Myanmar, i Rohingya senza cittadinanza ma costretti ad arruolarsi nell’esercito

Vatican News

Decimato dalle perdite sul campo, l’esercito birmano ha reclutato forzatamente uomini provenienti dalla minoranza di religione musulmana e a inviarli in prima linea nella battaglia con l’Arakan Army, nello Stato di Rakhine. Circa mille i giovani, principalmente sfollati, rapiti da villaggi, mercati, campi e condotti in basi dell’esercito per l’addestramento militare

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Per rimpinguare i propri ranghi, decimati dalle perdite sul campo, l’esercito del Myanmar ricorre al reclutamento forzato di uomini Rohingya e a inviarli in prima linea nella battaglia con l’Arakan Army, milizia etnica che combatte nello Stato di Rakhine, lo stato birmano in cui sono tradizionalmente stanziati i Rohingya, popolazione di religione musulmana discriminata ed emarginata in Myanmar. Come riferiscono organizzazioni dei Rohingya in diaspora citate dall’agenzia Fides, come Burmese Rohingya Organisation UK e Free Rohingya Coalition, “il regime birmano ha preso di mira i Rohingya per il reclutamento forzato perché sono vulnerabili. Non possono fuggire a causa delle restrizioni alla circolazione che la giunta ha imposto. Lo Stato di Rakhine è per i Rohingya. come una prigione a cielo aperto. La giunta li considera sacrificabili. È una via atroce per mandare i Rohingya verso la morte”.

Giovani rapiti dalle case

Almeno mille giovani Rohingya – circa la metà dei quali sfollati interni – sono stati reclutati con la forza nell’esercito birmano nelle ultime settimane. I giovani sono stati rapiti dalle loro case, villaggi, mercati e campi per sfollati e condotti in basi dell’esercito per l’addestramento militare. Dopo due settimane di addestramento militare, i giovani, armati e costretti a indossare uniformi militari birmane, i sono tati inviati in prima linea nello stato di Rakhine. Le Ong temono che a decine siano stati uccisi “anche se il numero esatto delle vittime è difficile da verificare a causa dei blackout delle comunicazioni imposti dal regime in quella regione”. Altri sfollati interni Rohingya, tornati a Sittwe, capitale dello stato di Rakhine, dopo l’addestramento militare, saranno chiamati in prima linea quando necessario.

“Immigrati clandestini”

Nel febbraio scorso – ricorda ancora Fides – il regime birmano ha annunciato che avrebbe applicato la legge del 2010 sul servizio militare obbligatorio. Ma, nel caso dei Rohingya, privati della cittadinanza ai sensi di una legge del 1982, senza tutele e senza diritti riconosciuti, non esisterebbe alcuna base legale per imporre loro la leva obbligatoria. Le Ong ricordano che i Rohingya vivono nella condizione di apolidi: non hanno passaporto nè carta di identità, sono sfollati interni e sono rinchiusi in ghetti. Soggetti a discriminazione sistematica, violenza ed espulsione dai loro villaggi nello stato di Rakhine, sono sempre stati considerati e definiti dalla giunta “immigrati clandestini provenienti dal Bangladesh”. Per questo, tra il 2017 e il 2018, oltre milione di Rohingya , per cerare scampo dalla violenza, hanno oltrepassato il confine stabilendosi in campi profughi in Bangladesh, dove sono tuttuora in condizioni molto difficili e precarie.

Sentenze non rispettate

L’arruolamento forzato dei giovani Rohingya avviene proprio durante il mese sacro islamico del Ramadan. Molti giovani hanno tentato di fuggire e alcuni rimasti gravemente feriti nel tentare la fuga. I Rohingya – riferiscono le organizzazioni della diaspora – sono stati anche costretti a prendere parte a manifestazioni di protesta inscenate dal regime contro l’Arakan Army. Il regime ha ordinato la partecipazione di una persona per ogni famiglia, ha fornito cartelli ai partecipanti per coinvolgerli nella propaganda della giunta. Il regime, si afferma, “sta alimentando la tensione etnica e religiosa, per incitare all’odio e alla violenza verso i Rohingya”. Nel gennaio 2020, la Corte internazionale di giustizia ha emesso un ordine nei confronti del Myanmar affinché adottasse “tutte le misure in suo potere” per proteggere i Rohingya. Questa sentenza non è mai stata rispettata e 600 mila Rohingya tuttora presenti nello Stato di Rakhine continuano a subire violenze e umiliazioni che “porteranno alla morte lenta”, si denuncia, in quanto si stanno “infliggendo deliberatamente di condizioni di vita che provocano la graduale sparizione del popolo Rohingya, privandolo delle risorse indispensabili per la sua sopravvivenza” come cibo, acqua, alloggi, servizi igienico-sanitari e assistenza medica. Alla base persistono le severe restrizioni alla libertà di movimento imposte ai Rohingya, che rendono impossibile fuggire dal reclutamento forzato o da altre violenze.

Gli appelli del Papa

Dopo averli ricordati numerose volte negli anni scorsi, Papa Francesco, nella prima udienza generale del 2024, il 3 gennaio scorso, ha nuovamente invitato a essere sensibili al dramma dei rifugiati Rohingya in Myanmar e Bangladesh: “E non dimentichiamo i nostri fratelli Rohingya che sono perseguitati”, ha detto il Pontefice.