Ogni mattina, dal Giovedì Santo al giorno di Pasqua, don Filippo Morlacchi, sacerdote “fidei donum” della Diocesi di Roma nella Città Santa, commenta la Liturgia del giorno, raccontando come viene vissuta nei Luoghi Santi e incarnandola nei giorni drammatici del conflitto tra Israele e Hamas, con una rinnovata preghiera per la pace
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Le feste liturgiche per i cristiani non sono una rievocazione degli avvenimenti della storia della salvezza, ma un’occasione per riviverli incarnandoli nel presente, attingendo alla grazia di quei misteri come si compissero oggi. In Terra Santa, poi, sono celebrate con particolare intensità nei luoghi dove quegli eventi si sono compiuti. Ma incarnarli nei Luoghi Santi, significa oggi, sperare contro ogni speranza, cercare la Risurrezione nei territori insanguinati da mesi dalla drammatica guerra tra Israele e Hamas.
È quello che cerca di fare don Filippo Morlacchi, sacerdote fidei donum della Diocesi di Roma, dal 2018 in Terra Santa, nel podcast di Radio Vaticana – Vatican News per questa Settimana Santa 2024: “Lettere da Gerusalemme. Meditazioni sul Triduo in tempo di guerra”. Quattro episodi, online ogni mattina alle 7.00 dal Giovedì Santo alla Domenica di Risurrezione, per intrecciare il significato liturgico di ciascuna giornata, i riferimenti ai luoghi della Città Santa in cui sono celebrate, con le sofferenze e le speranze della comunità cristiana locale ma anche di tutte le popolazioni martoriate dal conflitto.
Un Triduo con pochi pellegrini
Nel primo episodio, don Filippo ricorda che il Giovedì Santo i cristiani di Gerusalemme si radunano al cenacolo, sulla collina di Sion, e nel giardino del Getsemani nella valle del torrente Cedron. “Certo – nota con mestizia – quest’anno non saremo in tanti”. “Non ci saranno i pellegrini, che dal 7 ottobre scorso non si vedono più in questa Terra: ed è una grande perdita. Perché la Chiesa di Terrasanta ha due polmoni: le comunità locali, e i pellegrini”. “E forse – aggiunge – ci saranno anche meno cristiani che vivono nei territori palestinesi, per i quali è sempre più difficile arrivare a Gerusalemme, a causa dei controlli militari e delle restrizioni dovute alla sicurezza”. La meditazione ricorda poi il senso della sofferenza di Gesù nel Getsemani che solo nella preghiera trova la forza per rimettersi alla volontà del Padre e accettare la croce. “Ripetiamo le sue parole – scrive Morlacchi – pensando a tutti coloro che in questo tempo di guerra soffrono ben più di noi”.
La testimonianza dei cristiani di Gaza
Nel secondo episodio, meditando sul Venerdì Santo, don Filippo ricorda poi che la Via crucis di quest’anno sarà un momento particolarmente intenso e delicato per i cristiani di Gerusalemme, visto che “la processione cristiana, che si sposta da est a ovest, si dovrà incrociare con i fedeli islamici che affluiscono verso la moschea Al-Aqsa, come ogni venerdì di Ramadan”. “Non posso non pensare, in queste ore, ai cristiani di Gaza”, aggiunge Morlacchi. “In loro vedo celebrare la vittoria di Cristo, vedo il trionfo della croce. Scegliendo risolutamente di non covare vendetta, di non alimentare la spirale dell’odio, soffrendo con dignità e con amore, insegnano anche a me – anche a noi – che possiamo rendere visibile nel mondo l’amore che perdona, l’amore che viene da Dio”.
Una preghiera di liberazione
Nella meditazione per il Sabato Santo, l’immagine di Gesù che scende agli inferi per liberare «quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte» (Lc 1,79), suggerisce a don Filippo una riflessione su tutti i prigionieri che, in questo tempo di guerra, attendono la liberazione e la salvezza. “Ci sentiamo solidali con le famiglie ebree, in ansia per il loro cari, nascosti nei tunnel oscuri del sottosuolo di Gaza. Preghiamo perché una tregua onesta consenta la loro liberazione, perché arrivi anche per loro un “redentore” che li riporti a casa”, scrive Morlacchi. “Ma in questo sabato santo di silenzio pensiamo anche alle tante, troppe vittime palestinesi sepolte sotto le macerie dei palazzi bombardati”. “Tutti sono morti nel buio, schiacciati dal peso del peccato e della violenza”.
Realismo evangelico e speranze di pace
Ma è nella meditazione del giorno di Pasqua di Risurrezione che don Filippo cerca di dare un senso a una Festa che – soprattutto per chi vive a Gerusalemme – “rimane segnata dalla strage del 7 ottobre e dalla carneficina di Gaza tutt’ora in corso”. “Cosa può dirci la fede cristiana, in questo tempo violento e impazzito?”, si chiede. “A me, personalmente, suggerisce di essere realista: ma del realismo evangelico, che include l’opera della grazia di Dio. (…) Quel che è stato non può esser cancellato, da una parte e dall’altra. Israele esiste, e non può – né deve – essere eliminato. E anche un popolo palestinese esiste, e ha tutto il diritto di esistere con dignità, entro confini definiti. Non si può far finta che la mostruosa strage del 7 ottobre non sia accaduta: è un fatto che ha cambiato la storia. E la devastazione di Gaza, con le sue decine di migliaia di vittime, è un altro fatto incontestabile e gravido di conseguenze. Il futuro, quindi, non potrà essere un ‘dopo’ che non tenga conto del ‘prima’: non si torna indietro nel tempo. Un futuro migliore può essere aperto solo da un nuovo che si trova su un livello, su qualcosa di ‘più alto’, e che ‘viene dall’alto’. Qualcosa che è impossibile agli uomini, ma non a Dio. (…) La fede pasquale ci dice che, se il Padre è intervenuto nella risurrezione del Figlio, può ancora intervenire nelle nostre storie personali e collettive”.