Giancarlo La Vella e Fabio Colagrande – Città del Vaticano
A Tokyo piovono le medaglie, tra lacrime di gioia dei vincitori e lacrime di delusione degli sconfitti. E’ la legge dello sport: solo uno sarà l’atleta che verrà ricordato. Per gli altri la soddisfazione di aver partecipato e l’impegno di migliorare e fare un passo in più nell’edizione successiva. E Papa Francesco, ricordando proprio l’apertura a Tokyo delle XXXII Olimpiadi, domenica scorsa al termine dell’Angelus ha inviato una benedizione agli organizzatori, agli atleti e tutti coloro che collaborano a quella che ha definito “una grande festa dello sport”.
Francesco si è augurato che, in questo tempo di pandemia, i Giochi ì siano segno di speranza, fratellanza universale all’insegna del sano agonismo. Parole che danno un significato profondo all’appuntamento olimpico, in particolare a questo, rinviato per la pandemia e con il rischio contagi sempre altissimo.Nell’intervista a Radio Vaticana-Vatican News monsignor Melchor Sanchez de Toca, sotto-segretario del Pontificio Consiglio della cultura e presidente emerito di Athletica Vaticana, parla dei Giochi come un evento che può dare speranza in un momento così difficile per il mondo intero.
Citius, Altius, Fortius, sì, ma insieme
Monsignor Sanchez de Toca sottolinea come il Comitato del Cio, il Comitato Olimpico Internazionale, prima di Tokyo 2020 ha modificato il motto olimpico “Citius, Altius, Fortius” (più veloce, più alto, più forte”), aggiungendo la parola latina “communiter”, che in una delle sue accezioni vuol dire “insieme”. E’ una decisione, afferma monsignor Sanchez, che richiama l’enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco e restituisce all’attività agonistica quello che è il suo vero significato: le imprese sportive sono realizzate individualmente, ma di fatto condivise da tutti i partecipanti, con l’adesione alle stesse regole e ai principi di solidarietà e lealtà. Proprio in questa pandemia è importante capire e ripetere che “non ci si salva da soli, ma insieme”.