Myanmar, l’ansia della popolazione e il rischio di una guerra civile

Vatican News

Antonella Palermo – Città del Vaticano

La crisi nel Paese asiatico assume via via connotati di vera destabilizzazione con gravi conseguenze economiche e sociali. I manifestanti pro-democrazia hanno spruzzato vernice rossa sulle strade di Yangon per ricordare le responsabilità della alla giunta golpista nella morte di tanti manifestanti. Diversi gruppi hanno chiesto di boicottare il Thingyan Water Festival della prossima settimana, che segna il nuovo anno buddista. Sui volantini che chiedono il divieto, distribuiti a Yangon, l’invito a quello che sarebbe “un segnale di compassione” per le famiglie delle persone rimaste vittima degli scontri.

Un bilancio sanguinoso

Il bilancio dei morti, durante due mesi di disordini dal colpo di stato del 1° febbraio, è salito intanto a 570, tra cui 47 bambini. Le forze di sicurezza hanno arrestato circa 3.500 persone, con quattro quinti di loro ancora in detenzione, ha dichiarato il gruppo di difesa dell’Associazione per i prigionieri politici. Alcuni manifestanti hanno denominato il loro movimento una “rivoluzione di primavera”, caratterizzata da marce in strada, atti di ribellione non violenta e campagne di disobbedienza civile volte a paralizzare l’apparato governativo. Ma la capacità di organizzare le proteste potrebbe essere stata ostacolata dalla restrizione militare di internet wireless a banda larga, che si aggiunge al blocco dei servizi di dati mobili durato settimane, che era stato il canale principale per la diffusione di ciò che stava accadendo nel Paese durante la repressione.

Intanto lavoratori in sciopero sono tornati a sfilare nella città di Mandalay, alcuni indossando maschere antigas. Le autorità hanno emesso mandati di arresto per decine di celebrità, modelli e influencer, accusati di “diffondere notizie per minare la stabilità dello Stato”. Domenica si è tenuto uno “sciopero delle uova di Pasqua” con uova dipinte a sostegno delle proteste esposte in luoghi pubblici e online. A Dawei, nel sud-est del Myanmar, città roccaforte del movimento di protesta, una breve marcia è stata accompagnata da una processione di moto. A Yangon, la più grande città del Paese, una processione commemorativa per i dimostranti uccisi si è svolta con persone vestite di nero.

Reazioni internazionali

Secondo la Russia, l’imposizione di sanzioni economiche al Myanmar potrebbe innescare una vera e propria guerra civile nel Paese asiatico. Intanto, il Brunei, nazione guida dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), ha accettato di organizzare una riunione dei suoi leader sulla crisi in ex Birmania, anche se non è stata fissata una data. Le posizioni dei suoi dieci membri sono divergenti sulla modalità di risposta all’uso della forza letale dell’esercito contro i civili.

La piccola comunità cattolica ha vissuto la Pasqua con il cuore attraversato dalla paura. Lo conferma un operatore socio-educativo, nel Paese da alcuni anni. Preferisce l’anonimato; lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Yangon:

Ascolta l’intervista

R. – Purtroppo c’è ancora la propaggine del Covid, quindi ci sono ancora le proibizioni e nelle chiese la gente non è stata tantissima però ha vissuto con un certo calore le celebrazioni. Invece ci sono alcune diocesi – ancora non ho capito il motivo – in cui le chiese sono ancora chiuse. Qui c’è stata partecipazione, anche se non come negli anni addietro. Un po’ perché la situazione di tensione non permette di stare in giro serenamente dopo l’imbrunire. E poi, purtroppo, la situazione che conoscete non ha permesso una grande preparazione. Di solito qui la gente si prepara molto, mi ricordo code lunghissime ai confessionali. Anche l’anno scorso è stato uguale, anzi le misure erano ancora più rigide. Qui la prossima settimana ci sarà il capodanno tradizionale, non so francamente come si svolgerà.

Qual è in generale lo stato d’animo della popolazione?

R. – Molto depresso, molto ansioso, tutti – di tutte le religioni – vivono la preoccupazione per il futuro. Investe tutti. Non si sa bene cosa succederà. C’è paura. Ci sono voci di gente che tende a rasserenare, certo è che non si può andare avanti così, c’è mancanza di lavoro…

Come ha accolto le parole del Papa nel suo Messaggio Urbi et Orbi, in cui ha fatto riferimento ai giovani, includendo anche quelli del Myanmar “che si impegnano per la democrazia, facendo sentire pacificamente la propria voce, consapevoli che l’odio può essere dissipato solo dall’amore”?

R. – E’ la preoccupazione di un padre che naturalmente vuole bene ai suoi figli e che prega perché ciò si realizzi nel modo migliore, senza fratricidi. Come il suo messaggio sia stato accolto qui non saprei dirlo. La visita del Santo Padre in questo Paese mi pare sia ancora molto nel ricordo della gente come momento che ha dato ampio respiro alla nazione in questi anni, però non so quale eco, quali conseguenze potrà avere. Alla preoccupazione del Papa si aggiunge quella di molti altri. Al di là di questo frangente, in effetti la cosa che più colpisce di questo popolo è proprio la giovinezza. Ovunque è visibile una gioventù molto bella, semplice, ancora legata a valori grandi, belli, alla famiglia. Sono giovani con una forza notevole. Qualche volta mi sono posto a confronto con i nostri giovani, forse troppo coccolati, qui fanno fatica, alle volte, senza educazione, con famiglie grandi, ma sono di una ingenuità, di una generosità enorme e profonda che li fa combattere fino all’ultimo anche con una certa incoscienza tipica del mondo giovanile. Però c’è una coscienza che la vita ci appartiene, che si può vuol bene e che il futuro dipende da noi e non da altri. Questa cosa è vera e grande qui.

Il Papa ha detto di recente: “Anche io mi inginocchio per le strade del Myanmar”, ispirandosi all’immagine della religiosa che si era inginocchiata davanti ai soldati birmani per proteggere i manifestanti…

R. – Sì, la religiosa ha fatto un grandissimo gesto, e non solo lei. Ci sono tanti altri religiosi che hanno fatto lo stesso. Tantissimi altri che stanno lottando, anche del mondo religioso, non solo cattolico, che si è messo a sostenere con una certa intensità la questione. Devo dire che quella immagine lì, in cui la generosità si espressa in maniera incredibile, ha accompagnato e accompagna tantissime persone.

Fa scalpore che anche i bambini siano rimasti vittima degli scontri…

R. – Purtroppo sì. E’ una grande sofferenza. Non saprei come dire, all’inizio le manifestazioni erano molto, davvero molto pacifiche. Io mi ricordo che si cantava, addirittura si portavano i fiori anche di fronte alle persone in divisa, era quasi una festa. Una cosa eccezionale, laddove passavano i cortei si ripulivano le strade, si portava e offriva acqua, le famiglie andavano con i bambini. All’inizio era così. Poi tutto è precipitato. E gli innocenti pagano sempre.

Ma secondo lei che spazi di dialogo effettivo ci sono al momento?

R. – Io non saprei dire.

In quali attività è impegnato?

R. – Stiamo lavorando con ragazzi che hanno grosse difficoltà, in particolare giovani del carcere minorile, con povertà educativa. Avevamo impostato un bel lavoro, nonostante manchi il personale formato in questo senso. Sono persone che soffrono di varie dipendenze: alcolismo, droghe. Poi seguiamo anche altri progetti di sviluppo nell’ambito agricolo, per esempio. Godevamo della fiducia del governo, come anche altre Ong. Adesso è un po’ tutto bloccato e non saprei dire come sarà il futuro. Il clima è cambiato. Qui l’accoglienza è forte e bella e mi dispiacerebbe se si perdesse. Qui ho vissuto anni bellissimi. La gente è aperta a imparare. C’è la disponibilità a crescere. Siamo pronti a creare formazione e strutture per chi soffre di varie forme di disabilità. Speriamo di poter continuare.