Alessandro Gisotti
Si può cambiare rotta prima che sia troppo tardi, fermarsi prima di scivolare nell’abisso senza ritorno? In questi ormai sette mesi, segnati dall’orrore della guerra in Ucraina sotto attacco russo, Papa Francesco ha levato decine di accorati appelli per la pace sottolineando – da ultimo ieri all’udienza generale – che la guerra è una follia e ancor più folle è anche il solo paventare l’utilizzo di armi nucleari come fatto in queste ore da Vladimir Putin. In tanti sono rimasti spiazzati, increduli, il 24 febbraio scorso quando Mosca ha iniziato l’invasione contro l’Ucraina. “Sembrava impossibile”, hanno dovuto ammettere anche analisti ed esperti. Il “risveglio” della realtà è stato dunque brutale, talmente shoccante che ora pare ci si sia rassegnati al peggio, perfino se quel peggio equivale all’utilizzo di una bomba atomica. Eppure, fino a pochi mesi fa, l’umanità pensava di aver relegato per sempre alla storia passata una tale sciagura.
Quello che colpisce è pure l’escalation verbale che ha preceduto e poi rinvigorito, in un circolo vizioso micidiale, l’escalation bellica. E che ha avuto come conseguenza nefasta un cupio dissolvi perfino esibito a livello mediatico. Tanto che alcuni mostrano su Internet o alla televisione simulazioni degli effetti di una bomba atomica lanciata su una città europea. Sembra “Wargames”. Invece, come ci ha messo in guardia tante volte Papa Francesco – vox clamantis in deserto – è la “terza guerra mondiale” e neppure più “a pezzi”.
A questa dinamica distruttiva, il Pontefice ha risposto con appelli innanzitutto alla ragione. Non alla fede, ma in primo luogo proprio alla capacità di ragionare che contraddistingue e accomuna ogni essere umano credente e non credente. Come aveva sottolineato – all’inizio del suo Pontificato – nella visita profetica al sacrario di Redipuglia per il centenario della Prima Guerra Mondiale, “la guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!” Questa affermazione, come tante altre pronunciate in questo drammatico 2022, ricordano le parole di un altro Papa, un Papa santo, che ha legato in modo inscindibile il suo nome a quello della pace: Giovanni XXIII. Anche per Papa Roncalli, la guerra – nell’era atomica – è una follia. E’ fuori dalla ragione. “Alienum est a ratione”, leggiamo nella Pacem in terris. Un’Enciclica nata dall’esperienza drammatica della crisi missilistica di Cuba, vissuta – giusto 60 anni fa – in prima persona dal Papa che aprì il Concilio Vaticano II proprio nei giorni in cui l’umanità sembrava avviarsi verso l’olocausto nucleare.
Giovanni XXIII seppe sperare contro ogni speranza che a Washington e Mosca si sarebbero fermati in tempo. Non si arrese alle lugubri previsioni dei “profeti di sventura”, ma forte della fede in Cristo, Principe della pace, credette nel faticoso cammino che conduce al dialogo sebbene sembrasse impossibile vederne il tracciato. Anche se questo dialogo “puzza”, direbbe oggi Papa Francesco. Memorabile resta il “Radiomessaggio per l’intesa e la concordia dei popoli”, trasmesso attraverso la Radio Vaticana, il 25 ottobre del 1962, al culmine della contrapposizione tra americani e sovietici.
Migliaia sono già le vittime di questa guerra insensata, milioni gli sfollati, immani le sofferenze che il popolo ucraino sta sopportando. Di questa follia, giorno dopo giorno, emergono quelle mostruosità di cui ha parlato Francesco e di cui è stato testimone in questi giorni anche il suo Elemosiniere Konrad Krajewski. Le armi devono finalmente tacere. “L’uomo – diceva Giovanni Paolo II – soffre soprattutto per mancanza di visione”. Oggi la visione che manca all’umanità è quella della pace. La visione necessaria che ci indica Papa Francesco.