Andrea De Angelis – Otranto
Era prevedibile già alla vigilia dell’evento e i pronostici non sono stati sbagliati: la guerra in Ucraina è stato il tema centrale del Festival dei Giornalisti del Mediterraneo 2022. Venerdì sera, penultimo appuntamento dell’evento che caratterizza la fine estate pugliese da ben 14 anni, a Largo Alfonsina, nel cuore di Otranto, i relatori sono tornati a confrontarsi sul conflitto iniziato ormai da duecento giorni. Nel corso della serata è stata anche sottolineata l’importanza della candidatura di Otranto come Capitale italiana della Cultura per il 2025.
Costruire la pace
Moderata da Paolo Di Giannantonio, giornalista del Tg1, la quinta sessione dell’evento ha posto un interrogativo ai relatori presenti: che mondo dopo la guerra? Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, ha ricordato come il Papa non si occupa della guerra come un politico, ma dice un qualcosa che hanno detto anche i suoi predecessori e che ha una radice evangelica. “Il Papa ci ricorda che la guerra non è una soluzione per la pace. Francesco ha detto che c’è un aggressore, ha detto che questo conflitto è un sacrilegio, ha usato parole durissime. A un certo punto bisognerà fare la pace? Sì. Tanto vale pensare a un modo per trovare la pace, prima che muoia la gente e non solo sul fronte”, ha spiegato Ruffini. “Oggi – ha aggiunto – ho sentito un mio amico, un sacerdote che in Sierra Leone ha messo in moto un sistema di pronto soccorso, di ambulanze che funzionava 365 giorni all’anno. Ora a causa dei rincari le ambulanze viaggiano 8 giorni al mese. Gli altri 22 no”. Quindi Ruffini è tornato sulle parole di Francesco: “Il Papa ha parlato di Terza Guerra Mondiale a pezzi, e nell’ultimo appello che ha fatto non ha più detto a pezzi. C’è un modo per dire che gli equilibri fondati sulla deterrenza non dureranno? C’è un modo per costruire la pace lavorando sulla cultura, sul pensiero, con la diplomazia e non pensando che la pace si ottiene solo con le guerre? Questo lo hanno detto anche i predecessori di Francesco, penso ad esempio alla Pacem in Terris di Giovanni XXIII. Forse ci sono altre soluzioni, non è un’utopia. Soluzioni dettate non solo dalla bontà, magari anche dall’interesse”. Quindi si è parlato del ruolo della diplomazia: “La Santa Sede ha una grande diplomazia che è a lavoro e ripete che c’è sempre una via diplomatica. Poi c’è un’altra dimensione che è quella di vedere oltre l’oggi, costruendo oggi. La guerra causerà un deterioramento terribile anche dal punto di vista dell’ecologia. Su questo il Papa oltre a parlare ai Governi, parla ai popoli. Se ogni persona non si sente chiamata ad un impegno, finiremo per pensare che tutto è un Risiko. Non è così! Benedetto XVI parlava del realismo della non violenza, del realismo del dialogo. Queste – ha concluso – sono le due dimensioni: quella diplomatica – penso alle parole sul disarmo – e quella del parlare a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, credenti e non credenti
La situazione in Ucraina
“Chiedersi qual è la situazione sul campo è forse la domanda più difficile”. Ha iniziato così il suo intervento Gabriella Simoni, inviata speciale di Studio Aperto. “La prima fase della guerra in Ucraina è stata la più emotiva, il timore che si espandesse e che ha portato l’Europa a rispondere ad una sola voce è un dato. Io ero a Kiev e ho vissuto l’assedio, le metropolitane piene di gente. Sapendo che l’unico lavoro che si poteva fare era raccontare ciò che si vedeva, senza la pretesa di dare una ragione. È difficile perché – ha sottolineato – è subentrata la propaganda, i bollettini che erano un successo per l’una e l’altra parte”. Quali i momenti più siginificativi? “Per me sono stati due. La famiglia che è morta scappando, gli zainetti a terra, quei corpi coperti dalle lenzuola. Abbiamo capito a Kiev cosa significava scappare. Un altro momento fondamentale nella capitale è stato tra il 29 e il 30 di marzo, quando si è stato vicini all’inizio di una trattativa. Dobbiamo capire perché lì quella speranza si è interrotta. Da quel momento in poi, dal riposizionamento delle truppe russe verso il Donbass, l’opinione pubblica ha iniziato a sentire più lontana questa guerra. È diventata una guerra più economica”. Due sono anche i piani di analisi: “Da un lato una guerra tra Stati Uniti e Russia che si combatteva in Europa, dall’altro una guerra di trincea, stile Prima Guerra Mondiale. Un racconto, quest’ultimo, che confligge con l’idea di guerra totale, globale, di altissimo livello anche nella sua pericolosità. Quello che io ho visto è la guerra di trincea, quello che ho percepito e che c’era qualcos’altro, di più alto, che passava sopra le nostre teste, proprio come i missili. Oggi – ha concluso – le uniche trattative possibili sono quelle concrete, come lo scambio dei prigionieri. L’unico accordo che regge è quello sul grano”
Il mondo è cambiato
“I russi potrebbero usare le armi atomiche tattiche, che hanno un raggio di pochi chilometri. Questo è stato previsto da molti esperti, ma voglio credere che non accadrà almeno nei prossimi mesi. Su questo sono ottimista, ma non sulla fine della guerra”. Lo ha detto Stefano Polli, vicedirettore dell’Ansa. “Per me questa guerra non finirà ora, somiglia molto alla Prima Guerra Mondiale, è una guerra di trincea, di attrito, di confronto su pochissimi chilometri. La guerra c’è, continua, probabilmente rimarrà congelata in questa situazione, l’inverno non permetterà sviluppi strategici importanti”, ha aggiunto, sottolineando come “ci sono le altre guerre all’interno e all’esterno di questa che continueranno per anni. Quella della disinformazione, che vediamo tutti i giorni, e quella economica. Quest’ultima è il vero punto. Le sanzioni, le future alleanze sono già un frutto. Questa guerra cambierà il mondo, è una vera curva della storia e come la Guerra Fredda finirà sui libri e verrà studiata. Parlare di pace è molto difficile. Se anche smettessero tra sei mesi o un anno di spararsi in Ucraina, rimarrà la contrapposizione militare”. Secondo Polli “la guerra rimarrà e sarà una guerra economica. È vero – ha concluso – che la Nato ha compiuto errori, non ha saputo contenersi dopo la vittoria della Guerra Fredda, ma nel momento in cui si invade un Paese con le armi si ha sempre torto. L’invasore ha un nome: Vladimir Putin. Il Paese che è stato invaso è l’Ucraina”.
La guerra non è esplosa all’improvviso
“Ciò che occorre è una maggiore empatia cognitiva, il provare a ragionare mettendosi anche nei panni dell’altro. Un concetto che ha espresso molto bene il Papa nell’enciclica Fratelli tutti”, ha esordito Marco Carnelos, ex ambasciatore italiano in Iraq. Quindi una riflessione sui “tanti paradossi della guerra”, a partire “dalla mediazione turca. È abbastanza deprimente che il leader di una nazione che l’Europa respinge dal 1960 sia quello che fa subire all’Europa una trattativa. Non si è voluto, non si è saputo capire che questa situazione in cui, a parte l’Ucraina e i soldati russi, chi ha più da perdere è proprio Bruxelles. Va ricordato che l’atlantismo è una cosa, l’europeismo un’altra. È mancata nell’Europa la capacità di dire che la politica internazionale non si riduce allo slogan che c’è un aggressore e un aggredito. Gli atteggiamenti verso Yemen e Palestina ad esempio sono ben diversi”. Secondo Carnelos è la diplomazia europea ad essere in difficoltà: “Macron l’altro giorno ha detto agli ambasciatori che la politica estera non può essere dettata dai Paesi dell’Europa orientale, il che rivela una certa irritazione di Parigi per quanto sta accadendo. Questo concorre a determinare una situazione. In questa guerra non ci sono buoni e cattivi, il problema principale è la tendenza a personalizzare i conflitti, per ragioni di comunicazione, di sintesi. Quando poi – ha concluso – si comincia a sposare una narrativa manichea, si sbaglia. Le crisi internazionali non nascono per le decisioni di una singola persona”.
L’incertezza economica
Ad intervenire alla sessione anche Salvatore Toma, presidente Confindustria di Taranto. “La crisi energetica è iniziata già nell’autunno 2021, ma l’autunno prossimo può portare conseguenze disastrose sulle aziende”, ha esordito. “Dal punto di vista geopolitico, anche noi ci chiediamo che prezzo pagheremo per la mediazione turca. Cosa cambierà. Per non parlare delle cosiddette nuove alleanze, del ruolo di potenze come l’India per quanto concerne, ad esempio, l’acciaio. Dal punto di vista prettamente economico, c’è sì incertezza, ma – ha concluso – anche rabbia perché ci sembra che non si voglia capire fino in fondo dove sia la speculazione”.
La serata finale: i premi Caravella
La quarta e ultima giornata del Festival Giornalisti del Mediterraneo – quella della consegna dei premi “Caravella” 2022 – racconta una Otranto candidata a diventare Capitale Italiana della Cultura 2025. Appuntamento alle 21 in Largo di Porta Alfonsina, dove, nel corso di una serata presentata dal giornalista Vincenzo Sparviero, le caravelle di pietra simbolo della manifestazione verranno ritirate da Gabriella Simoni, inviata di guerra del Tg5; Stefania Battistini, inviata di guerra del Tg1; Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede; Giuseppe Brindisi, conduttore di “Zona bianca” (Rete4); David Puente, vicedirettore di “Open”; Renato Piccoli del Tg3 Puglia; Andrea Scanzi (Il Fatto Quotidiano).