Olimpiadi, una donna afghana capo missione del Team dei rifugiati

Vatican News

Su L’Osservatore Romano la testimonianza della ciclista Masomah Ali Zada: ai Giochi di Parigi per costruire un mondo più inclusivo

di Masomah Ali Zada

Come capo missione del Team olimpico del rifugiati  sono orgogliosa di rappresentare ai Giochi di Parigi non solo i 36 atleti che ne fanno parte, ma anche gli oltre 100 milioni di sfollati in tutto il mondo. A Parigi avremo l’opportunità di ridefinire, attraverso lo sport, il modo in cui il mondo ci vede. Per me è un onore essere riferimento e portavoce degli sportivi rifugiati ai Giochi 2024: il nostro obiettivo è sì fare bene nelle gare, ma anche dare un contributo per una società più inclusiva per tutti, insistendo sull’apporto che noi rifugiati possiamo dare alle comunità dove viviamo. Siamo una squadra che condivide, pur con storie e origini diverse, un messaggio di pace e di speranza.

Ho partecipato, come atleta ciclista rifugiata, ai Giochi di Tokyo nel 2021. Ora ho un’altra missione che mi è stata affidata dal Comitato olimpico internazionale nel cui ambito, dal luglio del 2022, faccio parte della commissione atleti. Impensabile per una donna nata in Afghanistan che è stata bersaglio di minacce perché andava in bicicletta! Dal 2017 sono rifugiata in Francia e il Comitato olimpico internazionale mi ha sostenuta con una borsa di studio per l’Università di Lille: questo gesto mi ha consentito, appunto, di prendere parte ai Giochi di Tokyo nella gara ciclistica.

Sono stata costretta a lasciare il mio Paese a causa della guerra e della violenza. Sono cresciuta tra discriminazione e disuguaglianza, con i diritti fondamentali messi in discussione. Ho dovuto trasferirmi in un nuovo Paese, conoscendo una nuova cultura e ricostruendo la mia vita «da zero».

Per una donna andare in bici in Afghanistan non è considerato normale: si potrebbe addirittura dire che è proibito. La mia partecipazione alle Olimpiadi ha dimostrato che lo sport è per tutti, perché è un simbolo di uguaglianza e libertà. Sento di aver infranto un tabù per la mia gente: ho dimostrato che il ciclismo, e non solo, è anche per le donne.