Musei Vaticani. Il fascino di Sekhmet, la più grande produzione scultorea a tema nel mondo

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Presentato il “Progetto Sekhmet” incentrato sullo studio delle centinaia di statue in granodiorite della dea leonessa dell’antico Egitto, collocate originariamente a protezione del tempio funerario del potente faraone Amenhotep III a Tebe Ovest. Un’iniziativa internazionale e multidisciplinare resa possibile anche grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

Guerriera, guaritrice, il suo nome significa letteralmente “La Potente”. Sekhmet, importante dea del pantheon egizio, divinità del deserto con corpo di donna e testa di leonessa, animale feroce e nel contempo gatto mansueto. A lei sono dedicati circa 300 esemplari di statue in granodiorite, molte delle quali emerse dagli scavi attivi da oltre 20 anni nell’odierna Luxor, altre sparse in numerosi musei del mondo e qui giunte dal XIX secolo in avanti per mano di archeologi e viaggiatori che ne rimasero affascinati. Provengono dal tempio funerario del faraone più potente e grande della storia dell’Egitto, Amenhotep III, a Tebe Ovest, eretto tra il 1390 e il 1353 a.C.  

Progetto Sekhmet

Per questo luogo sacro si stima che originariamente siano state eseguite circa 800 statue di dimensioni, proporzioni e caratteristiche diverse. Due le tipologie: seduta in trono o stante. Erano collocate nel tempio a protezione del sovrano. I Musei Vaticani conservano dodici esemplari (cinque stanti, sei in trono e una testa frammentaria). Nel 2017 in occasione del loro restauro è nato il “Progetto Sekhmet” incentrato sullo studio di questa produzione scultorea. In seguito è stato ampliato, coinvolgendo anche la più ampia collezione proveniente dal Museo Egizio di Torino.

Progetto Sekhmet

Lo scopo di questo progetto, che si avvale della collaborazione di esperti a livello internazionale, è quello di ricostruire, oggi anche grazie all’ausilio dell’intelligenza artificiale, la disposizione originaria delle statue all’interno del tempio, compresa la loro realizzazione tecnica e l’organizzazione di questo gigantesco cantiere. Il progetto è diretto da Alessia Amenta, curatrice del Reparto di Antichità Egizie e del Vicino Oriente dei Musei Vaticani in collaborazione con il suo assistente Mario Cappozzo.

Ascolta l’intervista ad Alessia Amenta

Dottoressa Alessia Amenta, dietro le statue della dea Sekhmet, di cui i Musei Vaticani conservano dodici esemplari, si celano significati ancora poco conosciuti per quanto riguarda la progettazione e la tecnologia legata a queste statue. Quali i risultati degli studi finora svolti nell’ambito del progetto Sekhmet che lei dirige?

La produzione di centinaia di statue della dea Sekhmet nasconde in effetti una serie di interrogativi ai quali abbiamo e stiamo cercando di rispondere proprio con questo progetto interdisciplinare e internazionale. Di fatto il primo punto che sfugge è proprio quello della vera e propria realizzazione di queste statue. Ricordiamo che siamo nell’età del bronzo e queste statue sono scolpite nella pietra più dura che esiste in natura: la granodiorite, che oggi si lavora con punte di diamante. Quindi stiamo cercando di comprendere quale sia stata la vera e propria vita di queste statue: dal momento della loro genesi all’interno della cava e poi il loro trasporto via canale fino al tempio funerario, e poi la vera e propria realizzazione della statua che probabilmente poteva essere scolpita in un primo momento in un atelier accanto al tempio, per essere poi posizionata e finita, per quanto riguarda l’incisione degli elementi iconografici, e poi la pulitura che rendeva queste statue nere brillanti, e poi la pittura di queste statue.

Le statue della dea Sekhmet nei Musei Vaticani

Una delle scoperte sensazionali è stata ritrovare la cromia su queste statue che avevano incredibili occhi rossi, simbolo appunto della dea più sanguinaria e temeraria del pantheon egizio. I risultati che stiamo conseguendo sono legati alla comprensione dell’aspetto tecnologico e anche alla comprensione di quella che era un’organizzazione di cantiere in cava. Immaginate per realizzare più di 800 statue quanti chilometri lineari di cava devono essere stati aperti sequenzialmente sotto una regia straordinaria. E poi stiamo studiando il lavoro all’interno del tempio: immaginate quante squadre di operai specializzati che dovevano rispondere ad un’organizzazione, perfetta anche nel timing.

Progetto Sekhmet

Nei musei del mondo si contano circa 200 esemplari di statue di Sekhmet, dea leonessa, guerriera e guaritrice, feroce e mansueta al contempo. Come si sono disperse? Quale è la loro storia?

Nei musei di tutto il mondo si contano più di 200 statue e grazie alla collaborazione di Tara Draper-Stumm, una egittologa che sta lavorando alla dispersione delle statue Sekhmet, abbiamo potuto seguire questa dispersione. Ricordiamo che il tempio di Amenhotep III, a causa di un terremoto, circa 150 anni dopo la sua costruzione, venne praticamente distrutto e cadde più o meno nell’oblio, diventando una cava a cielo aperto e le statue non vennero reimpiegate dal punto di vista della pietra. Alcune di queste furono spostate in altre aree della zona, ma la maggior parte restarono sottoterra. Gli scavi avviati a partire dall’Ottocento hanno recuperato queste statue di bellissima fattura che rappresentavano un oggetto di valore da portare indietro in Europa. Di fatto le più belle statue sono quelle nelle collezioni sparse un po’ per tutto il mondo, che hanno però perso quella cromia che invece si ritrova nelle statue che provengono dal sottosuolo.

Il progetto Sekhmet, avviato con il restauro degli esemplari dei Musei Vaticani nel 2017, riunisce un team interdisciplinare di esperti da lei diretti e coordinati e si avvale della collaborazione della dottoressa Hourig Sourouzian, direttore dello scavo del tempio funerario di Amenhotep III, a Kom el-Hettan. Quale obiettivo vi ponete? A che traguardi puntate?

Il progetto è nato durante gli studi su undici statue della dea Sekhmet conservate nei Musei Vaticani, nel corso del loro restauro eseguito sotto la supervisione del nostro Laboratorio Materiali lapidei, in collaborazione con il nostro Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e il Restauro. Il restauro è il momento di riflessione, un momento di conoscenza approfondita del materiale ed è stata per noi un’occasione unica per provare a comprendere in primo luogo la tecnica esecutiva. Non si può negare che la collaborazione con la dottoressa Hourig Sourouzian – che dirige lo scavo presso il tempio funerario di Amenhotep III, uno scavo archeologico grandioso che prevede anche la conservazione del sito e l’apertura di un parco archeologico – ci ha permesso di contare per il nostro progetto altre circa 300 statue e di comprendere con maggior facilità alcuni aspetti di questa produzione scultorea che è la più grandiosa produzione scultorea a tema unico di tutta l’umanità.

Progetto Sekhmet

Manca completamente una documentazione archeologica testuale che ci permette di recuperare la tecnologia sottesa a questa lavorazione, all’organizzazione in cava, all’organizzazione sul sito. Il nostro obiettivo è quello di collaborare con lo scavo anche per riposizionare nella loro collocazione originaria all’interno del tempio tutte queste statue. Quando l’area del tempio diventerà appunto un parco archeologico. Cerchiamo anche di comprendere l’organizzazione di cantiere che doveva essere straordinaria. Quando parliamo di un corpus di più di 300 statue ci rendiamo conto che non è più possibile gestire i dati autonomamente. Nel momento in cui abbiamo iniziato anche soltanto a misurare queste statue per quanto riguarda le dimensioni, ma anche le loro proporzioni, ci siamo trovati davanti ad una quantità di numeri sorprendenti: più di 20.000 misurazioni, statue in diverso stato di conservazione, difficili da movimentare, difficili da mettere a confronto anche soltanto ad occhio nudo o semplicemente con delle fotografie.

Progetto Sekhmet

Ci siamo quindi affidati ad un ingegnere informatico, Stefano Mastrostefano, dell’Università degli Studi del Molise, che ci ha trasportato nel mondo fascinoso dell’intelligenza artificiale. Oggi l’archeometria va di pari passo con l’archeologia. Non possiamo che essere contenti di poter studiare il materiale con tutte le indagini scientifiche applicate ai beni culturali. Abbiamo potuto iniziare a lavorare su questi numeri, ad incrociare i dati provenienti da questo enorme corpus. Non dimentichiamo che siamo davanti ad un gruppo di statue non omogeneo ma in realtà, osservandole più attentamente, ci troviamo davanti a una varietà seriale di statue. Questo vuol dire statue che rispondono ad un modello originario unitario che viene interpretato figurativamente, creando tante diversità. Tutte insieme dovevano rappresentare un unico corpo a protezione del sovrano all’interno del tempio. Dentro i magazzini in cui lavoriamo a Luxor, dove sono al momento conservate queste 300 statue, siamo circondati da statue diverse tra loro, diverse per dimensioni, per proporzioni, per particolari iconografici, per litotipo. Non è facile mettere a confronto tutto questo materiale senza un supporto intelligente. Con la creazione di un software dedicato, che con un gioco di parole abbiamo chiamato Seek-hmet, siamo convinti di poter dare una risposta ai nostri interrogativi e di poter far parlare questi numeri e trovare delle risposte.

Progetto Sekhmet