Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Il Nord-Est della Repubblica Democratica del Congo è una zona martoriata, un vero e proprio calvario. Sono le parole di padre Giulio Albanese, missionario comboniano, che, ai nostri microfoni, ricorda come nella sola zona di Butembo-Beni negli ultimi anni hanno perso la vita 4 mila civili. Nel Nord Kivu ci sono 160 formazioni armate, composte complessivamente da almeno 20 mila uomini. Si tratta, dunque, di veri e propri eserciti, l’un contro l’altro armati, e che mettono a ferro e fuoco tutta la regione. Dietro questa drammatica situazione ci sono i forti interessi per la gestione delle immense risorse minerarie di cui è ricco il Paese. Ma proprio questa ricchezza – sottolinea padre Albanese – rappresenta un fattore fortemente destabilizzante, perché suscita gli appetiti stranieri, ma si tratta di una ricchezza che non porta nulla di buono alle popolazioni locali, che vivono, in stragrande maggioranza, in estrema povertà.
Guardare al Congo in modo diverso
E’ auspicabile che le potenze che sfruttano le regioni congolesi facciano marcia indietro. Ma finora – denuncia Albanese – non ci sono stati passi significativi in questo senso. Forse, oggi per rilanciare il Congo c’è bisogno di un vero multilateralismo, che miri a creare un tessuto di riconciliazione e di pace. In caso contrario ci troveremo a fare i conti sempre di più con il fenomeno della mobilità umana. Si fugge dal malessere, dalle guerre e dalle violenze e questa è una reazione inevitabile.
La preziosa opera dei missionari
In questa drammatica situazione operano tra mille difficoltà, quelli che padre Giulio Albanese chiama ‘i caschi blu di Dio’: i missionari. La loro è una presenza pacifica che afferma il Vangelo della pace. Attraverso loro passa quella solidarietà fattiva che ogni cristiano dovrebbe testimoniare.