, conducevano la loro esistenza lontano dalle città. Ma il poverello ha scelto di divenire soldato di Cristo. E dunque deve “vincere se stesso” e deve scendere dal cavallo. (FF, 1034) Deve ripensare il suo atteggiamento, non deve “scappare”. In quelle piaghe si nasconde il Cristo e Francesco comincia a comprenderlo.
Padre Piloni rilegge attentamente il tumulto interiore sperimentato dal santo che, alla fine, “decide in base a ciò che ha pensato non, invece, a ciò che ha sentito”. La sua scelta di incontrare quell’uomo, di abbracciarlo, non è subordinata ad una immediata e naturale “reazione”. Percepisce che dietro quella lebbra può esserci una “perla” e che dunque quella può essere un un’occasione privilegiata di Grazia: quella è la “Santa Croce” attraverso cui si opera la redenzione (FF, 111). In quella “ferita” della Creazione, in quella sofferenza, c’è un tesoro nascosto.
Nel 2013, rivolgendosi agli ospiti dell’istituto Serafico ad Assisi, Papa Francesco ha ricordato che “sull’altare adoriamo la Carne di Gesù” e in questi poveri e sofferenti possiamo trovare “le piaghe di Gesù” e quelle piaghe hanno “bisogno di essere ascoltate”. Un ascolto costante, difficile, quello indicato dal Papa e che non è fugace. Si tratta di una “relazione” da curare e da cercare, si tratta di “accogliere” e non “scartare”, contrariamente a quanto propone la cultura dominante. Dobbiamo coltivare quella “dolcezza d’animo” conquistata da Francesco d’Assisi e di cui parla all’inizio della Regola. Solo con questo sforzo, con questa “mentalità nuova”, afferma padre Piloni, possiamo evitare che i nostri sentimenti siano malati e adottare comportamenti fallimentari.
Il lebbroso ha fatto in modo che il poverello ottenesse una “sapienza delle profondità”, ha reso un servizio prezioso al santo d’Assisi. Così, guardando alla quotidianità di ciascuno, il francescano medita sulle strettoie necessarie che portano a vita nuova. “Il Salmo 84 – conclude – parla della valle del pianto che se l’attraversi, si trasforma in una sorgente nuova di vita e dona nuovo vigore nel cammino”.