Norvegia, i vescovi contro la proposta di legge del governo sull’aborto

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Monsignor Varden e monsignor Edvig firmano una risposta di otto pagine al disegno di legge che modificherebbe la normativa vigente dal 1975 per estendere la scadenza della interruzione volontaria di gravidanza fino alla diciottesima settimana. Per i presuli si tratta una miscela incoerente di scienza, politica e ideologia: “La vita umana inizia con il concepimento e da quel momento merita rispetto. I non nati tutelati anche dalla Costituzione”

Charlotta Smeds – Città del Vaticano

“Se si cambia una legge, dovrebbe essere in meglio”. Così monsignor Erik Varden, vescovo di Trondheim in Norvegia che, insieme a monsignor Bernt Edvig, ha firmato una risposta di otto pagine alla proposta del governo norvegese di modificare la legge sull’aborto finora vigente nel Paese dal 1975. In 145.000 parole, il Comitato per l’aborto nominato dal governo norvegese, ha presentato la sua proposta che rende più facile abortire in Norvegia. I vescovi notano come la lunghezza del testo, insieme a una miscela incoerente di scienza, politica e perfino ideologia, renda difficile per il lettore prestare attenzione ai punti di vista che rendono il disegno di legge insostenibile. Il punto principale della proposta è estendere la scadenza per un aborto facoltativo di sei settimane, fino alla diciottesima settimana inclusa.

La vita inizia dal concepimento

La legge attuale non è una buona legge, affermano i vescovi che sottolineano come “nell’antropologia cattolica è assiomatico che la vita umana inizia con il concepimento e da quel momento meriti rispetto”. Nella loro risposta, i presuli mettono in relazione la normativa attuale con il nuovo disegno di legge e notano una serie di cambiamenti etici, antropologici e filosofici, vedendo nella nuova proposta di legge sull’aborto “un chiaro passo di allontanamento dall’eredità cristiana e umanista della Norvegia”.

Una scelta di vita o di morte

Ancora i vescovi notano che il nuovo disegno di legge evita di parlare di bambini, ma semplicemente “garantisce alle donne incinte il diritto all’aborto e l’accesso ad aborti sicuri e alle successive cure” in modo che possano “prendere decisioni indipendenti riguardo al proprio corpo”. Il vocabolario è cambiato e invece di parlare, come nella legge attuale, della responsabilità della società di aiutare la donna a dare alla luce il suo bambino, si usano parole consumistiche come richiesta, diritto e garanzia di qualità. Il processo decisionale della donna è completamente privatizzato e a lei si dice di richiedere il suo aborto su un sito web tramite un modulo digitale, evidenziano i presuli. Ciò, aggiungono, la lascia sola “in una scelta di vita o di morte. Una scelta che una vera società umana non può lasciare che nessuno faccia da solo”.

Non un conflitto di genere

A detta dei due prelati, il disegno di legge è anche ingannevolmente semplicistico nel designare la legge precedente come obsoleta e patriarcale: “Naturalmente la donna, come l’uomo, deve avere autonomia e controllo sul proprio corpo. Ma la questione dell’aborto non può essere ridotta, come fa il testo, a un conflitto di ruoli di genere”, scrivono. Il Comitato per l’aborto presenta spesso il feto come “un’escrescenza del corpo della donna, un parassita organico… Non possiamo chiedere a una donna che metta il suo corpo a disposizione di un feto per nove mesi”.

Il bambino non nato protetto dalla Costituzione

Infine, Varden e Edvig ricordano che la “vita non nata” è tutelata giuridicamente nella Costituzione norvegese, che afferma: “Anche i non nati sono nominati tra gli aventi diritto all’eredità”. Al nascituro possono essere attribuiti infatti diritti e doveri, ha una propria soggettività che non viene assorbita da quella della madre. “Nell’attuale disegno di legge, questa parte del diritto norvegese viene dimenticata e si basa quindi su false premesse”, osservano i vescovi nella loro risposta.

Il “feto” è un “bambino”?

L’emendamento alla legge afferma che la legge deve “garantire il rispetto della vita non nata”, ma allo stesso tempo dice che la gravidanza deve essere considerata parte della “vita privata” della donna. In altre parole, il nuovo disegno di legge conferma che, in ultima analisi, il criterio per il riconoscimento del bambino dipende dal fatto che il feto sia desiderato o meno. Un altro paragrafo ambiguo del disegno di legge su cui i vescovi attirano l’attenzione è se, con la diagnostica fetale sviluppata, si possano abortire bambini a causa dell’aspetto e del sesso sbagliati o di anomalie cromosomiche. “Ancora una volta il disegno di legge stabilisce una zona grigia rispetto all’inviolabilità della vita”, sottolineano i vescovi.

La responsabilità dei vescovi di rispondere

“Come vescovi, è nostro dovere parlare apertamente di questioni politiche e sociali”, sottolinea monsignor Varden che conclude: “La legge del Paese afferma che le persone hanno il diritto di giudicare da sole cosa costituisce una vita che valga la pena di proteggere, e questo è fatale per la società”.