Adriana Masotti – Città del Vaticano
“Finalmente riusciamo a pubblicare il tanto atteso video del varo della nostra Idroambulanza così tanto sofferta. Un progetto partito molto tempo fa e solo ora conclusosi… ma c’è l’abbiamo fatta!!! La barca è operativa sul fiume Kwilu nell’area di Bandundu Ville (RDC) da dove svolgerà il lavoro per cui è stata costruita”. La notizia, una buona notizia questa volta, compare sulla pagina Facebook dell’Associazione ForAfricanChildren Onlus fondata da Fulvio Rostagno. La comunicazione prosegue con un “grazie di cuore a quanti hanno sofferto con noi questa lunghissima storia e a quanti l’hanno resa possibile!”
La soddisfazione al termine di un lungo percorso
La notizia della conclusione del progetto che vuol venire incontro alle esigenze di assistenza e cure sanitarie della popolazione del nord del Paese africano, in particolare sul fronte della ginecologia e della maternità, non era infatti per nulla scontata. Anzi, ad un certo punto sembrava che tutto fosse destinato a finire, addirittura con lo smantellamento del battello costruito nei cantieri di Cremona. Mancavano i soldi necessari per il suo trasferimento e il viaggio fino in Congo, mancavano le autorizzazioni delle autorità locali, mancava soprattutto la sicurezza per garantire l’arrivo effettivo del battello alla sua destinazione e la sua presa in carico dal personale medico-sanitario sul posto. Il sostegno di tanti amici della ForAfricanChildren e di un amico speciale, l’ambasciatore nella RDC Luca Attanasio, ucciso a Goma nel febbraio 2021, ha permesso il buon risultato. Ai microfoni di Vatican News, la soddisfazione di Fulvio Rostagno, presidente dell’associazione, e la ricostruzione del cammino vissuto:
Fulvio Rostagno, finalmente l’idroambulanza è operativa sul fiume Kwilu nella RDC dove svolgerà il lavoro per cui è stata costruita. Vogliamo prima di tutto ricordare perché questa barca è stata pensata, progettata, costruita e così fortemente voluta?
Come abbiamo già detto altre volte, a seguito di un nostro sopralluogo in Congo e dopo aver constatato la situazione sanitaria locale in aree molto remote, distanti dai centri urbani e fortemente inserite nella prepotente. foresta pluviale locale, abbiamo deciso di costruire un qualcosa che potesse portare, possiamo dire, l’ospedale fuori dall’ospedale e cioè verso quelle persone che con difficoltà riescono a raggiungere i pochi e distanti presidi sanitari locali. Mentre eravamo là, alcuni fortissimi temporali equatoriali ci hanno particolarmente sorpreso e colpito per la loro forza e abbiamo costatato che l’unico modo per spostarsi, comunque e in buona sicurezza, erano i corsi dei fiumi, perché le strade diventavano dei torrenti impetuosi ed erano assolutamente impercorribili. Da qui è nata la nostra volontà di costruire questa barca. Era il 2012.
L’inaugurazione del piccolo ospedale galleggiante è stata festeggiata solennemente dalla gente in Congo con tutte le autorità locali. Che momento è stato?
Sì, c’è stata questa bella cerimonia del varo che noi purtroppo abbiamo vissuto solo virtualmente. Sicuramente su di noi ha avuto un forte impatto emotivo vedere,dopo tanto tempo, questa nostra barca su quelle acque che tanto si sono fatte desiderare. Ed è stato un momento significativo perché ha concluso una storia veramente lunga e siamo contenti perché siamo comunque riusciti a vederla effettivamente galleggiare così come l’avevamo pensata e dove avevamo pensato di mandarla.
Ci sono voluti, appunto, tanti anni e tante fatiche per raggiungere quest’obiettivo. ci racconta brevemente il cammino percorso?
In effetti è stato un lungo percorso che è nato proprio da quella idea. Un percorso che poi è seguito da un lunghissimo tam tam di centinaia di mail scritte per trovare benefattori materiali e tutto ciò che era necessario per costruire questa barca. E questo tam tam ha preso sempre più eco e la solidarietà che ci distingue noi italiani e anche altri popoli ha permesso, pezzo dopo pezzo, di realizzare questa barca. E stato, possiamo dire, un costante work in progress fino al giorno della sua partenza. Lo dico davvero, perché proprio il giorno della sua partenza dal porto di Cremona, dove è stata costruita e i cui lavori erano finiti nel 2015, le cose non sono andate così come dovevano andare. Si è dovuto cambiare di nuovo programmi e poi per fortuna siamo riusciti a spedirla.
Ecco, ci sono stati momenti anche in cui sembrava che questo sogno, diciamo, non potesse più avverarsi…
E’ vero, ci sono stati dei momenti bui in questa storia. Uno di questi è stato la mancanza di serietà di alcune persone con cui avevamo collaborato, che ci avevano garantito il proprio appoggio, che poi però è venuto a mancare e ci siamo trovati di fronte a un grosso problema. Diciamo che ciò che ci ha fatto vincere è stata la determinazione perché volevamo fortemente questa cosa e assolutamente non avremmo mai pensato o voluto sprecare tutto quello che avevamo fatto fin lì, per cui abbiamo continuato e alla fine le cose sono andate avanti.
Sulla strada della realizzazione di questo progetto c’è stato un incontro importante e la nascita di un’amicizia: quella con l’ambasciatore Luca Attanasio. Ricordo che in una precedente intervista lei ha detto che sperava di bere insieme con lui una birra all’inaugurazione dell’idolo ambulanza. Purtroppo questo non è stato possibile…
Questo purtroppo non è stato possibile: con Luca Attanasio abbiamo condiviso davvero un periodo lungo e impegnativo tra varie battaglie per arrivare alla conclusione di questo progetto, perché a lui ci eravamo affidati per espletare tutte le lunghe e complicatissime procedure burocratiche che ci sono in Congo e praticamente ci sentivamo quasi tutti i giorni per gli aggiornamenti. Devo dire che spesso mi rimproverava per avergli dato una bella ‘gatta da pelare’, ma ormai è noto quanto lui avesse a cuore le questioni legate alla solidarietà e quindi ha comunque portato avanti questa cosa con me. Tra una battuta e l’altra e gli scherzi che non mancavano mai, abbiamo consolidato questa nostra amicizia fino a due giorni prima del tragico attentato.
Torniamo alla barca: a chi è affidata ora questa ambulanza sull’acqua?
Attualmente la barca è affidata al Dipartimento di prevenzione e sanità di Bandundu, una località sul fiume Kwilu, una località abbastanza importante in quella regione. Il Dipartimento svolge un’azione di monitoraggio, di cura e anche di vaccinazione nell’area di competenza. Ciò non significa che la nostra barca non possa uscire da lì, e andare e raggiungere altri distretti. L’unico limite che ha è la navigabilità, per cui il battello va ovunque ci sia un corso d’acqua navigabile e quindi può entrare in collaborazione con altri distretti sanitari.
I medici, gli infermieri, sono personale locale?
L’equipe medico-infermieristica e quella tecnica – perché c’è un timoniere, c’è un tecnico di bordo, poi ci sono anche le squadre che garantiscono la manutenzione – è tutto personale locale. Stiamo cercando di creare una sorta di turn over di volontari internazionali che possano andare a lavorare su questa barca per dei brevi periodi e portare anche le loro conoscenze e scambiarle con altri.
Allora è finito un tratto di strada, ma inizia quello forse più importante per il battello che è l’attività di assistenza medico sanitaria a favore dei più poveri. Quali sono i suoi sentimenti, le sue speranze arrivati a questo punto, anche pensando a quel Paese, il Congo, che lei ama? Che cosa le rimane in cuore dopo aver vissuto questa esperienza?
La speranza più grande sicuramente è quella che tutto possa durare più a lungo possibile e che comunque si faccia tesoro di quesa bellissima realizzazione che, sono sincero, laggiù può fare davvero la differenza. Essere stati in qualche modo, ‘complici’ di tutto questo è sicuramente emozionante e fonte di orgoglio, perché la Repubblica Democratica del Congo è sicuramente una parte del mondo molto, molto depressa e noi in un modo o nell’altro siamo riusciti a dargli una piccola mano per aiutarli ad offrire alla gente, almeno dal punto di vista sanitario, un qualcosa in più. Nel cuore mi restano anche tanti ricordi legati a questa lunghissima storia, tanti pianti, anche tante arrabbiature, come tanti successi e tanti insuccessi. E’ una piccola storia di solidarietà, tutto sommato, che è stata voluta da pochi però è stata realizzata da molti. Questa storia, come tutte le storie, ha avuto fasi sia belle sia brutte, ci sono tanti piccoli dettagli che conosciamo solo in pochi, in particolare io, Luca Attanasio e la moglie, con cui siamo stati costantemente in contatto e che abbiamo condiviso negli ultimi mesi laggiù in Congo, quando le cose erano quasi in soluzione. Moltissime, moltissime cose che riteniamo sia doveroso rendere in qualche modo pubbliche in modo che ci sia una chiarezza totale nei confronti di chi si è materialmente ‘spremuto’ per aiutarci, perché così si possano comprendere realmente i fatti per come sono accaduti. Pensiamo di farlo sicuramente sulla nostra pagina Facebook, e forse di raccontarla in un piccolo libro, si vedrà…
Anche per offrire una testimonianza che può servire a chi, magari, potrebbe avere un progetto simile al vostro?
Assolutamente sì. Per certi versi possiamo dire che questa barca è un progetto pilota per chi vorrà seguire la nostra stessa strada. E spero davvero che qualcuno ci sia perché ci sono popolazioni che meritano di essere aiutate, e quindi qualcuno può trarre beneficio da quello che noi abbiamo già fatto, percorrendo strade che noi abbiamo già sperimentato.