Il presidente della Conferenza dei vescovi dell’Asia centrale commenta le giornate trascorse con Francesco a Ulaanbataar, in Mongolia. Ricordando la visita papale di un anno fa in Kazakistan, il porporato sottolinea il valore della piccolezza, di una fede vissuta non come una serie di obblighi che ingabbiano ma come capacità di creare armonia in un mondo che ha bisogno di pace
Antonella Palermo – Città del Vaticano
“Se non fosse che sono un uomo anziano, mi metterei a piangere”. Si lascia andare a un momento di particolare commozione il cardinale José Luis Mumbiela Sierra, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici dell’Asia Centrale che, dalla diocesi della Santissima Trinità ad Almaty, in Kazakhstan, dove è vescovo, ha partecipato agli appuntamenti di Papa Francesco in Mongolia. Un viaggio, quello del Pontefice, analogo a quello di un anno fa nella capitale kazaka, per tornare a farsi prossimo alle piccole greggi di questi Paesi confinanti. “Una grazia”, ripete il porporato nell’intervista dell’inviata Patrizia Ynestroza.
Siamo tutti persone semplici, nessuno è un superuomo
Il cardinale Mumbiela Sierra parla del grande impatto che sempre, e anche in questo caso, ha avuto l’azione di Dio attraverso “le persone semplici” di questa piccola comunità. “Tutti noi siamo persone semplici”, ricorda, alludendo sia agli autoctoni, sia a chi là è arrivato “con molte difficoltà” da altre nazioni. Anche “il Papa, i cardinali, i vescovi che sono venuti, i sacerdoti. Siamo tutti persone semplici. Non c’è nessun superuomo qui”. E, aggiunge: “Le persone semplici sono capaci di trasmettere una cascata di grazia” perché, proprio attraverso “i ponti umani” tra i fedeli, sottolinea Mumbiela, si riesce a trasmettere quello che non siamo capaci di dare da soli.
Dalla Mongolia e con la Mongolia possiamo creare la pace
Il cardinale evidenzia lo specifico della cattolicità della Chiesa: l’abbraccio verso tutti del Dio eterno. “Ecco cos’è la Chiesa, e anch’io vivo una realtà simile. Sì, se non fosse che sono un uomo anziano, mi metterei a piangere. È molto commovente vedere la bellezza della nostra fede” che, qui, precisa, è come se fosse più incarnata. Il capo dei vescovi dell’Asia centrale, che ha sperimentato l’anno scorso in Kazakistan la vicinanza del Papa, fa rientro ad Almaty facendo tesoro di tutti gli incontri di questi giorni. In particolare, accogliendo “questa vocazione specifica della Mongolia, un Paese giovane, con voglia di democrazia, con uno sguardo in parte al passato, ma con una grande voglia giovanile di futuro. La Chiesa dice al popolo mongolo: ‘Avete la capacità di essere qualcosa di importante per questo mondo, un mondo sofferente’. Noi possiamo – dice il porporato – dalla Mongolia e con la Mongolia, creare questa pace. In altre parole, c’è un modello e loro possono espandere questo modello andando alle loro radici, ai valori della storia di ogni popolo. Questo è molto importante e molto bello, vedere che ogni popolo ha dei valori che possono essere trasmessi ad altri popoli. E la Mongolia, nella sua piccolezza, ha anche qualcosa di molto bello per gli altri”.
Il cristianesimo: non una serie di obblighi ma l’armonia che siamo capaci di creare
Monsignor Mumbiela Sierra ricorda, tra gli altri, l’incontro del Papa con i religiosi: “A volte possiamo vedere il cristianesimo come una serie di devozioni, di riti, di obblighi domenicali, di messe ma l’armonia che il cristianesimo crea a livello personale e nella società, è l’essenza vera del cristianesimo”. Così, spiega, ci si arricchisce reciprocamente. Il presule invita poi a rivedere le immagini degli incontri con i missionari, quelle della Messa a Steppe Arena, a meditare e assaporare a lungo. “Gustate e vedete quanto è buono il Signore”… Ciò porterà a una migliore comprensione della fede in generale. “Assaporare bene”, questo è necessario, dice il cardinale facendo memoria di quanto il Papa aveva esortato a fare in questi giorni fin dall’inizio del viaggio. “Bisogna ruminare un po’ e vedere. Vedere con gli occhi della fede, con gli occhi della riflessione. Quanto è buono il Signore che ci ha riunito qui e che ci ha portato il Papa e che ci rende capaci, anche se siamo piccoli e pochi, di fare grandi cose e di portare soluzioni e speranza”.