di Nicola Gori
Questa volta tocca ai penitenti imparare a confessarsi bene. È la novità promossa dalla Penitenzieria Apostolica che per la prima volta ha organizzato, per il mese di ottobre prossimo, un simposio dedicato ai fedeli che vogliono apprendere come ci si accosta al sacramento della riconciliazione. Lo annuncia il reggente monsignor Krzysztof Józef Nykiel, in questa intervista a «L’Osservatore Romano», alla vigilia dell’apertura, lunedì 21 marzo, del XXXII Corso sul foro interno, che si svolgerà fino al 25 presso il Palazzo della Cancelleria. Anche quest’anno il corso si conclude con la celebrazione della penitenza alla presenza di Papa Francesco e proprio in quell’occasione vengono consacrate al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina.
Quali sono le finalità e chi sono i destinatari del corso sul foro interno?
Con esso la Penitenzieria Apostolica intende offrire ogni anno un’occasione di formazione a quanti, seminaristi, diaconi o giovani sacerdoti, si accingono a prestare o si sono da poco confrontati con il delicato ministero di confessore, illustrando in particolare la competenza e la prassi del nostro Tribunale e, più in generale, le principali tematiche connesse con il foro interno e la pastorale del sacramento della Riconciliazione. Più volte Papa Francesco ha sottolineato la necessità della formazione, perché «non ci si improvvisa confessori» (Misericordiae vultus, 17). Anche in occasione del Corso sul foro interno del 2019 ha affermato che «l’importanza del “ministero della misericordia” giustifica, esige e quasi ci impone un’adeguata formazione». Il perdurare della diffusione del virus ci impedisce di incontrarci tutti di persona. I numerosi iscritti — oltre 800 — potranno perciò partecipare sia in presenza, in numero ridotto, sia attraverso collegamento da remoto, attraverso le risorse che ci offrono gli strumenti digitali.
Il programma prevede un insieme di interventi dal taglio interdisciplinare. Che tipo di formazione deve avere un buon confessore?
Nel contesto così complesso in cui viviamo, oggi più che mai è richiesta ai ministri della misericordia un’adeguata e aggiornata preparazione teologica, spirituale, pastorale e giuridica. Per questo motivo, nel corso verrà privilegiato un approccio “concreto”, mirato alla retta amministrazione della riconciliazione, alla soluzione di casi particolarmente delicati che, nel sacramento, il confessore può trovarsi a dirimere e al corretto atteggiamento che egli dovrà assumere, di volta in volta, per accompagnare i penitenti con disponibilità, tenerezza e sollecitudine che si traducono nella capacità di ascoltare e prendersi cura di chi si ha di fronte. Desidero però ribadire che, quando si parla di formazione alla celebrazione del sacramento, non si tratta solo di trasmettere nozioni, teorie e aspetti tecnici, peraltro sempre necessari. Sarà un buon confessore solo chi riuscirà a spalancare le porte dei cieli ai penitenti, perché egli stesso per primo ha potuto sperimentare nella sua vita l’amore misericordioso del Padre su di lui e sulle sue miserie. Come ama ripetere Papa Francesco, insomma, non si può essere un buon confessore senza essere un buon penitente.
Il corso si concluderà, venerdì 25 marzo, con la celebrazione penitenziale nella basilica vaticana. Perché è significativo che il Papa abbia scelto proprio quest’ultima occasione per consacrare l’Ucraina e la Russia al Cuore Immacolato di Maria?
Il corso si concluderà con la celebrazione penitenziale presieduta dal Santo Padre proprio perché, come detto, per imparare a essere un buon confessore bisogna anzitutto riconoscersi peccatore e sperimentare su di sé la misericordia e il perdono del Signore. La Penitenzieria metterà a disposizione circa 80 confessori (membri stessi del Tribunale e penitenzieri minori delle basiliche romane) che ascolteranno le confessioni dei fedeli nelle varie lingue. Trovo particolarmente significativo che Papa Francesco abbia scelto questo momento liturgico per consacrare al Cuore Immacolato di Maria le nazioni dell’Ucraina e della Russia, in questi giorni così tragici di grande dolore e sofferenza. Certo, la celebrazione cade il giorno della solennità dell’Annunciazione del Signore. Ma credo si possa vedere uno stretto rapporto tra il sacramento della penitenza e la richiesta a Dio del dono della pace. Mi viene in mente l’accorato appello rivolto dall’apostolo Paolo ai fedeli di Corinto, che esemplifica perfettamente l’invito alla conversione: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5, 20). Riconoscersi peccatori ed aprirsi al perdono del Padre amorevole è indispensabile per ottenere da lui il dono della pace, che solo Lui può dare. Soltanto dei cuori riconciliati da Dio, che hanno saputo riconoscere il male commesso e sono stati inondati dalla sua misericordia, saranno capaci a propria volta di vedere la dignità dei propri fratelli e di riversare su di essi con tutta la generosità l’amore ricevuto.
Per la prima volta, quest’anno, la Penitenzieria organizzerà anche un simposio specificamente mirato alla formazione dei penitenti, per “imparare” a confessarsi. Ci può dare qualche anticipazione in merito?
L’annuale Corso sul foro interno è rivolto ai chierici, a coloro cioè che sono o saranno i ministri del sacramento della riconciliazione. Tuttavia, non pochi fedeli hanno espresso negli ultimi anni il desiderio di poter accedere ad analoghe iniziative di adeguata formazione. La Penitenzieria, tenendo conto di tale reale interesse, ha perciò in animo di organizzare un simposio, nei giorni 13-14 ottobre prossimi, aperto a tutti i fedeli, laici o religiosi, per approfondire — questa volta dal punto di vista del penitente — la conoscenza del sacramento e per imparare a confessarsi bene e sempre più fruttuosamente.
Parlando della formazione dei penitenti per “imparare” a confessarsi bene, non dimentichiamo che nella società di oggi ci sono delle difficoltà pastorali nella celebrazione del Sacramento della penitenza. Quali di esse sono le più diffuse?
Sì, è vero. La celebrazione del Sacramento della riconciliazione ha subito negli anni una certa crisi. Una crisi che andrebbe collocata nel più ampio contesto di crisi di valori e, prima ancora, di fede che caratterizza la nostra società contemporanea. L’uomo di oggi, infatti, sembra aver cancellato Dio dal proprio orizzonte, smarrendo il senso della propria esistenza; egli tenta di placare questo vuoto rifugiandosi talvolta nelle ideologie, nella ricerca del piacere, nel possesso dei beni materiali, nel sentimentalismo, nell’individualismo egoista, e così via. In tale contesto, piuttosto che cedere allo scoraggiamento, occorrerebbe rilanciare con coraggio e fiducia, nell’azione pastorale della Chiesa, il sacramento della riconciliazione, consapevoli che solo l’amore infinito di Dio può riempire il cuore dell’uomo di vera gioia e felicità. Credo che da questa consapevolezza derivi anche una grande responsabilità e un maggior impegno per i sacerdoti confessori. Papa Francesco ha sovente indicato quali sono le caratteristiche che essi sono chiamati ad assumere, per divenire sempre più testimoni veramente credibili e canali fecondi della misericordia del Signore.
A tal proposito andrebbe ripreso in mano il capitolo 10 della lettera Misericordia et misera, che traccia la strada per realizzare un valido percorso di accompagnamento spirituale dei fedeli all’incontro con Dio ed evidenzia, altresì, le diverse tappe di un processo educativo alla Confessione, al quale ogni ministro del sacramento dovrebbe costantemente riferirsi.