Chiesa Cattolica – Italiana

‘Ndrangheta e fede: ecco le linee-guida dai vescovi calabresi

Isabella Piro – Vatican News 

 “Resti ben chiaro per tutti: le mafie si reggono sulla trasgressione volontaria, violenta, calcolata, sprezzante, di almeno tre fondamentali comandamenti di Dio: il quinto (non ucciderai, che riguarda tutte le violenze fisiche, psichiche e spirituali); il settimo (non ruberai, che riguarda tutte le forme mafiose di furto e di illegittima sottrazione di un bene privato o comune); il decimo (non desiderare la roba d’altri, che comporta la conseguenza di togliere dal proprio cuore ogni altro desiderio di possesso che non sia Dio)”: è questo uno dei passaggi forti delle “Linee guida” pubblicate dalla Conferenza episcopale della Calabria per dire “No ad ogni forma di mafie!”.  Il documento, datato 15 settembre, 28.mo anniversario dell’uccisione, per mano mafiosa, di don Pino Puglisi, si suddivide in due parti: nella prima, i vescovi espongono i principî teologico-pastorali che sono alla base del documento, mentre nella seconda parte vengono elencate norme e raccomandazioni specifiche.

Mafie e Vangelo: assolutamente incompatibili

“Con le scelte e le connivenze di tipo mafioso si contraddice formalmente la regola dell’amore di Dio e del prossimo, consegnata da Gesù Cristo nelle Beatitudini evangeliche – affermano i presuli – Ribadiamo, perciò, chiaramente l’incompatibilità assoluta tra mafie e Vangelo, tra tutte le forme di mafie e l’essere cristiano: atti solamente esteriori di devozione, come il partecipare a processioni, pellegrinaggi, iniziative varie, o eventuali elargizioni generose e benefiche anche nei riguardi delle opere promosse dalla Chiesa, non assolvono nessuno dal peccato di mafia”. Far passare i mafiosi come “benefattori del popolo – si legge nel documento – a causa di una pretestuosa generosità” deve far ricordare la denuncia di San Francesco di Paola al re di Napoli, Ferrante, che gli offriva delle monete d’oro per edificare un convento: “Sire – disse il Santo – non posso accettare questi soldi, che grondano sangue innocente”.

Il documento si apre con il richiamo fondamentale della Cec alla “forza liberante del Vangelo”, con la consapevolezza del fatto che “di fronte a qualsiasi genere di male e di peccato, esiste sempre una risorsa dall’alto: la possibilità di scegliere di non arrendersi mai”. Di qui, l’appello all’evangelizzazione, quanto mai “urgente” per la Calabria, terra in cui il buon grano del Vangelo rischia di essere talvolta soffocato dalla zizzania della mafiosità e delle mafie”. Nella regione, infatti – scrivono i vescovi – “gli atteggiamenti e i comportamenti mafiosi spiccano in modo particolare per la loro virulenza, per la ferocia e l’efferatezza dei mali perpetrati, per il profondo radicamento in certi sostrati culturali o pseudoculturali, e per la gravità e l’estensione delle ricadute sociali ed economiche”.

Le Linee guida uno strumento operativo per rinnovare l’evangelizzazione

Di fronte a questa drammatica realtà, le “Linee-guida” vogliono essere “uno strumento operativo comune” per rinnovare “l’annuncio del Vangelo” e giungere così “alla conversione dei mafiosi e dei corrotti”. I vescovi si dicono consapevoli del fatto che “spetta al Signore sradicare la zizzania” della mafia; per questo ribadiscono che il fine del loro documento è quello di “suscitare nei mafiosi un moto di pentimento, di conversione, di riparazione e di adesione a forme che aiutino a mettere in atto un contro -movimento di ritorno a Cristo e alla sua parola”. “Sentiamo urgentissimo – spiegano i presuli – l’obbligo morale di curare, salvare e consolidare il buon grano e, insieme con tutte le persone delle comunità cristiane, di stigmatizzare come immorale qualunque comportamento indotto dai mafiosi o connivente con la mafiosità”.

E ciò andrà fatto mediante “la pratica coraggiosa e capillare della giustizia, della misericordia, della conversione e del perdono”. La “strategia della legalità”, infatti, da sola non basta perché rischia di “proporre analisi di esclusivo carattere sociale e giuridico”, senza cercare “le cause profonde e reali sul piano etico”, o “senza indicare specifiche soluzioni ispirate dalla fede in Cristo e mosse dalle esigenze di servizio caritativo”.

La denuncia della Cec si fa, poi, particolarmente forte quando sottolinea che “le mafie esistono in Calabria nonostante ogni dichiarazione contraria o omertosa. Hanno volti, nomi, cognomi, appoggi, collaborazione, silenzi conniventi e, in tal modo, continuano a tessere una vera rete asfissiante”. Sono “strutture di peccato” che cercano “d’imporre l’irreligione della sopraffazione e del potere criminale” e che “talvolta trovano terreno fertile perfino in certuni contesti religiosi”. Ciò che è particolarmente grave, dunque, non è l’organizzazione mafiosa singola, quanto piuttosto “la mafiosità”, ovvero quella cultura mafiosa che “ostacola il cammino della comunità cristiana”. Di qui, l’appello della Cec “all’esercizio attivo della cittadinanza e della corresponsabilità nella scelta oculata dei rappresentanti per il governo della cosa pubblica”, in occasione delle elezioni.

Non c’è vera giustizia senza perdono

No al giustizialismo e sì alla giustizia unita alla misericordia, è in sintesi il suggerimento dei vescovi, perché “non c’è vera giustizia senza perdono“  e perché solo in questo modo la persona umana può essere redenta, conservando sempre “la sua inviolabile dignità”. “La costruzione di una ‘civiltà dell’amore’, come voluta dal Signore Gesù, è possibile – scrivono ancora i presuli calabresi – Resta possibile scardinare la forza della ’ndrangheta, convertendo i suoi adepti”, contrapponendo ad essa “soluzioni cristiane, semplici e urgenti”. In quest’ottica, i Consigli parrocchiali sono esortati ad “adoperarsi con proposte e scelte per superare gli endemici ritardi sociali ed economici, incoraggiando, attraverso il laicato aggregato, forme cooperative e solidali, anche a livello finanziario e bancario”.

Importante sarà anche “svuotare la forza di quelle regole criminali che sono tacitamente imposte alle comunità locali come una sorta di vera e propria regolazione sociale”. Formando i fedeli “alla scuola del perdono cristiano” ed alla fiducia “nella riabilitazione” possibile per qualunque peccatore”, sarà possibile far capire che “Dio misericordioso chiama anche i perduti e gli smarriti a rientrare nella comunione con Lui e con la comunità, anzi li attende con speranza tutta divina”. Pur stigmatizzando dunque “tutte le azioni ignominiose e immorali”, la Cec ribadisce che il Vangelo “non esclude mai nessuno dalla possibilità di riabilitazione, mediante la riscoperta e la promozione del Sacramento della Penitenza-Riconciliazione, spesso sottovalutato da tanti fedeli”.

I suggerimenti pastorali

Nella seconda parte, le “Linee-guida” offrono suggerimenti pastorali concreti: rilanciare l’evangelizzazione affinché divenga “prassi corale, quotidiana, capillare”; prevenire comportamenti mafiosi attivando anche, in ogni parrocchia, “opportune forme di aiuti e di sostegno a favore dei a favore dei familiari innocenti di vittime della mafia”. Con l’aiuto di “laici qualificati”, inoltre, si suggerisce l’idea di “utilizzare i beni confiscati alle mafie per creare cooperative produttive finalizzate a sostenere i nuclei familiari che, avendo persone in carcere di cui non condividono le scelte, versano nel bisogno”. Per i giovani, in particolare, si dovrà pensare ad una “formazione capillare permanente” che li veda anche coinvolti in “esperienze concrete di servizio nelle realtà che si occupano di emarginazione, esclusione e povertà”.  

Gli stessi giovani sono chiamati all’azione per la salvaguardia dell’ambiente, in particolare anche “alla luce degli attentati criminali che vengono puntualmente reiterati ogni anno nei periodi estivi, quando si assiste alla devastazione di vaste aree di vegetazione da parte di incendi dolosi che impoveriscono la stupenda realtà naturale della nostra terra di Calabria”. Per questo, la Cec auspica che “si mantenga sempre viva l’attenzione sui temi ecologici mediante una formazione preventiva al rispetto del Creato”.

Un paragrafo specifico viene, inoltre, dedicato al ministero del padrino e della madrina per i Sacramenti, affinché ritrovi “verità e dignità”, perché “non basta esibire la fedina penale pulita, ma sono richieste onestà di vita e ritorno pieno alla vita di fede”. Ulteriori riflessioni riguardano le feste religiose e patronali e le esequie di defunti mafiosi: riguardo al primo punto, la Cec suggerisce “un preciso e attento discernimento”, ad esempio, nella scelta dei portatori delle statue dei Santi, così da “eliminare in partenza motivi di criticità”. “La presentazione previa degli elenchi dei portatori alle autorità di Polizia è raccomandabile per l’esclusione di eventuali soggetti in odore di ’ndrangheta”, affermano i vescovi. Inoltre, si ribadisce che “è vietato in ogni caso far sostare statue e icone davanti alle abitazioni degli organizzatori o degli offerenti, come pure è vietato poggiarle sopra un tavolino dinanzi a una casa privata o a un pubblico esercizio”. Il riferimento è alla pratica del così detto “inchino”, ovvero alle soste che, in alcune processioni, si verificano davanti alle abitazioni di boss mafiosi.

Riguardo ai funerali di affiliati alla criminalità organizzata, si ricorda che “a meno che non consti di un loro precedente espresso rifiuto della celebrazione religiosa, la Chiesa non nega il conforto delle esequie”. Esse, tuttavia, dovranno essere celebrate “in forma semplice, senza fiori, canti, musiche e commemorazioni, ammettendo esclusivamente i familiari stretti e, se necessario e richiesto per motivi di ordine pubblico, a porte chiuse”. La Conferenza episcopale calabrese auspica, poi, una maggiore collaborazione tra i parroci e i cappellani delle carceri, così da avviare “un cammino di riconciliazione tra ex mafiosi convertiti e vittime della mafia e per favorire l’accompagnamento di ex detenuti che in carcere si sono riavvicinati alla fede cristiana”.

La responsabilità dei mass media

La chiamata alla responsabilità è rivolta anche ai mass-media, affinché non siano “mai assecondate notizie infondate e calunniose nei confronti delle persone oneste, né si emettano condanne o verdetti definitivi prima delle conclusioni della magistratura”. L’obiettivo deve essere quello di “contribuire alla giusta conoscenza dei fatti mediante una comunicazione informata, veritiera, e non lesiva del buon nome delle persone”. Le Curie diocesane, inoltre, dovranno istituire un’apposita Commissione per l’attuazione delle Linee guida, all’interno della quale dovrà operare “uno sportello di advocacy, forte della presenza di professionisti volontari, al quale indirizzare le segnalazioni e le denunce di violazioni dei diritti, illegalità, soprusi, estorsioni, perché poi vengano attivati interventi giuridici e politiche di tutela ed accompagnamento delle persone più deboli”.

Dal suo canto, la Cec si impegna ad “attivare, sostenere e consolidare”, in collaborazione con i Centri universitari teologici e civili, un Piano regionale specifico di formazione sistematica sui temi delle stesse Linee-guida. Il documento si conclude con la preghiera al Signore affinché benedica la Calabria “in questo sforzo corale ecclesiale e normativo per trasformare i cuori dei mafiosi, consolidare la fede creduta e vissuta della nostra gente e annunciare a tutti il Vangelo della misericordia, della salvezza e della liberazione dalle mafie, dalla corruzione e da ogni forma di connivenza silente”.

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