Marco Guerra – Città del Vaticano
La giunta militare del Myanmar ha confermato oggi di aver eseguito le prime condanne a morte, le prime nel Paese dopo 50 anni, impiccando un ex deputato del partito della leader Aung San Suu Kyi, un attivista per la democrazia e altri due prigionieri politici che erano stati accusati di un omicidio mirato dopo la presa di potere militare del Paese lo scorso anno.
Processi a porte chiuse
Le esecuzioni, annunciate per la prima volta dal quotidiano statale Mirror Daily, sono state eseguite nonostante le richieste di clemenza arrivate da tutto il mondo per i quattro uomini, incluse da esponenti delle Nazioni Unite e dalla Cambogia, che detiene la presidenza di turno dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean). Al momento le autorità del Myanmar non hanno riferito quando sono avvenute le impiccagioni, la prigione in cui erano stati detenuti gli uomini e il dipartimento carcerario hanno rifiutato commenti. I quattro sono stati condannati a morte in processi a porte chiuse a gennaio e ad aprile ed erano stati accusati di aver aiutato le milizie a combattere l’esercito, che ha preso il potere con un colpo di Stato e ha scatenato una sanguinosa repressione degli oppositori.
Oltre 100 persone nel braccio della morte
Il Governo di unità nazionale del Myanmar (NUG), un’organizzazione ombra messa fuori legge dalla giunta al potere, ha condannato le esecuzioni e ha chiesto un’azione internazionale contro la giunta. Tra le persone giustiziate ci sono l’esponente della democrazia Kyaw Min Yu, meglio conosciuto come Jimmy, e l’ex legislatore e artista hip-hop Phyo Zeya Thaw, secondo quanto riportato dal quotidiano Global New Light of Myanmar. “Queste esecuzioni rappresentano una privazione arbitraria della vita e sono un altro esempio dell’atroce situazione dei diritti umani in Myanmar”, ha dichiarato Erwin Van Der Borght, direttore regionale del gruppo per i diritti umani Amnesty International, il quale stima inoltre che in Myanmar “più di 100 persone siano nel braccio della morte dopo essere state condannate in procedimenti simili”.
Le reazioni internazionali
“Il mio cuore va alle loro famiglie, agli amici e ai loro cari e a tutte le persone in Myanmar che sono vittime delle crescenti atrocità della giunta”, ha dichiarato in un comunicato il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Myanmar, Tom Andrews. “Nemmeno il precedente regime militare, che ha governato tra il 1988 e il 2011, ha osato eseguire la pena di morte contro i prigionieri politici”, ha fatto notare il deputato malese Charles Santiago, presidente dei parlamentari ASEAN per i diritti umani. Gli Stati Uniti sono intervenuti tramite l’ambasciata a Yangon, capitale del Myanmar, che con un comunicato ha condannato le esecuzioni. La Cina, storico alleato del Myanmar, ha affermato che tutte le parti nel Paese dovrebbero lavorare per risolvere adeguatamente i conflitti all’interno del suo quadro costituzionale. La Cina sostiene sempre il principio di non interferenza, ha affermato Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese, durante un regolare briefing con i media, quando gli è stato chiesto se le esecuzioni soddisfano le aspettative di Pechino.
Il quadro politico
Secondo gli analisti, l’esecuzione delle condanne a morte costituisce un’ulteriore escalation della brutale repressione del dissenso da parte della giunta militare al potere da febbraio 2021. L’esercito, destituendo il governo eletto di Suu Kyi, ha innescato proteste pacifiche che sono presto sfociate in resistenza armata e poi in scontri diffusi che alcuni esperti delle Nazioni Unite definiscono come una guerra civile.
Noury (Amnesty): ulteriore passo indietro nei diritti
“Le esecuzioni sono uno sviluppo terribile del golpe, dallo scorso febbraio i militari hanno arrestato 13mila persone, ne hanno uccise 1700 che manifestavano pacificamente, hanno ripreso i conflitti in diverse regioni e ora queste impiccagioni rappresentano un ulteriore scatto all’indietro dei diritti umani che temevamo”, è quanto riferisce a VaticanNews il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, che conferma, inoltre, la grande preoccupazione per altre 100 persone “condannate a margine di processi farsa per reati inesistenti”.
Sanzioni e giustizia internazionale
Noury denuncia che i riflettori sul Myanmar della comunità internazionale si sono spenti dopo le violenze dello scorso anno, mentre le uccisioni e i processi sommari sono andati avanti per decimare l’opposizione nel disinteresse complessivo. “Serve che l’Unione Europea si impegni nel chiedere che le altre esecuzioni non abbiamo luogo” prosegue l’esponente di Amnesty. Per fare pressione sulla giunta militare, Noury chiede inoltre che i Paesi che ancora inviano armi al Myanmar smettano di farlo. “È necessario, poi, applicare sanzioni mirate e muoversi con la giustizia internazionale – aggiunge -, proprio due giorni fa la corte penale internazionale ha deciso di procedere con la denuncia di genocidio ai danni dei Rohingya, presentata dal Gambia contro le autorità di Yangon”. In questo contesto Noury ricorda che l’opposizione politica è stata completamente decimata da arresti e persecuzioni e infine denuncia il riaccendersi dei conflitti etnici con crimini di guerra perpetrati dai militari al potere.