Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Per ricordare Nadia che amava i bambini e i fiori, cose piccole e fragili nella brutalità del deserto che guarda il mare davanti alla baraccopoli di Nuevo Chimbote, in Perù, ad un anno dalla morte, i piccoli dei sei asili che lei coordinava, da volontaria permanente dell’Operazione Mato Grosso (Omg), stanno portando da una settimana fiori e piantine. Li lasciano davanti al nuovo murales che parla della sua missione, realizzato da un altro volontario italiano, Cesare Marchi, in Perù insieme alla moglie Irene, conn i giovani dell’accademia “Don Bosco” e colorato dagli stessi bambini. La prima scena del murales ritrae Nadia che scende dalle Ande con un grande fiore in mano, come ha fatto sei anni prima di essere aggredita a morte, nella notte tra il 20 e il 21 aprile 2021 nel centro educativo “Mamma mia” dove il dipinto ora la ricorda, da un giovane disperato entrato nella struttura per rubare e che le portò via solo un cellulare da pochi euro.
Una settimana di preghiere e veglie a Nuevo Chimbote
Nadia De Munari, missionaria laica nata a Schio, nel Vicentino, 50 anni prima, colpita violentemente alla testa, morì il 24 aprile all’ospedale di Lima dopo un’operazione e tre giorni di agonia. In questa settimana, nelle cinque parrocchie di Nuevo Chimbote guidate da sacerdoti dell’Operazione Mato Grosso, le comunità e le famiglie dei 400 bambini degli asili, e dei 450 studenti delle due scuole elementari volute da padre Ugo De Censi, il salesiano fondatore dell’Omg scomparso nel 2018, hanno ricordato il calvario di Nadia. Con un momento di preghiera al mattino, nel quale sono stati protagonisti i bambini, a gruppi di 150 alla volta, davanti al murales in cinque quadri che si chiude con un prato fiorito che nasce nella sabbia del deserto, dopo la semina iniziata da Nadia. Le piantine di fiori che hanno portato rianimeranno il piccolo giardino che la missionaria cercava di coltivare accanto alla casa delle maestre che lei ha formato, che a Nuevo Chimbote chiamano “profesoras”, e dove è stata aggredita. La casa ora è disabitata, trasformata in un luogo di preghiera.
Le testimonianze di sacerdoti, volontari, famiglie e bambini
La sera i loro genitori sono stati protagonisti delle veglie di preghiera, ogni sera in una parrocchia diversa, con testimonianze di chi ha lavorato con Nadia nei suoi 25 anni di missione in Perù, prima sulle Ande e poi tra i migranti scesi dalle montagne a cercare di vivere meglio alla periferia di Chimbote, dove il suo sobborgo è cresciuto in pochi anni da 80 mila ad un milione di abitanti. Ma a parlare di Nadia sono stati anche i padri e le madri di tante famiglie peruviane che lei ha aiutato, occupandosi dell’educazione dei figli ma anche della dignità dei genitori. E questa domenica ci sarà la Messa in suffragio.
Una domenica nel ricordo a Giavenale di Schio
Una celebrazione che per ragioni di fuso orario sarà preceduta da quella a Giavenale di Schio, nella parrocchia di Santa Maria delle Grazie dove Nadia De Munari è cresciuta nella fede e dove vivono ancora i suoi genitori. Alle 20, poi partirà la processione “In cammino con Nadia”, dalla piazza della chiesa parrocchiale fino alla Chiesetta di Santa Giustina , dove la sera del 23 aprile la comunità e la famiglia recitarono il primo rosario per Nadia, pregando che riuscisse l’operazione per salvarle la vita a Lima.
Tanti fiori e biglietti sulla sua tomba a Schio
Nel cimitero di Schio, sopra la terra dove è sepolta, tanti fiori e biglietti con preghiere. Spicca il ricordo di papà Remigio e mamma Teresina. “Dopo 25 anni di missione formando maestre e accogliendo bambini bisognosi negli asili del Perù – hanno scritto – hanno voluto strapparti dalla vita terrena, ma non potranno privarti della Vita del Cielo. Con Amore, Papà e Mamma”. E come una piccola bandiera, la preghiera della missionaria su un pezzo di stoffa bianca: “Non ho altro da vivere se non portare avanti questo ‘testimonio’ del padre Ugo, di don Bosco. E’ qualcosa di speciale, una luce in tanta oscurità. Aiutiamoci a tenere acceso questo lumicino, la speranza del Lui poi verrà, è farà tutto più bello, anche le nostre miserie. E’ proprio così… forse tutto servirà a ‘piegarci’ un po’ di più e lasciare che faccia il Signore… e questa è per me la battaglia più dura”.
Il ricordo di Nadia di padre Samuele Frattini
Nadia schietta, Nadia che vuole andare subito al cuore delle cose, vive anche nel ricordo di padre Samuele Fantini, di Faenza, 45 anni, a Chimbote da 17 anni, come sacerdote, ma da prima in Perù come volontario Omg, seminarista a Huari, la diocesi peruviana di padre De Censi. Oggi è parroco a Maria Stella Maris, la parrocchia confinante con quella dell’Assunzione della Vergine di padre Armando Zappa, il confessore di Nadia. Ma Nadia, sottolinea padre Samuele, che alla fine sempre sorride, anche nel quadro voluto da alcuni cugini e benedetto dal vescovo di Vicenza monsignor Beniamino Pizziol, in una veglia a Monte Berico.
Padre Samuele: “Oggi la nostra gente ci è ancora più vicina”
Padre Samuele sta anche coordinando il progetto di “Un pozzo a Carbonera” sostenuto dalla famiglia e dai parenti di Nadia, che si sta completando nella zona di campagna della sua parrocchia, e che darà acqua a migliaia di case della zona. Ecco la sua testimonianza su questi giorni a Nuevo Chimbote e sulla sua missione insieme a Nadia De Munari.
Nuevo Chimbote un anno dopo: come avete cercato di far fruttificare la testimonianza e il sacrificio di Nadia?
Principalmente cercando di poter riprendere il lavoro in presenza con i bambini nelle nostre scuole, tanto negli asili come nelle scuole elementari. Una cosa che qui non è stata semplice perché ancora adesso ci sono un po’ di vincoli, di norme che dà il ministero e la stragrande maggioranza delle scuole non lavora ancora in presenza ma in semi presenza solo alcune giornate. Noi invece abbiamo desiderato, proprio come Nadia l’anno scorso aveva fatto, di riprendere il lavoro con i bambini tutti i giorni in presenza, potergli dare un buon pasto a pranzo, riprendere l’accompagnamento alle famiglie, anche nelle loro case. La prima cosa è stata questa: riaprire il lavoro con i bambini nel modo migliore e nel modo in cui anche Nadia desiderava farlo. E poi cercare di mantenere vivo il ricordo, non solo il ricordo affettivo di Nadia, ma proprio ricordo della sua vita donata agli altri. Questo anno ci è servito per conoscere di più Nadia: attraverso la sua morte desiderare di scoprire meglio una vita e non solo noi volontari, ma farlo anche con la nostra gente. Abbiamo cercato di avvicinare i genitori e i bambini alla vita di Nadia, attraverso momenti di incontro, di preghiera e anche coi bambini di festa, di condivisione, con recite. In tanti modi cercare di presentare la vita di Nadia, come una vita bella, regalata, un esempio per noi e anche come una persona che adesso dal cielo ci può proteggere.
L’ evento tragico di un anno fa ha cambiato in qualche modo anche la comunità di Nuevo Chimbote?
Nuevo Chimbote purtroppo è una città abbastanza violenta per cui anche l’aggressione e la morte di Nadia rischia di passare come tante altre aggressioni, tanti altri fatti violenti che succedono. Però le famiglie più vicine a noi, le persone dei nostri quartieri, ci hanno dimostrato tanto calore durante tutto quest’anno. La gente si è avvicinata di più a noi, ci ha dimostrato affetto, stima e anche vicinanza, una cosa che ci ha fatto sentire anche sicuri. Se in un primo momento ci può essere stato un po’ di timore per quello che era successo, la gente ci fatto proprio sentire il contrario. E credo che la gente delle nostre comunità, dopo la morte di Nadia ha visto sotto un’altra luce il lavoro che facciamo, la nostra presenza: non sono come un’0pera sociale, ma come un’azione di persone che desiderano regalare la vita per trasmettere qualcosa di buono, non solo per dare un aiuto materiale.
Quindi si può dire che dopo lo sconforto iniziale, anche per la difficoltà di dare un senso ad una tragedia così assurda, voi sacerdoti e volontari dell’Operazione Mato Grosso avete ripreso forza e vigore nel cuore?
Sì. Nel cuore, fin dall’inizio, c’è stata la voglia di portare avanti ciò che Nadia stava facendo, e soprattutto di raccogliere, ognuno nella nostra vita, la sua eredità. Credo che ognuno di noi, dentro di sé, fin dall’inizio, abbia detto “anch’io voglio regalare la mia vita come ha fatto Nadia, non solo nella morte ma come ha fatto durante tutta la vita”. Durante i primi mesi, quando per prudenza ci era stato consigliato di sospendere per un po’ le attività, abbiamo però mantenuto praticamente sempre la presenza religiosa, con momenti di preghiera e la celebrazione della domenica. Poi, appena si è capito, attraverso la polizia, che non c’era un pericolo per i volontari che stavano qua, abbiamo ripreso con decisione il lavoro che facciamo a favore della gente, soprattutto il lavoro educativo nelle scuole e quello negli oratori. Abbiamo riaperto la mensa dove ogni giorno si servono circa 500 pasti per i poveri e ripreso tutto il nostro lavoro. Perché il desiderio che abbiamo tutti nel cuore è proprio quello di raccogliere la testimonianza, l’ eredita di Nadia e di viverla, come riusciamo noi con i nostri difetti.
Qual è il suo ricordo personale di Nadia, a un anno dalla scomparsa? Cosa le resta di lei?
Questi sono sicuramente giorni molto intensi, anche per il ricordo fatto ogni sera nelle veglie, e perché riaffiorano i ricordi proprio di questi giorni. Nella notte tra il 20 e il 21 aprile era l’anniversario dell’aggressione. Il 22 aprile è un anno che fu operata a Lima e si ricorda l’apprensione, lo smarrimento. Però dietro a queste emozioni, andando più a fondo, il ricordo di Nadia è un ricordo molto dolce, di una persona totalmente dedicata ai bambini, ai poveri, alle loro famiglie. Una ragazza molto schietta, che anche nella relazione personale con me, con gli altri volontari, ha sempre desiderato arrivare al nocciolo delle questioni, alla verità, alle cose più profonde, per aiutarci a prendere la vita molto sul serio. Per non fermarsi solo a ciò che facciamo, al lavoro, all’aiuto, ma chiedersi anche: “Qual è il senso della vita? Come farò nella mia vita, a poter mantenere vivo qualcosa di Dio, come posso trasmettere la fede? Nel ricordare Nadia, soprattutto negli ultimi anni, quelli del Covid, che ci ha dato molto meno tempo di poterci vedere, penso che lei arrivava al nocciolo della questione subito, poche chiacchiere, affrontiamo le cose più vere e più serie della vita. E l’altro ricordo è che aveva sempre un grande sorriso, anche se si parlava di problemi, di difficoltà, lei ritrovava sempre il sorriso. Guardandolo adesso, penso che fosse proprio frutto di una fede molto semplice che le aveva nel cuore. Lasciava tutto in mano alla provvidenza. Forse questo lei lo ha vissuto con molta più semplicità di me. E la nostalgia nasce proprio dal ricordare i momenti condivisi, che a volte sono stati anche momenti in cui c’erano differenze sul modo di vedere le cose, il lavoro, però in cui ci si ritrovava con quel desiderio profondo di una vita buona, il desiderio di accompagnarsi.
Era schietta anche i suoi dubbi di fede, che però alla fine si ricomponevano, dubbi che le venivano anche dal vedere la sofferenza della gente che lei cercava di aiutare?
Questo ci accomunava tantissimo: anche io ho nella mia parrocchia una scuola e un asilo, e lavoro sempre con i bambini. Ogni volta che parlavamo ci si confrontava sui nostri bambini e le loro situazioni più difficili di abbandono, di violenza. E vedere i bambini, i più indifesi, vittime di tante cose ci portava sconforto e a chiederci: dove è Dio se succedono queste cose? Come facciamo a parlare di amore in un mondo che sembra che l’abbia cancellato? Però in lei riaffiorava sempre il sorriso, nonostante i dubbi profondissimi, le paure profonde, c’era un abbandono molto semplice alla provvidenza. Era una ragazza che pregava tanto, e anche questo l’aiutava, con una devozione forte alla Madonna. Aveva una fede semplice, che probabilmente l’aiutava ad accettare anche questi dubbi di fede che aveva come una parte del cammino per incontrare Dio. Una parte della penitenza che ci tocca di fare in questa vita è non poter avere grandi certezze. Però in lei ho sempre visto, dietro a questi dubbi, una serenità che a me ha sempre fatto bene, perché anche io tante volte mi ritrovavo con gli stessi pensieri. E vedere la sua serenità rasserenava un po’ anche me.
Lei ha raccontato delle veglie e dei momenti di ricordo in questi giorni a Nuevo Chimbote. Cosa emerge dai racconti su Nadia della gente che l’ha sentita vicina?
Abbiamo diviso le celebrazioni in due momenti. La mattina i bambini degli asili che Nadia dirigeva, a turno, ogni giorno un asilo diverso e una scuola elementare diversa, vanno alla Casa “Mamma Mia”, dove lei ha vissuto e dov’è morta, sono protagonisti di un momento di preghiera molto semplice. Anche i più piccoli fanno la loro preghiera in ricordo di Nadia, ed è dolcissimo ascoltare nelle parole dei bambini che l’hanno conosciuta come la ricordano, come le parlano, come si parla un angelo. Come ringraziano per i piccoli gesti che hanno ricevuto, dai quaderni, al cibo, ad un sorriso, alla visita alla loro casa. E quindi è commovente ascoltare nella semplicità dei bambini, l’affetto e il ricordo per Nadia. Poi ogni bambino porta un fiore, alla casa “Mamma mia” per poi fare un giardino, con i fiori che i bambini hanno portato in ricordo di Nadia. Invece ogni sera facciamo nelle nostre parrocchie una novena, in cui si ricorda Nadia e abbiamo ascoltato anche testimonianze di alcune maestre che hanno lavorato con lei. alcuni volontari che l’hanno conosciuta. Ognuno esprime in modo personale il suo ricordo, che non è solo un ricordo delle cose vissute, ma anche il desiderio di condividere un cammino che è lo stesso che ha fatto Nadia.
Ci parli infine dell’iniziativa sostenuta dalla famiglia di Nadia, nel vicentino, per ricordarla concretamente, con un gesto di solidarietà come il pozzo a Carbonera, cioè nella sua parrocchia. Come sta andando questa iniziativa?
La Carbonera è una zona di campagna, inglobata nella mia parrocchia che è principalmente urbana, però in questi ultimi anni si è unita una grande zona di campagna perché la gente ha occupato e ha iniziato a coltivare una vasta area di deserto, facendo canali di irrigazione. In quest’aria, che adesso è molto grande, sono nati poi alcuni villaggi, dove vive della gente più umile, che non è proprietaria dei terreni. I proprietari sono grandi imprenditori, e chi li lavora è tutta gente della zona delle Ande che lascia la sierra e viene sulla costa a cercare migliori condizioni di vita. Il più grande di questi villaggi è la Carbonera, e la maggior parte delle persone che ci vivono sono legate alla parrocchia e alla Chiesa Cattolica. Quindi si sono subito avvicinati a noi, ma uno dei problemi principali che vivono è la mancanza di acqua, che prendono da un canale di irrigazione, ma acqua sporchissima, e per vari mesi dell’anno è un’acqua fangosa perché arriva dalla Sierra e con la stagione delle piogge arriva acqua fangosa. Per cui la gente ci ha chiesto di poterli aiutare ad avere l’acqua potabile e c’era il desiderio da tempo di poter fare un pozzo, perché nel sottosuolo c’è l’acqua, e dal pozzo distribuire poi l’acqua a tutto il villaggio. Quando questa idea ha cominciato a prendere forma, però non c’erano ancora i mezzi per farlo, la famiglia De Munari ha espresso il desiderio di poter fare qualcosa in ricordo di Nadia e gli è piaciuta l’idea del pozzo. Per cui attraverso alcune iniziative sono riusciti a raccogliere i fondi necessari per iniziare i lavori. Abbiamo fatto lo scavo, che è il lavoro più complesso, e abbiamo creato un pozzo di 64 metri circa di profondità e abbiamo già lasciato i tubi. Siamo in attesa che arrivi una pompa solare dall’Italia, che è già in viaggio, perché non c’è l’elettricità in questo villaggio, e l’energia solare è l’unica possibilità. Adesso siamo dell’ultima fase: è stata già fatta tutta la rete di distribuzione nelle case, in ogni casa arriva il tubo che porterà l’acqua. Dovremo installare una cisterna da riempire con l’acqua che viene tirata su dal pozzo e da lì con un’altra pompa distribuirla a tutte le case. Fare il pozzo è stata anche l’occasione di riunire il villaggio, perché la parrocchia aiuterà con la costruzione del pozzo attraverso quello che ci manda la famiglia di Nadia, però poi la gestione del pozzo sarà del villaggio. Il pozzo è regalato al villaggio, non è una cosa che non teniamo. Per cui la gente si è dovuta organizzare, e si è formato un comitato direttivo che si incaricherà di vegliare sul funzionamento del pozzo e che adesso sta organizzando la gente per lavorare. Perché tutto il lavoro viene fatto insieme alla gente e tutti hanno lavoreranno gratuitamente per poter avere l’acqua. Andrà costruito un piccolo edificio dove mettere dentro la cisterna, si dovranno ultimare gli ultimi collegamenti, installare le pompe e dopo la gente potrà avere l’acqua.