di Roberto Cetera
A fine novembre Gerusalemme concede ancora qualche giornata quasi estiva. Dal terrazzo del convento della Flagellazione la vista regala emozioni: ad est il monte degli ulivi, su a nord il Santo Sepolcro, e proprio davanti al naso la cupola d’oro della moschea della Roccia nella spianata del Tempio. Convincere padre Frederic a salire in terrazza a raccontarsi non è stato facile. Un pedinamento durato mesi «la mia vita non ha nulla di speciale, a chi può interessare? Sono solo un innamorato della Parola».
L’umiltà più profonda con cui esercitava la sua grande sapienza è stata la vera cifra dell’esistenza di Frederic Manns.
«Ma, padre Manns, da un anno ormai i lettori dell’Osservatore Romano godono dei suoi “Racconti della domenica”; in tanti ci hanno chiesto di poterla conoscere meglio». Alla fine, quando gli ho riferito che anche Papa Francesco è tra i suoi lettori affezionati, ci ha dedicato un paio d’ore su quella bella terrazza, sorseggiando caffè italiano. Il racconto di una vita che riascoltato oggi, solo qualche settimana dopo, ha il sapore di un testamento, che a chi scrive dà onore e tremore. Più volte nel nostro incontro ricorre il tema dell’“incontro con lo Sposo”. «Sono molto contento di quello che il Signore mi ha donato in questa vita. Era in gran parte inaspettato e imprevedibile. Non avrei mai immaginato di passare gran parte della mia vita qui, nella sua terra. Il Signore agisce sempre sorprendendoci. Spero di aver fatto bene. Ora non mi resta che l’incontro con lo Sposo». Mi chiedo oggi se in quelle parole (scioccamente da me subito confutate con scongiuri) non ci fosse il sentire di una fine vicinissima, per quanto allora del tutto imprevedibile. D’altronde «Sai per quanto mi sforzi di essere razionale, Gerusalemme induce sensibilità ulteriori e inspiegabili. Succedono cose incredibili da queste parti. Quante conversioni improvvise, quante coincidenze inspiegabili, quanti avvenimenti sorprendenti e provvidenziali ho visto in questi 40 anni qui. È come se ci fosse un magnetismo, un’energia sconosciuta sotto queste pietre bianche. È come se questa terra abbia trattenuto un po’ dell’energia trasformante del Risorto che la camminava. C’è un filo diretto con la Gerusalemme celeste. Per questo io dico sempre che Gerusalemme non va solo vista e calpestata, ma soprattutto “sentita”. Io la “sento” ad ogni frazione del giorno. Mi da una gioia incredibile vivere qui. Non potrei immaginarmi altrove. Pregare e celebrare l’Eucarestia qui è veramente un anticipo dell’incontro sponsale. Mi credi?».
Da quanti anni vive qui padre Frederic? «Da tanti. Sono venuto qui la prima volta nel 1972, quando sono stato ammesso al dottorato. Ero francescano già da più di 10 anni, e ordinato da 3. Vengo da quella parte della Francia che è però vicinissima alla Germania, forse è per questo che mi sono sempre sentito cittadino del mondo. Nacqui in tempo di guerra in Croazia: tempi duri, qualcuno della mia famiglia era stato coinvolto nel regime di Vichy. I miei poi tornarono con me giovanetto a vivere a Strasburgo. Mi piaceva studiare: a 18 anni avevo completato i miei studi in Filosofia, e 4 anni più tardi presi la prima laurea in lettere classiche, amavo il greco antico. Poi nel 1961 feci la mia professione tra i frati minori e cominciai i miei studi teologici. L’attrazione per la parola di Dio era forte così nel ’70 mi trovai a Roma per studiare all’ Istituto Biblico per due anni. Poi venni qui e continuai».
E cosa studiava in particolare? «Mi affascinava conoscere in particolare l’ambiente culturale e religioso in cui era vissuto Gesù; vede, se noi pensiamo al cristianesimo non come un’idea ma come un incontro vivo con una persona, dobbiamo conoscere da vicino quella Persona, dove viveva, come viveva». Lo studio dell’ambiente giudaico del primo secolo (soprattutto alla luce del Vangelo di Giovanni, e della vita delle prime comunità cristiane), costituirà negli anni a seguire il fil rouge della ricerca di padre Manns, e a cui dedicherà molti dei suoi libri. Attraverso essi inaugurerà un suo stile personale di grande successo: la ri-narrazione di brani della Scrittura, in linguaggio piano e a tutti accessibile, fuori della lettura stereotipata convenzionale. Una ri-narrazione arricchita da pennellate descrittive dell’atmosfera culturale e rituale e dalle midrash del tempo. Apparentemente più semplice, nella sostanza più ricca.
«Manns non racconta la Bibbia, te la fa vivere. I personaggi di cui scrive li rende vivi, te li fa incontrare», ci confidò Papa Francesco dopo aver letto “I racconti della domenica” sull’Osservatore. «Il tema dell’ambiente giudaico del primo secolo — prosegue padre Frederic nel racconto — mi appassionava tanto che decisi di continuare gli studi all’università ebraica di Gerusalemme». Uno stile di scrittura che aveva però un’origine e uno scopo prettamente pastorali: «Ero stato chiamato a “raccontare” le Scritture ad un movimento ecclesiale che aggrega soprattutto persone provenienti dalla fragilità e spesso prive di alcuna conoscenza della Bibbia. Capii subito che la via migliore per fargli conoscere la Parola di Dio era di presentarla nella sua quotidianità, e quindi di calarla nella loro quotidianità: i Vangeli sono una rassegna di disgraziati bisognosi di salvezza, come lo siamo anche oggi tutti noi». Combinare scientificità e divulgazione era il paradigma del suo lavoro. «Non potevo concepire il mio ruolo semplicemente come “studioso”. Vede, il popolo di Dio è ricco di devozione e pietà religiosa, e spesso anche di carità, ma la Parola di Dio è ancora tanto sconosciuta nella sua ricchezza. Ed è la Parola di Dio, non solo i buoni sentimenti, ciò che cambia le persone nel profondo. Ho accompagnato migliaia di pellegrini in Terra Santa, per me era un’attività essenziale alla mia vocazione. Mi nutrivo delle loro osservazioni, semplici ed intuitive. E insieme ci nutrivamo della Parola di Dio. Con molti di loro sono in contatto epistolare anche dopo anni; quante storie sorprendenti le potrei raccontare dei pellegrini… Il viaggio in Terra Santa è sempre un’occasione per ripensare la propria intera vita, un punto di sospensione della propria esistenza. Un po’ come io ora sto facendo ora con lei (ride). Le ho già detto c’è qualcosa di magnetico sotto questi sassi, succedono cose incredibili in questo posto. Qui lo Spirito parla più che altrove».
Nel 1996 padre Manns divenne direttore dello Studio Biblicum Francescanum, che sotto la sua direzione venne riconosciuto al rango di Facoltà. E nel frattempo, oltre all’insegnamento, continuava a scrivere libri, a collaborare ad altre università, a predicare e confessare, a guidare pellegrinaggi, ad insegnare nei seminari di mezzo mondo, cioè ad «amministrare le fragranti parole di Gesù» per dirla come il Custode di Terra Santa Francesco Patton. E a pregare. «Quando all’alba andavo a preparare la chiesa, racconta un sacrista del convento della Flagellazione, lo trovavo che era già lì, chissà da quanto tempo, a pregare».
Come fa padre Manns a svolgere tutte queste attività ancora oggi? «Mi motiva la constatazione che l’Uomo ha fame di Dio. Della Sua Parola. Siamo tutti affamati a mendicare alla sua porta. Finché posso farò di tutto per ricevere e ridonare questo pane. Spero poi di morire qui, dove la Gerusalemme terrena e quella celeste si incontrano. Ma ora devo fare, per andare in fretta incontro allo Sposo».