Adriana Masotti – Città del Vaticano
Tra i tre firmatari della Lettera ecumenica diffusa in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani in corso fino al 25 gennaio, il nuovo metropolita della Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia ed esarca dell’Europa meridionale, Polykarpos Stavropoulos, già metropolita di Spagna e Portogallo. Lo ha eletto il Sinodo del Patriarcato ecumenico, presieduto da Bartolomeo I, lo scorso 14 gennaio. In questi giorni a Costantinopoli, il vicario patriarcale Polykarpos succede al metropolita Zervos Gennadios, scomparso il 16 ottobre scorso.
Un secolo di progressi sulla via dell’unità
Il 7 dicembre 1965 una storica Dichiarazione comune poneva fine alle reciproche scomuniche tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. Nel messaggio che Papa Francesco indirizza al Patriarca Bartolomeo I, nel giorno della festa dell’apostolo Andrea lo scorso 30 novembre, c’è il riconoscimento del “desiderio di una sempre maggiore vicinanza e comprensione tra i cristiani” manifestato per primo da Costantinopoli un secolo fa, e la constatazione della notevole crescita dei rapporti tra le due Chiese in questi anni. “Sebbene permangano degli ostacoli, sono fiducioso – scrive Francesco – che, camminando insieme nell’amore reciproco e perseguendo il dialogo teologico” sarà possibile giungere all’obiettivo “del ripristino della piena comunione espressa attraverso la partecipazione allo stesso altare eucaristico”, per “riunire tutti gli uomini in un unico corpo, e sulla pietra angolare della Chiesa unica e santa”.
La testimonianza cristiana della carità
In merito alla difficile condizione in cui si trova oggi il mondo, nella Lettera ecumenica per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si legge l’auspicio di non tornare a prima della pandemia, ma piuttosto “che tutto torni meglio di prima, perché il mondo è segnato ancora troppo dalla violenza e dall’ingiustizia, dall’arroganza e dall’indifferenza”. E si spiega che “in questi mesi di dolore e di grande bisogno, si è moltiplicata la solidarietà”. “Molti si sono uniti alle nostre comunità – prosegue la Lettera – per dare una mano, per farsi vicino a chi aveva bisogno di cibo, di amicizia, di nuovi gesti di vicinanza (…) Sentiamo il bisogno di ringraziare il Signore per questa solidarietà moltiplicata”. Una testimonianza di unità vissuta nella carità e nei gesti concreti. Una testimoninza essenziale, conferma ai microfoni di Vatican News, l’archimandrita del Trono Ecumenico, padre Athenagoras Fasiolo, rappresentante del metropolita Polykarpos, in questi giorni a Costantinopoli:
R. – Certo, la carità, ce lo dice Cristo stesso, è il cammino prioritario, se tra cristiani non viviamo il significato più profondo della carità, cioè proprio l’amore che si fa realtà verso l’altro, avremo solamente dei discorsi interessanti, teologici, però staccati dalla vita quotidiana. Quindi dobbiamo vivere l’unità nelle difficoltà, per esempio del nostro Paese, in questo caso per noi dell’Italia, ma ovunque nel mondo, viverla insieme in queste difficoltà che sono economiche legate al Covid, difficoltà delle persone proprio perché si vive una realtà difficile, e questo deve accompagnarci e deve farci sentire prima di tutto cristiani, perchè siamo cristiani, poi abbiamo le nostre appartenenze ecclesiali e va bene, però dobbiamo essere testimonianza della carità.
La Chiesa cattolica e quella ortodossa hanno compiuto tanti passi avanti nella reciproca conoscenza e nell’amicizia attraverso tanti gesti concreti condivisi anche al più alto livello. Pensiamo, recentemente, ai tanti incontri tra Papa Francesco e Bartolomeo, ma anche ai messaggi e agli appelli congiunti per l’accoglienza dei migranti, per la pace, senza dire l’impegno comune per la salvaguardia del creato. Insomma, lei come vede oggi il rapporto tra le due Chiese?
R. – Lei ha toccato i punti fondamentali del dialogo ecumenico moderno, direi, e avendo la benedizione di lavorare a stretto contatto con il patriarca di Costantinopoli, posso testimoniare il suo profondo amore, amore cristiano vero, verso Papa Francesco e verso l’intera Chiesa cattolica. Ma è un amore che nasce dal Vangelo, è un amore che nasce dalla concretezza dei gesti. Certo il dialogo ecumenico secondo me, pur necessario oggi per quanto riguarda l’aspetto teologico – e il lavoro della Commissione teologica, nonostante tante difficoltà legate soprattutto alla parte ortodossa in questo periodo, va avanti -, tuttavia abbiamo compreso che in questo momento dobbiamo camminare maggiormente nella salvaguardia dell’uomo. E quando parlo dell’uomo, parlo dell’uomo nella sua interezza, non solo come persona fisica, ma dell’uomo all’interno del creato datoci da Dio per cui in tutte le dimensioni: pensiamo solo alle opere monumentali che l’uomo e la storia ci hanno lasciato, pensiamo alla salvaguardia degli ultimi, vediamo ogni giorno quello che succede nel mondo, la grande transumanza dei popoli, tutte le necessità che ci sono, per cui se i capi delle Chiese non si riuniscono insieme e comprendono insieme di dover dire una voce unica al mondo, allora il nostro messaggio non risuona credibile. Credo che le nostre Chiese si siano incamminate su questa strada e penso che possano fare molto.
Le faccio una domanda che di solito non si fa nel senso che si cerca, ovviamente, ciò che ci unisce più che ciò che ci divide.Se però qualcuno le chiedesse: che cos’è che ancora ci divide tra cattolici e ortodossi, che cosa potrebbe rispondere in sintesi?
R. – In sintesi? Allora direi l’ignoranza. L’ignoranza è il peggior nemico, il non conoscersi l’uno con l’altro è il peggior nemico. Dal punto di vista ortodosso questa ignoranza esiste in tanti nostri Paesi, purtroppo in molti posti ancora si pensa all’altro come a un pericolo, qualcuno che ruba qualche cosa di proprio che abbiamo salvaguardato nei secoli, e così non capiamo che il dialogo invece è ricchezza, è testimonianza. Ora, dopo tanti anni di ecumenismo, dopo tanti anni di dialogo, io credo che il pericolo più grande resti ancora l’ignoranza intesa come non conoscenza.
Venendo alla Settimana di preghiera di quest’anno, come la vivranno i cristiani ortodossi? E’ stata organizzata qualche iniziativa particolare, qualche momento di riflessione particolare?
R. – La Chiesa ortodossa, come lei sa bene, nella liturgia prega ogni giorno per l’unità delle sante Chiese di Dio che non significa solo l’unità delle Chiese ortodosse. E certo, anche nella Settimana di preghiera, che varia un po’ da Paese a Paese, ci sono Paesi più sensibili perché vivono magari al proprio interno la presenza di diverse confessioni cristiane, per cui la Settimana lì è più sentita. Ora anche nei Paesi che definiamo più tradizionalisti, anche se non è la parola più corretta, ci sono delle spinte al dialogo, ma è chiaro che nei Paesi della diaspora, dove la maggioranza non è ortodossa, è molto più facile il contatto perché anche i nostri fedeli conoscono gli altri cristiani, molte sono le famiglie miste, vivono questa dimensione, sentono anche la sofferenza della divisione. Non c’è solo l’appartenenza ad una minoranza e quindi la chiusura in una minoranza. Come arcidiocesi ortodossa, noi lavoriamo molto sotto questo aspetto, non siamo una minoranza etnica, non siamo una minoranza religiosa, viviamo in questo Paese e possiamo portare il nostro contributo a questo Paese, dobbiamo essere aperti e collaborativi con tutti.
Parlando di unità, l’obiettivo più bello da raggiungere sarebbe partecipare alla stessa Eucarestia. Questo è il sogno, e Papa Francesco lo esprime diverse volte: la partecipazione allo stesso altare eucaristico. Potrà arrivare?
R. – Certo, questo è il sogno di tutti i cristiani. Questo è il punto più alto della nostra unità, l’Eucaristia è il simbolo dell’unità. Ci vuole tanta preghiera ancora, ci vuole tanta preghiera, ma, come dico sempre, ci vuole anche tanta conoscenza e rispetto, e bisogna capire che l’unità non è uniformità, ma essere fedeli sia alla tradizione della Chiesa, sia all’insegnamento dei Concili, ma anche al soffio dello Spirito Santo: non dobbiamo chiudere lo Spirito Santo nelle nostre piccole particolarità, dobbiamo lasciare che agisca, dobbiamo essere veramente compartecipi della presenza dello Spirito Santo. Io credo che il Signore ci donerà un giorno questa grande gioia di poter partecipare all’unico Calice, all’unico pane.
Nella sua arcidiocesi c’è stato un evento importante, la recente scomparsa del metropolita Gennadios che, per tanti anni come di legge nella Lettera ecumenica, “ha condiviso il cammino verso la piena unità”, e io aggiungerei con tanta fede e determinazione. Poi il 14 gennaio l’elezione del metropolita Polycarpos. L’impegno per l’unità continua?
R. – Sicuramente continua, questa non è una volontà, o una passione semplicemente, è un impegno. E l’impegno della Chiesa di Costantinopoli, la prima Chiesa nella sinfonia delle Chiese ortodosse, il Patriarca ecumenico e tutti i suoi vescovi vivono questo spirito. Il metropolita Gennadios è stato uno dei grandi artefici dell’ecumenismo in Italia, lo viveva, lo sentiva, ha vissuto anche i suoi primi passi, perché lui era qui sin dagli anni ‘60 quando era ancora diacono per cui ha fatto tutto il cammino. Anche io sono nato in Italia, vengo da una famiglia mista per cui ho vissuto il cammino ecumenico. Adesso è arrivato il nuovo metropolita Polycarpos, che giungerà alla sua intronizzazione a fine febbraio, come nuovo pastore e lui ha vissuto tanti anni in Italia nel passato. Io sono sicuro che questa dimensione ecumenica della nostra arcidiocesi non farà altro che accrescere con la guida del metropolita Polycarpos ancora di più, ne sono certo.