Antonella Palermo – Città del Vaticano
Non si hanno ancora informazioni certe su chi abbia perpetrato il massacro nella chiesa di San Francesco di Owo, nello Stato di Ondo (nel sud-ovest della Nigeria), avvenuto domenica 5 giugno. Le ipotesi al vaglio a livello locale prendono considerano diverse piste: appartenenti a Boko Haram, a gruppi di pastori Fulani o a banditi. Le strutture sanitarie lanciano appelli per la donazione del sangue. “Chiediamo protezione per tutte le chiese e le moschee della regione” si legge in un comunicato di MURIC (Muslim Rights Concern), l’Associazione islamica che opera per la pacifica convivenza tra le diverse fedi in Nigeria. Esprime condanna ferma per un atto che definisce di aggressione del tutto gratuita “disumano, atroce, orribile e orrendo” e chiede “l’arresto immediato e il perseguimento degli aggressori”.
Andrew Abayomi è l’assistente del parroco nella chiesa di San Francesco Saverio. Il 27 gennaio scorso la sua ordinazione sacerdotale. Lo raggiungiamo a Owo, testimone del massacro di domenica. Racconta che, quando i fedeli si sono resi conto che c’erano uomini armati che stavano per attaccare, ha detto alla gente di correre nella sacrestia e poi di scappare. “Mentre ero in sacrestia i bambini e altre persone si aggrappavano a me. Poi abbiamo iniziato ad accompagnare le persone negli ospedali, prima che le agenzie iniziassero i soccorsi. I bambini mi hanno detto ‘prega’. ‘Sì, Dio ascolterà la nostra preghiera. La luce deve trionfare sulle tenebre”.
Come state e com’è la situazione ora?
Siamo in una situazione tragica che ha toccato anche noi. È strano… Abbiamo sentito dire che è successo altrove, ma adesso è arrivata a noi questa strage. La gente ha paura perché la sicurezza è minacciata, la loro incolumità è a rischio. Dal punto di vista pastorale stiamo cercando di far capire che purtroppo fa parte della nostra vita testimoniare il Vangelo in modi diversi, e questo è uno dei modi che abbiamo dovuto sperimentare. Questo non deve impedirci di continuare a proclamare il Vangelo. Dobbiamo ancora testimoniarlo. Ieri sono stato negli ospedali, anche il Vescovo è venuto e il parroco della nostra chiesa dove è avvenuto il fatto, chiesa che io assisto. Siamo andati tutti a pregare con loro, a manifestare la nostra solidarietà, a incoraggiarli, a essere forti nella fede. E alcuni di loro si sono presi cura dei loro familiari. Abbiamo potuto comunque constatare che hanno la certezza che sì, Dio esiste e che Dio ci ha scelti e chiamati per essere testimoni del suo amore, affinché tutti si rendano conto che siamo figli di un unico Padre e che quindi l’umanità ha bisogno di essere salvata insieme, anche se siamo stati odiati per aver testimoniato la verità. Ma la paura ci sarà ancora, soprattutto in coloro che hanno poca fede.
Ci sono anche bambini tra le vittime…
Sì… quel giorno io ero ancora in chiesa. “La Messa è finita, andate in pace. Grazie a Dio. Alleluia. Alleluia”. Mi stavo preparando a far uscire i fedeli quando è iniziato l’attacco. Tutti noi eravamo ancora dentro. I bambini, tanti rimasti feriti, alcuni che hanno perso la vita… Ho un numero che è già di 39 morti confermati. Numero che dovrà ancora essere aggiornato. Forse prima della fine di questa settimana saremo in grado di avere un dato definitivo.
Istituzioni e leader religiosi nel mondo hanno condannato il brutale attacco. Il Papa ha detto che si tratta di una “violenza indicibile”, e ha auspicato che la pace prevalga sull’odio. Cosa ha provato nell’apprendere la vicinanza del Santo Padre?
Come ho detto, io ho capito che fa parte della testimonianza cristiana. Penso che siamo stati chiamati a mostrare al mondo che, sì, questo amore prevale sull’odio. E’ qualcosa che fa già parte della nostra vita. Il maligno si oppone sempre al disegno, allo scopo e alla volontà di Dio. Qualunque cosa ci capiti, continuiamo a essere testimoni di pace, di unità, di unicità, di armonia, di amore. Sì, dentro di me lo so, e ho accettato che questa è la strada, è una parte di ciò che il Maestro ci ha dato da seguire.
I vescovi nigeriani hanno chiesto sicurezza nel Paese, altrimenti si rischia l’anarchia. È una prospettiva verosimile, secondo lei?
Sì, almeno in parte. Continuiamo a chiedere a Dio di essere con noi, di guidarci. E’ un impegno di tutti, ma soprattutto il governo deve essere coinvolto, in particolare nella garanzia della sicurezza, per le vite e le proprietà dei cittadini. Siamo convinti che tutti debbano poter vivere la libertà di culto. Noi abbiamo la libertà di culto, ma non siamo ancora sicuri, e quindi c’è un problema.
Sembra che gli assassini siano i pastori Fulani. Lei che idea si è fatto?
Nessuno di noi ha potuto, per ora, accertarne l’identità. I testimoni erano stesi a terra mentre sparavano. Continuerò a indagare per sapere se qualcuno li ha sentiti. Finora, nel Paese, abbiamo visto gli effetti del disordine provocato da quelli che chiamano Fulani. Non sappiamo. Forse erano in quattro ad avvicinarsi alla chiesa.
Il Papa verrà presto in Africa per portare un messaggio di pace e riconciliazione… Quali le sue aspettative?
Sì, sarà un bel messaggio. Soprattutto le persone in Africa sapranno che la Chiesa, la Chiesa universale, è con loro, insieme alla Chiesa in Africa, con il Santo Padre che proclama la pace e la riconciliazione, sarà una sfida per i leader politici e anche per i leader religiosi e anche per le persone di fedi diverse. Penso che aiuterà molto la sua presenza. Abbiamo Dio dalla nostra parte e quindi la nostra speranza è viva. Anche la Chiesa deve fare attenzione, perché ci sono uomini che odiano la verità. Da parte nostra, dobbiamo continuare a predicare, partendo dalla base, in modo che la gente si renda conto che, sebbene siamo stati divisi per razza, cultura, colori, tuttavia siamo stati creati da un unico Dio. E quindi insieme siamo figli di un unico Padre.