Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Siamo fratelli”. Due parole che sono perdono, amicizia e amore. Parole sussurrate al suo sequestratore al momento della liberazione da parte di padre Pier Luigi Maccalli, il missionario della SMA, la Società delle Missioni Africane, sequestrato in Niger due anni fa e rilasciato nell’ottobre del 2020. Parole che sono “semi portati dal vento”, ma comunque gettate in cuori che hanno preferito non ascoltare e che comunque restano lì magari a crescere.
Parole consegnate stamani alla comunità del Dicastero per la Comunicazione che, a Palazzo Pio nella sede della Radio Vaticana, lo ha premiato con una targa, simbolo di amicizia e di stima ma anche di riconoscenza. Padre Gigi più volte ha raccontato che, nel deserto del Sahel, ha potuto intercettare con una piccola radio le onde medie dell’emittente del Papa. Ha potuto seguire la Messa di Pentecoste celebrata da Francesco. “Al momento della benedizione – racconta – il segnale è andato via e non sono riuscito più a ritrovarlo”. Una benedizione poi ricevuta proprio dal Papa nel suo incontro a Santa Marta.
“Dio ti ama”
Quel che padre Gigi lascia nel racconto della sua prigionia è una sensazione di pace, di un uomo consegnato al volere del Padre che vede un segno nella scritta su una barca, dopo il sequestro, un messaggio che non lo abbandonerà mai: “Dio ti ama”. Segni che non lo lasciano solo nella violenza subita, nel silenzio del deserto, nella disperazione condivisa con altri prigionieri e nel ritorno ad una realtà rumorosa che lo travolge.
Padre Gigi Maccalli cosa significa per lei questo riconoscimento?
Innanzitutto grazie di cuore. Grazie per il vostro affetto e la vostra attenzione, sto vivendo questi mesi secondo quanto dice il Vangelo: “riceverete il centuplo”. Sto ricevendo il centuplo in amicizia, in fraternità, in casa come ha detto il direttore. Questa casa della radio è diventata parte della mia vita e vi ringrazio con tutto il cuore.
Come molti sanno lei ha ascoltato la Messa di Pentecoste nel deserto, è riuscito ad intercettare la voce di Papa Francesco. Da allora ad oggi, la sua vita è stata stravolta, ed è stato necessario anche un momento di riflessione, di pausa, un momento fruttuoso perchè è uscito questo libro che si chiama “Catene di libertà”. Oggi come guarda al futuro con il carico di quella esperienza?
Ti dico che c’è un “prima” e un “dopo”. Questa vicissitudine, questa sventura ha marcato una frontiera e credo che me ne stia aprendo una nuova che ancora sto cercando di definire, di interpretare. Ma intravedo che mi porta sulle frontiere dove c’è sofferenza, dove c’è speranza da infondere, dove liberare cuori affranti da situazioni che stanno vivendo in grande sofferenza.
Ci avviciniamo al Natale e questo bambino che nasce arriva proprio nel momento di difficoltà per il mondo travolto da una pandemia che sembra non avere fine, travolto da tanti problemi, da tante afflizioni. Lei si sta aprendo con dedizione verso il mondo delle migrazioni, che ci riporta alla luce il dramma di tante persone che scappano da guerre e conflitti…
La sfida dell’emigrazione mi interpella in materia molto forte. Io vorrei essere una presenza che accoglie, che condivide, compartecipa a storie che hanno attraversato mari e deserti di solitudine e di sofferenza. Non so come, ma mi metto in ascolto dello Spirito per essere questo approdo di accoglienza e di ascolto e poi penso anche a quanti soffrono per la pandemia. Ne ho fatto anche l’esperienza diretta, posso dirlo dall’interno anche e oggi molta gente viene a riversare su di me tante situazioni di sofferenza in famiglia, nelle varie comunità che incontro. Sono un po’ cassa di risonanza e cassa di accoglienza di tante situazioni di sofferenza quasi che a riversarle su di me alleggerisse il peso e si possa trovare comprensione in questa sofferenza condivisa.
Perché sulle sue spalle un peso grande l’ha portato per tanti anni…
Sì e poi mi viene aggiunto. Papa Francesco mi disse di aver pregato per me, “ma tu – ha detto – hai sostenuto la Chiesa”. Sono pesi grandi quando ti arrivano sulle spalle davvero, per questo ho bisogno anche di scaricare io stesso nella preghiera e nel silenzio il dolore, il grido di tante persone che condividono con me quanto stanno vivendo.
Ha citato Papa Francesco, siamo alla vigilia del suo ottantacinquesimo compleanno. Qual è l’augurio che vuole fare?
Caro Papa Francesco il mio augurio viene dal profondo del cuore per questo anniversario. Quando ero in prigionia, il primo video che mi è stato fatto fare, forse lo hai ricevuto, mi hanno detto di rivolgermi a te. Mi hanno detto di rivolgerti una parola e io l’unica parola che ti ho detto è stata: “Papa Francesco ricordati di pregare per me” e io ti assicuro che come tu lo chiedi a tutti i cristiani io mi ricordo ogni giorno e, in modo particolare in questo giorno del tuo compleanno, prego per te.
Padre Gigi, lei è un missionario, ora missionario qui in Italia, però lo è stato per tanti anni in Africa. Missionarietà e Natale. Che legame c’è?
Io sono un missionario e lo sono ovunque perché la missione non è una dimensione del fare, ma una dimensione dell’essere, dell’essere Chiesa e quindi come tale il mio essere missionario è condivisione, attenzione e prossimità con tutte le situazioni di povertà e di sofferenza che ci sono nel mondo e anche vicino a noi, come il povero della porta accanto. La missione è questa dimensione propria per la nostra Chiesa propria al Natale, perché il Natale è un annuncio di pace e io credo che ciò di cui abbiamo più bisogno nelle grandi periferie della missione è proprio la pace. Io chiedo a tutti di pregare per la pace, soprattutto in quelle zone del Sahel che ancora oggi sono prigioniere e vittime di tanta violenza, di tanta ingiustizia e anche di guerra.
Faccio l’ultima domanda guardando quella croce che porta, che ha tanto significato. Ecco la sua croce è quella di tante persone ancora nelle mani di sequestratori. Un pensiero per loro che vivranno questo Natale purtroppo in una condizione di costrizione…
La croce è la chiave di lettura della mia storia e di questo evento che mi ha sconvolto, sorpreso e quindi anche il Natale in qualche modo è un invito a leggere la sofferenza di tante persone. Tra gli episodi del Natale quello che mi parla in modo particolare è proprio quello della strage degli innocenti. Ciò che questa esperienza mi ha dato è di vivere una forte comunione con le tante vittime innocenti. Ecco, portiamo al Bambin Gesù tutta questa sofferenza, che lui stesso ha vissuto fin da subito andando fuggiasco in Egitto, tutti quelli che fuggono da situazioni di violenza, perché la vita possa sempre, anche attraverso queste storie un po’ tortuose, vincere tanto odio e tanto male. Che sia un Natale di pace.