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Niger: in corso trattative per il ritiro dei militari francesi

Prosegue il braccio di ferro tra la giunta golpista del Niger e la Francia. Il presidente Zeine riferisce che sono in corso contatti con Parigi per far ritirare il contingente di 1500 militari francesi e che conta di raggiungere un accordo con i Paesi dell’Africa Occidentale (Ecowas). Nei giorni scorsi si sono svolte affolatte manifestazioni antifrancesi nella capitale Niamey. Carbone (Ispi): “L’Ecowas è diviso su un eventuale intervento militare in Niger”

Marco Guerra – Città del Vaticano

Anche la Francia, come rivelato dal quotidiano Le Monde, dopo il premier nigerino Ali Mahaman Lamine Zeine, nominato dai militari saliti al potere nel Paese, ha confermato che sono in corso degli “scambi” per ottenere una rapida partenza dei militari francesi presenti in Niger. 

Matenere la cooperazione con la Francia

Nel corso di una conferenza stampa durata più di un’ora, Lamine Zeine ha affermato lunedì che le forze francesi si trovano “in una posizione di illegalità” in Niger e che “gli scambi in corso dovrebbero consentire molto rapidamente” il loro ritiro. Il 3 agosto, i generali saliti al potere il 26 luglio con un colpo di Stato avevano denunciato diversi accordi di cooperazione militare con Parigi, che conta un contingente circa 1.500 soldati impegnati nella lotta anti-jihadista in Niger. Zeine ha tuttavia assicurato che il suo governo spera “se possibile, di mantenere la cooperazione” con la Francia, perché è “un Paese con il quale abbiamo condiviso molte cose”. Inoltre il primo ministro ha evidenziato che ci sono buone speranze di ottenere un'”intesa” con i Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) che minacciano un intervento armato per ripristinare l’ordine costituzionale.

Riaperto lo spazio aereo ai voli commerciali

Nei giorni scorsi le tensioni diplomatiche tra la giunta golpista del Niger – guidata dal generale Abdourahamane Tiani – e la Francia hanno raggiunto il culmine. Domenica 3 settembre, per il terzo giorno consecutivo, migliaia di manifestanti si sono riuniti nei pressi della base militare che ospita le truppe francesi nella capitale nigerina Niamey per chiederne la partenza, richiesta avanzata dal regime militare fin da quando è salito al potere a fine luglio. Diversi slogan contro la Francia sono stati scanditi al raduno alla rotonda “Escadrille”, vicino alla caserma francese. In questa cornice, l’esercito ha inviato ulteriori unità alla base militare della Francia, secondo quanto riferisce l’emittente Al Jazeera. La tv qatariota sostiene che i rinforzi avrebbero l’ordine di monitorare i soldati francesi. Un segnale di distensione è arrivato invece il 4 settembre, con la giunta militare che ha deciso di riaprire lo spazio aereo del Paese ai voli commerciali nazionali e internazionali. Lo spazio aereo, che era stato chiuso dal Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp) circa un mese fa, resta non accessibile per i voli militari.

L’ambasciatore francese si rifiuta di lasciare il Niger

Le tensioni diplomatiche sono al massimo tra il regime militare al potere e alcuni Paesi occidentali che non ne riconoscono la legittimità e chiedono il ripristino dell’ordine costituzionale e la liberazione del presidente deposto Mohamed Bazoum, democraticamente eletto nel marzo 2021. Giovedì scorso, i golpisti hanno revocato l’immunità diplomatica all’ambasciatore francese, Sylvain Itte, e ordinato alle forze di sicurezza di procedere alla sua espulsione. L’esponente diplomatico di Parigi è rimasto al suo posto e il ministro degli esteri francese Catherine Colonna in un’intervista al quotidiano Le Monde, ha assicurato che la Francia “può far fronte alle pressioni dei golpisti in tutta sicurezza”. “È il nostro rappresentante presso le legittime autorità del Niger – ha aggiunto – non dobbiamo schierarci con le ingiunzioni di un ministro che non ha legittimità”.

La posizione dell’Ecowas

L’opzione militare rimane intanto sul tavolo dei Paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale (Ecowas) che non riconoscono i militari golpisti. Per una soluzione più morbida della questione, il presidente della Nigeria e della stessa Ecowas, Tinubu, ha proposto una transizione di nove mesi, precisando però che le sanzioni imposte al Paese, non saranno allentate senza segnali positivi da parte del nuovo regime di Niamey, che per ora ha rifiutato qualunque tavolo di negoziazione.

Carbone (Ispi): golpisti contano su nuove “sponde”

“Parigi ha un ruolo storicamente importante in Niger e nella regione e queste manifestazioni anti-francesi hanno avuto luogo anche in Repubblica Centrafricana, Mali e Burkina Faso”, spiega a Vatican News Giovanni Carbone, docente dell’Università degli Studi di Miliano e responsabile del programma Africa dell’Ispi. Secondo il professore di Scienze Politiche c’è una reale situazione di rigetto della presenza francese che viene cavalcata in modo strumentale dai governi golpisti, a questo si aggiunge il fatto che il contesto geopolitico offre “sponde alternative alla Francia come quella rappresentata dalla Russia che ha dato appoggio a vari regimi africani”.

Ascolta l’intervista a Giovanni Carbone

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023/09/04/14/137289725_F137289725.mp3

L’Ecowas “tira il freno”

Il professor Carbone osserva poi che l’Ecowas in questi giorni ha in parte smussato la netta posizione di contrasto al golpe nigerino, guidata soprattutto dalla Nigeria che ha minacciato un intervento militare per ripristinare l’ordine costituzionale. Il ricercatore dell’Ispi ritiene che non c’è un’omogeneità di vedute tra i Paesi Ecowas e che molti di questi “hanno tirato il freno preoccupati dalle conseguenze di un intervento militare”. “Le popolazioni del nord della Nigeria sono legate al Niger – spiega ancora – ed proprio da quegli ambienti che è arrivato uno stop al governo nigeriano”. Carbone infine mette in luce che la facilità con cui stanno avvenendo colpi di stato in Africa sta cambiando anche la percezione che si ha di questi ultimi e delle giunte militare, le quali ora si sentono legittimante a non indicare un chiaro percorso temporale per la transizione democratica.

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