Chiesa Cattolica – Italiana

Myanmar: la Malaysia rimpatria i profughi birmani

Marina Tomarro – Città del Vaticano

L’Alta Corte di Kuala Lumpur ha emesso un ordine di soggiorno prolungato per impedire l’espulsione dalla Malaysia di altri 114 birmani rimasti nel Paese. Ieri, intanto, le autorità malesi avevano rimpatriato altri 1.086 migranti, a dispetto di un precedente ordine del tribunale e dei pericoli di un rientro forzato in Myanmar dopo il colpo di Stato militare. Lo fa sapere Amnesty International, accogliendo con favore la decisione del tribunale sollecitata con forza, condannando, per contro, i rimpatri già avvenuti. Il direttore esecutivo di Amnesty International Malaysia, Katrina Jorene Maliamauv, ha spiegato che c’è timore per il destino a cui vanno incontro i rimpatriati. Tra di essi ci sono diversi minori. Inoltre viene ribadita la richiesta di consentire un intervento dell’Unhcr, l’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati. L’accesso dell’organizzazione alle strutture malesi di detenzione per migranti è interdetto dall’agosto 2019, mentre ora sarebbe importante poter verificare l’identità e lo status delle persone ospitate.

Un contesto sempre più spinoso

“Credo che le istituzioni internazionali dovrebbero impedire che questi trasferimenti continuino”, spiega Cecilia Brighi, dell’Associazione Italia-Birmania. “Queste persone vivono in situazioni di estreme precarietà nella Malesia e la loro condizione negli ultimi anni purtroppo è andata sempre più peggiorando. Dall’altra parte l’Unione Europea sta cercando di risolvere la situazione del colpo di stato in Myanmar, anche attraverso la mediazione dei Paesi dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Su-Eest Asiatico, e, se la Malesia che fa parte dell’Asean assume questa posizione, vuol dire che la mediazione va a complicarsi ulteriormente”

Ascolta l’intervista a Cecilia Brighi

Nuova condanna dalla comunità internazionale

Intanto dalla comunità internazionale, attraverso una dichiarazione congiunta firmata da Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America, e dall’Alto rappresentante Esteri dell’Unione Europea, è arrivata una nuova ferma condanna per la repressione delle proteste in Myanmar e una richiesta per la fine delle violenze, a quasi un mese dal colpo di Stato che ha portato all’arresto della leader del partito della Lega nazionale per la democrazia,  Aung San Suu Kyi. “La speranza è che le Nazioni Unite definiscano un blocco delle importazioni delle armi a livello internazionale,  – continua Cecilia Brighi – e che si apra presto un negoziato, perché l’unica soluzione possibile è che si faccia un passo avanti verso la democrazia”.

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