Paolo Ondarza – Città del Vaticano
E’ una tecnica a mosaico unica nel suo genere quella venuta alla luce in seguito ai restauri delle prime quattro pareti del Battistero di Firenze, il monumento più antico della città.
Dante e le “cose mirabili”
Qui fu battezzato Dante Alighieri di cui si festeggiano quest’anno i 700 anni dalla morte e che amava definire questo luogo “il mio bel San Giovanni”. A partire da lunedì 25 gennaio, contemporaneamente alla riapertura della cattedrale e della Cupola di Santa Maria del Fiore, le superfici musive appena restaurate, dopo quattro anni di lavoro, mostreranno il loro splendore originario. “Qua vengono tutti coloro che vogliono vedere cose mirabili” si legge sul pavimento di marmi intarsiati del Battistero, entrando dalla Porta del Paradiso. Mirabile è in effetti la lucentezza di questi mosaici raffiguranti profeti, vescovi e cherubini. L’obbiettivo è ora completare il restauro delle rimanenti quattro pareti entro la fine del 2021. Nonostante il crollo del turismo e le limitazioni imposte dalla pandemia , l’Opera di Santa Maria del Fiore che ha finanziato l’intervento si è posta questo ambizioso traguardo.
Nuove scoperte
Particolarmente complesso il restauro delle pareti di marmo bianco, verde di Prato e mosaici, ha interessato l’architettura, la struttura e la decorazione a mosaico. Mai prima d’ora era stata eseguita una così approfondita campagna di studi e di indagini diagnostiche. Sono emerse interessanti scoperte: l’originalissima tecnica musiva impiegata; la cera pigmentata sul verde di Prato, utilizzata per coprire il bianco del calcare formatosi a causa delle infiltrazioni di acqua; le tracce di foglia d’oro su uno dei capitelli dei matronei. Non è escluso che in origine fossero tutti dorati, abbagliando di splendore lo sguardo di chi accedeva nello spazio sacro.
Un “unicum” tecnico
La grande sfida per i mosaicisti trecenteschi fu sovrapporre i mosaici parietali al preesistente rivestimento marmoreo. “L’impasto utilizzato per applicare le tessere– spiega Beatrice Agostini, progettista e direttore dei lavori di restauro dell’Opera di Santa Maria del Fiore – è un’assoluta particolarità: non fu impiegata una normale malta ma un mastice. Il degrado di questo composto ha rappresentato le problematiche più complesse affrontate da questo restauro”.