Lisa-Zengarini – Città del Vaticano
Ancora morti nel Mediterraneo. Sarebbero 41 le vittime di un nuovo naufragio avvenuto il 20 febbraio al largo delle coste libiche. Fra i dispersi, secondo le testimonianze raccolte dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), 3 bambini e 4 donne, tra cui la mamma di un neonato portato in salvo a Lampedusa.
Una tragedia che si ripete
Le vittime si trovavano a bordo di un gommone con 120 persone partito dalla Libia il 18 febbraio. Dopo circa 15 ore il gommone ha cominciato a imbarcare acqua e le persone a bordo hanno provato in ogni modo a chiedere soccorso. In quelle ore, sei persone sono morte cadendo in acqua, mentre altre due, avendo avvistato un’imbarcazione in lontananza hanno provato a raggiungerla a nuoto, annegando. Altre persone hanno perso la vita durante le operazioni di salvataggio tre ore dopo, aggiungendosi ai 160 migranti morti in mare di cui si ha notizia dall’inizio del 2021.
Cambiare si può
Dopo questa ennesima tragedia dell’immigrazione, il Centro Astalli-Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) rilancia ancora una volta un appello alle istituzioni nazionali e sovranazionali ad attivare operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale per salvare i migranti e portarli in un porto sicuro. “Non soccorrere i naufraghi e rimandare i migranti in Libia è contrario alle convenzioni internazionali in vigore in tutti i paesi UE oltre che ai basilari principi di umana solidarietà”, si legge in una nota che chiede al Governo italiano di attivarsi per l’immediata evacuazione dei campi libici. “Si tratta infatti di uomini e donne che subiscono sistematicamente detenzioni illegittime, violazioni e torture di cui portano segni indelebili. Scappano da un paese in guerra che usa abitualmente la detenzione illegale e la tortura come strumento di coercizione, per questo hanno diritto alla protezione dell’Europa”, afferma il Centro Astalli.