Adriana Masotti – Città del Vaticano
Una figura piuttosto imponente, con addosso il lungo abito nero con cappuccio dei serviti, inginocchiata in preghiera sotto l’altare su cui troneggia una grande statua della Vergine Addolorata, raffigurata con le sette spade conficcate nel cuore: così ricordo padre David Maria Turoldo di passaggio, una sera, presso il Santuario della Madonna delle Grazie di Udine.
Dal Friuli al mondo: “una vita da rivoluzionario tradizionalista”
Era nato a Coderno, in Friuli, il 22 novembre in una famiglia contadina poverissima e il Friuli lo portò sempre nel cuore. “Sono un pellegrino, un vagabondo”, diceva di se stesso, “ma il posto di partenza e di arrivo è sempre il Friuli dal punto di vista dell’emozione e del sentimento”. Fu davvero un vagabondo, portato in giro in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, Messico, Sud-Africa dall’impeto di una predicazione vigorosa del Vangelo, ma anche dalla sollecitazione delle autorità ecclesiastiche timorose delle sue prese di posizione e delle sue critiche ad una Chiesa che amava con passione ma che, in tempi pre-conciliari, voleva rinnovata, più vicina ai poveri e più aperta al dialogo con tutti, anche i non credenti. “Una vita da rivoluzionario tradizionalista” la sua esistenza, secondo i confratelli.
La fede pregata e cantata nei versi poetici
Sempre alla ricerca del volto dell’uomo, e insieme del volto di Dio, padre Turoldo parla e agisce: fonda il Centro di spiritualità “Casa di Emmaus” a Fontanella di Sotto il Monte nel bergamasco, il Centro culturale “Corsia dei Servi” a Milano, l’editrice Servizium, collabora con la città di Nomadelfia di don Zeno Saltini, si dedica ai poveri, realizza un film, scrive poesie e articoli, tiene conferenze. Carlo Bo disse di lui: “Turoldo nascendo ha avuto due doni da Dio: il dono della fede e il dono della poesia”. Una fede profonda, ma non esente dal dubbio; una poesia che trae ispirazione dai Salmi e da altri testi biblici, che scava nel mistero del dolore e della morte. E che vive come atto religioso e come dono per l’umanità. Attraverso la poesia, diceva, “prego e canto per tutti”.
“Figura amata e odiata, voce baritonale da cattedrale e da deserto”, così per l’amico il cardinale Gianfranco Ravasi che con Turoldo curò alcuni volumi di commento a testi della Scrittura. Profeta, disturbatore delle coscienze, come fu definito, fece scalpore la lettera scritta alla madre di Pier Paolo Pasolini, che lesse ai funerali dell’intellettuale, anche lui di origini friulane. Le sue eseque funebri furono celebrate dal cardinale Carlo Maria Martini, allora arcivescovo di. Milano, che nell’omelia sottolineò il suo amore di tutta una vita per la Vergine Maria. Alla fine degli anni ’80 a Turoldo viene diagnosticato un cancro al pancreas, affronta la malattia con coraggio attingendo alla sua fede, confessando anche, in un’intervista televisiva di Enzo Biagi, che a volte di fronte a certi dolori fisici, aveva compreso perfino i malati tentati dall’idea dell’eutanasia, ma lasciando a tutti un messaggio di speranza e di amore per la vita invitando ad accogliere ogni giorno come “un giorno nuovo, che non è mai stato vissuto da nessuno sulla terra”. L’ultima sua Messa, celebrata in diretta su Rai Uno, il 2 febbraio 1992. La sepoltura nel piccolo cimitero del Priorato di Sant’Egidio di Fontanella, in cui riposa ancora oggi sotto una semplice croce di legno.
Maraviglia: in lui il richiamo alla fratellanza oltre le diversità
In molti hanno scritto di padre David Maria Turoldo. Della storica Mariangela Maraviglia – con un dottorato di ricerca in Scienze religiose, magistero in Scienze religiose e laurea in Storia della Chiesa – è la biografia intitolata “David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992)”, pubblicata da Morcelliana nel 2016. Ma in tutti questi anni Maraviglia ha continuato a parlare di lui in interviste e conferenze testimoniando un profondo interesse per la sua figura. Ai microfoni di Vatican News ce ne parla con passione:
Mariangela Maraviglia, la personalità di padre Turoldo è molto ricca e complessa, in questa intervista non potremo indagare tutti i suoi aspetti. Una cosa che però mi pare fondamentale e da cui vorrei cominciare è la sua partecipazione costante alle cose del mondo, stando sempre dalla parte dei poveri…
Sì la partecipazione alle cose del mondo stando sempre dalla parte dei poveri è forse la chiave fondamentale della vita di Turoldo. Una partecipazione che trovava le sue radici nella miseria, nell’emarginazione, nella fame sofferte nel Friuli della sua infanzia: proprio in quell’esperienza sofferta avrebbe trovato le motivazioni profonde per la lotta contro l’ingiustizia poi combattuta per tutta la vita. La sua, come ogni vocazione religiosa, affermava Turoldo, “se ha un senso, è nella misura in cui ci si dona all’uomo per liberarlo”. Una partecipazione che veniva poi confermata dalla scoperta della Bibbia letta da Turoldo come “grande codice” culturale di valore universale per liberare l’umanità da tutti i suoi limiti, personali e collettivi. La liberazione dei poveri dall’ingiustizia e dalla miseria era in fondo per lui l’anticipo e il segno dell’abbraccio eterno in cui sarebbe stata donata a tutti l’abbondanza della vita promessa dalla speranza cristiana.
Turoldo è stato definito in tanti modi: poeta, profeta, disturbatore delle coscienze, uomo di fede, personalità potente. Lei quale definizione sente più vera?
La definizione che lei cita è del cardinale Carlo Maria Martini che ne volle celebrare il funerale l’8 febbraio 1992. È assai indovinata, perché Turoldo è una personalità complessa e ricchissima e una sola definizione non basta. Martini aggiungeva anche: amico di tutti gli uomini, amico dell’umanità. In queste diverse sfaccettature fu riconosciuto da persone di diverse culture e professioni, cattolici e laici, incolti e sapienti. Nella biografia che gli ho dedicato ho potuto ricostruire la vastissima platea di personalità con cui collaborò e spesso fu in grande amicizia: da figure religiose come don Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, a poeti rinomati come Andrea Zanzotto e Alda Merini, a politici di grande visione profetica come Giorgio La Pira ed Ernesto Cardenal per limitarsi a pochissimi nomi noti. Nomi che evocano la vastità e la diversità degli ambiti in cui Turoldo si spese con impegno generoso e appassionato.
Si è detto di lui che è stato allo stesso modo alla ricerca del volto dell’uomo e del volto di Dio, uno che ha amato con la stessa intensità il cielo come la terra. Mi pare bellissima questa “unità” della sua persona…
Un poeta di oggi, Gabriel del Sarto, ha scritto che la poesia di David Maria Turoldo è il tentativo “di amare e tenere insieme: la polvere della terra, le infinite galassie, il nome di Dio”. È una sintesi della poesia di padre David ma può essere il ritratto della sua vita, segnata insieme dalla ricerca costante, spesso affannosa e sofferta, del volto di Dio e insieme segnata dal suo essere come è stato scritto, “Innamorato del terrestre”. Questo amore richiama in causa quella bontà del creato che Turoldo apprendeva dalla Bibbia, un creato benedetto e illuminato dall’incarnazione di Cristo. E questo ha significato fedeltà alla storia e all’umanità del suo tempo, si è tradotto concretamente nella partecipazione alla Resistenza contro il fascismo, nel suo generoso spendersi sui fronti della giustizia e della pace negli anni successivi, nel suo cogliere, fin dagli anni ottanta e anche prima, la sofferenza della natura e la necessità di un impegno per il ristabilimento di un “giusto rapporto” tra l’umanità e le cose, riconoscendo nell’ecologia un “segno dell’armonia cosmica” di cui l’umanità doveva farsi “espressione consapevole”.
Precedendo il Concilio Vaticano II, Turoldo voleva una Chiesa rinnovata, accogliente. Non fu facile per lui portare avanti questo obiettivo, e tanti ostacoli li trovò proprio all’interno della Chiesa. Così si ritrova ad essere un pellegrino, un vagabondo…
Negli anni ’50 fu più volte allontanato dall’Italia perché disturbava un cattolicesimo che si voleva conformista e omologato a un’unica voce: una prima volta nel 1953 dopo una lunga stagione di impegno a Milano. Riparò in un monastero tedesco da dove riuscì a tornare un anno dopo nella vitalissima Firenze che aveva Giorgio La Pira come sindaco e da lì fu allontanato nel 1958 questa volta inviato a Londra, da cui sarebbe partito per una lunga predicazione americana. Poté rientrare in Italia nel 1960. Negli ultimi anni della sua vita avrebbe parlato di questo suo vagabondare come di un’occasione di conoscenza di volti e posti lontani: Inghilterra, Usa, Canada, America Latina… ma sul momento visse quegli esili come le “più grandi crisi della mia vita” perché, aggiungeva, era “proprio la Chiesa a impedirti di vivere il Vangelo”.
La fede, forte – basta pensare a ciò che disse della sofferenza e della morte, a come affrontò la morte dei suoi genitori e la sua -, ma anche il dubbio in padre Turoldo. Come ha messo insieme padre David Maria questa doppia tensione?
Un lettore attento e affettuoso di padre Turoldo, lo storico Michele Ranchetti che gli fu grande amico, sosteneva che “padre David non poteva non credere, che la sua incredulità era solo apparente e strumentale”. Io credo invece che la sua grande domanda di Dio, il suo essere “ammalato” di Dio, nascondesse un vero interrogativo, un vero dubitare. di fronte al silenzio di Dio Ma è vero che il dubitare di Turoldo è sempre nella forma del dialogo, un dialogo ininterrotto, una sorta di corpo a corpo combattuto come Giacobbe con l’angelo nell’intento di strappare Dio al suo “mistero”, di svelarne e comprenderne i piani. Un dubitare che si risolve in molte pagine, e anche nelle ultime pagine, nel volto di Cristo, che nel condividere lacrime, paure, vulnerabilità di noi umani, colma la distanza, e gli appare la “sola risposta al tuo infinito silenzio”.
Due funerali, quello a cui padre Turoldo ha partecipato suscitando scandalo in tanti – il funerale di Pier Paolo Pasolini, di cui quest’anno si sono ricordati i 100 anni dalla nascita-, e il suo celebrato dal cardinale Carlo Maria Martini. Due momenti significativi…
Potremmo dire che sono stati due atti di riconoscimento: il primo, il riconoscimento di Turoldo nei confronti di Pasolini, il secondo a Milano della Chiesa italiana nei confronti di Turoldo. Turoldo fu presente ai funerali di Pasolini, a Casarsa, in Friuli, nel novembre 1975, ricavandone prevedibili riprovazioni. In quell’occasione lesse una lettera di solidarietà alla madre del poeta con una nota di indignazione per la mancanza di pietà mostrata da molti; si sentiva vicino a Pasolini per la denuncia della disumanità della società che si stava affermando: il consumismo, il vuoto di valori … vi era in entrambi una comune capacità di resistenza alla “deriva nichilistica” del presente. I funerali di Turoldo si svolsero nella chiesa di San Carlo, furono partecipati da migliaia di persone e videro la presenza di ottantacinque sacerdoti, con un’omelia del cardinale Martini che già alcuni mesi prima, nel consegnargli il premio Lazzati aveva parlato di un atto di riparazione da parte della Chiesa che aveva sbagliato a non riconoscere in precedenza la sua voce di profeta. Quei funerali a cui diede ampio spazio sia la stampa cattolica che la stampa laica celebrarono in un certo senso la fine di un’emarginazione e di un vero e proprio ostracismo per la sua voce critica e divergente dai centri del potere.
Un aspetto per il quale padre Turoldo è conosciuto da tanti è quello della poesia, un atto religioso per lui. C’è una poesia che a lei piace particolarmente della sua vasta produzione?
Turoldo, infatti, è stato tante cose ma indubbiamente prima di tutto è stato un poeta. Il poeta, scrive, è colui che è capace di cogliere e captare con le “antenne dei sensi” suoni e silenzi delle cose, della storia, di Dio. Vede con “l’occhio del fulmine” la realtà profonda, che al mondo logico rimane nascosta, vede il conflitto implacabile tra la realtà com’è e la realtà sognata e si fa voce di denuncia come quella del profeta Capta come un “grande orecchio” suoni e silenzi del mondo sensibile e del mondo ultrasensibile e allora si fa cantore del filo d’erba, della luce dell’alba, dell’alito di vento. La sua poesia è sempre appello a un risveglio, che sia di denuncia di ciò che è ingiusto o di canto e comunione con le cose, di appello al silenzio di Dio. Ed è sempre una poesia tuffata nella Bibbia da cui ricavava citazioni, immagini, personaggi. Di tutte le sue poesie vorrei leggerne una che mi piace particolarmente. S’intitola “Oltre la foresta”, è contenuta nel volume “Canti ultimi” ed è tra le sue più note. Dice così:
Mi piace per il suo richiamo alla fratellanza oltre le diversità, per il riconoscimento che nessuno possiede il segreto del nome di Dio, per quel riconoscere le fedi come tramite e non come fine, per quel rievocare un cammino in cui tutta l’umanità è accomunata. Anche nella ricerca di Dio, potremmo dire con le parole di Papa Francesco: “Nessuno si salva da solo”.
A 30 anni dalla morte di padre David Maria Turoldo, a suo parere c’è una comprensione maggiore della sua figura? Oppure la si è dimenticata? Quali elementi secondo lei rimangono più validi?
Credo che un po’ ancora lo si ricordi. Questo trentennale dalla morte non è trascorso senza memoria. Possiamo forse dire però che la sua qualità di poeta è quella che più facilmente può attraversare le generazioni e continuare a parlare anche molto oltre la storia del suo tempo: non è un caso che ancora molti giovani e spesso giovani poeti avvertano la potenza e il fascino, la necessità della sua parola poetica e lo avvertano come ispiratore della loro poesia. Io auspico soprattutto che non si perda lo “stile” della sua vita che richiamerei in due passi: lo stare nel cuore della storia con la postura vigile di chi la prende sul serio, condividendo fino in fondo le speranze e le tragedie che la abitano, sposando con audacia le grandi utopie di rinnovamento sociale ma anche rispondendo ai concreti bisogni di solidarietà quotidiana. E il secondo, il suo interrogare incessante sul senso della vita e della storia che si fa appello al silenzio di Dio e si placa nel volto amorevole di Gesù Cristo. È questo stile di apertura, audacia, accoglienza tra gli uomini e il creato che mi auguro si possa trasmettere alle presenti e alle future generazioni.