Chiesa Cattolica – Italiana

Nova Gorica e Gorizia simbolo per un Europa capace di accogliere

Stefano Leszczynski – Città del Vaticano

Tra le cose buone per cui il 2020 merita di essere ricordato c’è certamente il conferimento del titolo di Capitale europea della cultura 2025, congiuntamente alla città slovena di Nova Gorica e a quella italiana di Gorizia. Lo ha ricordato con orgoglio il capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ricordando i valori della convivenza e del rispetto reciproco che dovrebbero servire da esempio anche in un Europa dilaniata spesso da rivendicazioni nazionalistiche. Un pensiero condiviso con il presidente sloveno Borut Pahor, che citando il progetto ‘Go! Borderless’ auspica che si possa approfondire il processo di cooperazione nello spirito di ‘Due Gorizie-una città’.

Un’esempio di fraternità per l’Europa

“Sicuramente il confine può essere un elemento di divisione, ma può anche rappresentare un’occasione di incontro e uno stimolo all’incontro”. Monsignor Carlo Maria Redaelli, che di Gorizia è l’arcivescovo, ricorda la natura multiculturale della città, che è stata crocevia per l’incontro tra culture come quella italiana, slovena, tedesca ed ebraica. Il conferimento del titolo di Capitale europea della cultura rappresenta una grande occasione e una grande responsabilità per le comunità isontine. “L’ho detto anche nell’omelia del primo gennaio – spiega monsignor Redaelli – rammentando la bellissima enciclica di Papa Francesco ‘Fratelli tutti’. La fraternità di cui siamo chiamati ad essere esempio per l’Europa non comporta la rinuncia alla propria identità, anzi.” Memoria e perdono sono due parole che assumono un particolare significato per le comunità di questi territori profondamente feriti dalla storia. “E’ solo con la capacità di guardare avanti con la convinzione che tutte le persone hanno la stessa dignità di figli di Dio che potremo essere esempio per l’Europa”.

Ascolta l’intervista a monsignor Redaelli]

Un rapporto di collaborazione costruito nel tempo

La stretta relazione che si è costruita nei decenni tra le due città è stata anche il frutto del lavoro svolto dalla comunità cristiana. “Qualche settimana fa – spiega il presule – abbiamo aperto qui a Gorizia con la Caritas un Emporio per l’infanzia, copiando un’idea nata a Nova Gorica e sono venuti anche loro per spiegarci come fare. Da anni poi avvengono degli incontri presso il confine tra le comunità francescane delle due città; quest’anno l’incontro avviene purtroppo solo on line a causa della pandemia, ma ci sono tantissimi altri esempi davvero molto belli.”

Un cammino nel segno della tolleranza e dell’accoglienza

“Quando penso a noi come europei, – prosegue monsignor Redaelli – mi viene da sottolineare il grande ruolo che abbiamo da un punto di vista storico e culturale, senza dimenticare il riferimento alle radici cristiane ed ebraiche, quindi guai a noi se ci chiudessimo in noi stessi, quasi fossimo un fortino, e questo anche in relazione a tutta la tematica molto complessa delle migrazioni”. L’Europa che trova sintesi nell’esperienza di Gorizia è quella capace di dialogare con le diverse culture e con le diverse sensibilità proprio perché cosciente delle proprie radici. Come dimenticare che proprio nell’arcidiocesi di Gorizia si trova la bellissima Aquileia, culla del cristianesimo in tutta la regione del Nord-Est grazie anche alle tante genti che qui arrivavano da lontano diffondendo il messaggio del Vangelo.

Il titolo di Capitale europea della cultura (ECOC)

L’iniziativa ha preso vita nel 1985 per iniziativa di Melina Mercouri all’epoca ministro greco della cultura, trasformandosi in uno dei progetti Ue più riconosciuti. Le Capitali europee della cultura evidenziano, infatti, la ricchezza della diversità culturale europea e danno una nuova visione della storia ed eredità condivise. Il titolo viene conferito ogni anno a due città di due diversi Stati membri dell’Unione. Per il 2025 assieme a Nova Gorica e Gorizia, che si sono presentate con un progetto transfrontaliero, la scelta è caduta sulla città tedesca di Chemnitz, vicina al confine con la Repubblica Ceca, dilaniata dal secondo conflitto mondiale e ribattezzata sotto il regime comunista della DDR, Karl Marx Statdt.

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