Chiesa Cattolica – Italiana

Nadia Murad: il Papa in Iraq, segno di speranza per tutte le minoranze

Alessandro Gisotti

Con il suo immenso coraggio è diventata un simbolo per il suo popolo, gli yazidi, e per tutte le donne che, nelle guerre e non solo, sono vittime di violenza. Nel 2014, Nadia Murad è stata resa schiava dagli uomini dell’ISIS che hanno sterminato o imprigionato migliaia di yazidi nel Nord dell’Iraq tra cui molti suoi familiari. Vittima di violenze indicibili, Nadia non si è lasciata vincere dal male e oggi la sua voce è quella di un Premio Nobel per la Pace che parla contro ogni forma di violenza. Nel dicembre del 2018 ha incontrato Papa Francesco al quale ha regalato il suo libro autobiografico “L’ultima ragazza”. Una lettura, ha confidato il Pontefice ai giornalisti sul volo papale, che lo ha toccato profondamente. In questa intervista con i media vaticani, Nadia Murad parla dei frutti che si aspetta dalla visita di Francesco in Iraq e lancia un pressante appello alla comunità internazionale affinché si impegni per liberare le tante donne yazide ancora in mano ai jihadisti. 

I media di tutto il mondo hanno definito storica la visita di Papa Francesco in Iraq. Secondo lei, cosa rimane nel cuore del popolo iracheno di questo viaggio?

Non solo la visita di Papa Francesco in Iraq è storica in sé, ma è arrivata anche in un momento storico per il popolo iracheno, mentre si sta riprendendo da genocidi, persecuzioni religiose e decenni di conflitti. La visita del Papa ha messo in luce il potenziale della pace e della libertà religiosa. Ha evidenziato che tutti gli iracheni – indipendentemente dalla loro fede – meritano allo stesso modo dignità e diritti umani. Sua Santità ha anche inviato un chiaro messaggio che il risanamento del tessuto interreligioso della società irachena deve iniziare con il sostegno alla cura delle minoranze, come gli yazidi, che sono stati oggetto di violenza ed emarginazione.

Parlando ai giornalisti sull’aereo, Papa Francesco ha detto che uno dei motivi per cui ha visitato l’Iraq è stata la lettura del suo libro “L’ultima ragazza”. Nel suo primo discorso, rivolto alle autorità del Paese, ha ricordato la sofferenza degli yazidi. Quanto è importante che il Papa vi offra questo sostegno?

Durante la mia udienza con Papa Francesco nel 2018, abbiamo avuto una conversazione approfondita sull’esperienza del genocidio della comunità yazida, in particolare sulla violenza subita da donne e bambini. Sono felice che la mia storia gli sia rimasta dentro e che si sia sentito chiamato a portare questo messaggio in Iraq. La sua difesa della causa degli yazidi è un esempio per gli altri leader religiosi della regione per amplificare il messaggio di tolleranza verso le minoranze religiose come gli yazidi.

Oggi lei è un premio Nobel per la Pace, un’Ambasciatrice di buona volontà delle Nazioni Unite e ha fondato un’organizzazione, la “Nadia’s Intitiative”, per aiutare le donne vittime di violenza. Dove ha trovato la forza di trasformare tutto il dolore che ha sofferto in questa forza di bene?

Tutti gli yazidi hanno dimostrato una grande forza di sopravvivenza e resilienza. L’intera comunità ha sopportato un trauma immenso. Non saremo però in grado di risollevarci e ricostruire le nostre vite da soli. La comunità ha un estremo bisogno di sostegno e di risorse. La Nadia’s Initiative si sta impegnando per rafforzare la comunità nel proprio ristabilimento, fornendo un sostegno concreto e sostenibile.

L’ISIS ha perso la guerra nel 2017 ma lei ci ricorda che ci sono ancora migliaia di donne, anche giovani ragazze, in schiavitù che non sono ancora state liberate. Perché non si riesce a porre fine a questa tragedia e cosa dovrebbe fare la comunità internazionale?

Il fatto che 2.800 donne e bambini yazidi rimangano ancora dispersi, in prigionia dopo quasi sette anni, rivela la mancanza di volontà politica di proteggere i diritti umani fondamentali delle donne e la loro sicurezza. Dimostra che la violenza sessuale e la schiavitù non sono prese sul serio dalla comunità internazionale. Una task force multilaterale dovrebbe essere istituita immediatamente con l’unico scopo di localizzare e salvare queste donne e bambini.

Lei ha detto: “Voglio essere l’ultima donna sulla terra con una storia come la mia”. Cosa direbbe oggi alle tante donne che soffrono a causa della guerra e di terribili violenze?

A loro dico: “Non è colpa vostra”. I sistemi patriarcali globali sono stati pensati per soggiogarci, trarre vantaggio dalla nostra oppressione e fare la guerra sui nostri corpi. Sopravvivere e lottare per il riconoscimento di queste ingiustizie è un atto di resistenza. Vorrei anche dire: “Non siete sole”. Più di un terzo delle donne di tutto il mondo subisce violenza sessuale. Questo non significa che dobbiamo accettarla. Ci sono donne in ogni comunità che sopravvivono, si oppongono e denunciano. Quando ci uniamo per lottare per i nostri diritti, il cambiamento diventa inarrestabile.

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