Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Un anno è passato dalla guerra nel Nagorno-Karabakh, ma è già tempo di nuove tensioni che hanno fatto pensare al peggio nella giornata di ieri. I governi di Armenia e Azerbaijan si sono accusati reciprocamente per gli scontri avvenuti nel sud-ovest della regione, che hanno causato la morte di almeno un militare armeno. In serata, poi, è giunta la notizia della tregua tra le parti, mediata dalla Russia, che ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’intera comunità internazionale.
I fatti
Non sono ancora chiare le dinamiche delle ultime 24 ore, ma di certo tra i soldati armeni e quelli azeri la tensione ha raggiunto un livello massimo dopo il cessate il fuoco del 9 novembre 2020, che pose fine ad una guerra durata poco meno di due mesi e che causà almeno 4mila vittime e più di 100mila sfollati. Tutto ha avuto inizio ieri, quando l’Armenia ha denunciato la cattura di 12 suoi militari da parte delle forze azere e la morte di alcuni di loro (il numero sembrava pari a 15 unità all’inizio, ma ora le agenzie internazionali parlano di un militare morto). Baku invece ha reso noto che due dei suoi soldati sono rimasti feriti dopo che le forze armene hanno aperto il fuoco al confine, senza confermare la notizia della cattura di soldati armeni.
Le dichiarazioni
“Tra il silenzio dei nostri partner della comunità internazionale, l’Azerbaijan e i suoi sostenitori continuano le loro azioni aggressive”, aveva detto Nikol Pashinyan, primo ministro armeno. Secca la replica di Baku: “Per prevenire un attacco da parte delle forze armate armene, le nostre unità nel sud ovest hanno immediatamente preso delle misure”, ha dichiarato Anar Aivazov, portavoce del Ministero della Difesa azero. A chiedere subito un cessate il fuoco totale era stata l’Unione Europea, sottolineando l’importanza di un “Caucaso meridionale stabile e prospero”.
Il patrimonio artistico e culturale
Dopo il cessate il fuoco dello scorso anno, oltre alla grande preoccupazione per il futuro delle migliaia di sfollati causati dalla guerra, ci fu grande attenzione da parte della comunità internazionale anche per il patrimonio artistico e culturale della regione. Un aspetto questo che, ancora oggi, risulta centrale. Un forte appello a proteggere i monumenti religiosi e culturali del Nagorno-Karabakh arrivò già un anno fa dal Segretario generale ad interim del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), il Reverendo Ioan Sauca, in una lettera indirizzata ad Audrey Azoulay, direttore generale dell’Unesco. “La nostra preoccupazione per il patrimonio religioso e culturale della regione, in particolare nelle zone recentemente sotto il controllo dell’Azerbaigian – si leggeva – è enormemente accresciuta dai ripetuti bombardamenti della cattedrale di Ghazanchetsots a Shushi, avvenuti ad ottobre, e soprattutto dalle numerose segnalazioni che stiamo ricevendo di altre dissacrazioni più recenti”, scrive Sauca. Si stima, infatti, che ci siano “circa 4mila monumenti storici, religiosi e culturali nelle zone del Nagorno-Karabakh/Artsakh ora sotto il controllo dell’Azerbaijan, ognuno dei quali ha un potente patrimonio spirituale e culturale da trasmettere” e la cui scomparsa rappresenterebbe “una perdita irreparabile per l’intera umanità”.