Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
Ancora una volta le immense ricchezze del sottosuolo africano si sono trasformate nella peggiore condanna. E’il caso del Mozambico – in particolare della sua parte più settentrionale – dove tra il 2010 e il 2013 sono stati scoperti immensi giacimenti di gas: i dati parlano di oltre 5mila miliardi di metri cubi, la nona riserva del pianeta per importanza; e poi le miniere di rubini e di bauxite, oltre a carbone, oro, rame, fluorite, uranio. La maggior parte di queste ricchezze vengono sfruttate da multinazionali occidentali e le ricadute in termini economici sulla popolazione sono nulle. La provincia settentrionale di Cabo Delgado era e resta tra le più misere del paese. E’ proprio qui che si è abbattuta la furia omicida del movimento islamista Ansar al Sunna, fedele all’Isis.
Ascolta l’approfondimento sul Mozambico
La popolazione in fuga, Avsi: emergenza drammatica
Gli attacchi terroristici di Ansar al Sunna, i cui membri sono chiamati in Mozambico al-Shabaab (i giovani, in arabo), vanno avanti almeno dal 2017. Alcune provincie come quella di Mocimboa da Praia sono completamente sotto il loro controllo. Almeno 700 mila civili in fuga dalle zone di Cabo Delgado dove avvengono gli attacchi degli al Shabaab hanno riparato nelle regioni limitrofe. Si tratta di quasi la metà della popolazione dell’area. Le organizzazioni umanitarie attive nel paese riferiscono che si tratta per il 50% di bambini soli. Martina Zavagli, responsabile dei progetti di Fondazione AVSI in Mozambico, riferisce che si tratta di persone che arrivano senza nulla, in fuga precipitosa e bisognosi di ogni tipo di assistenza. Nonostante la solidarietà che i mozambicani mostrano ai fuggiaschi, i termini dell’emergenza umanitaria che si è venuta a creare sono drammatici.
[ Photo Embed: La metà dei profughi sono bambini]
Gli obiettivi del terrore, Sant’Egidio: rendere schiava la gente
La notizia diffusa alcune settimane fa dall’organizzazione Save the Children della decapitazione di bambini sotto gli occhi dei genitori ad opera dei miliziani islamisti ha destato orrore in Occidente. La tattica del movimento terrorista sembra essere proprio quella di spingere la popolazione alla fuga, per chi resta il destino è segnato: o entra a far parte degli al Shabaab o viene ucciso o fatto schiavo. La battaglia è per il controllo delle ricchezze del sottosuolo e la delegittimazione delle istituzioni di Maputo. D’altronde, la miseria in cui è stata costretta la popolazione di questa parte del Paese – spiega don Angelo Romano, dell’Ufficio relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio – ha spinto parecchi giovani a sposare la causa dell’islamismo radicale, che si propone come alternativa al regime di malaffare e corruzione.
Le piaghe del Mozambico hanno origini lontane
La popolazione del nord del Mozambico ha sofferto molto durante il decennio della guerra d’indipendenza e poi durante il periodo 1977-1992 con la guerra civile. Padre Bernardo Suate, responsabile per Vatican News del programma in lingua portoghese per l’Africa, conosce bene la storia del calvario dei suoi connazionali. Non solo le guerre, ma anche i disastri naturali e adesso la pandemia da Covid-19 si sono abbattuti inclementi sul Mozambico. Una condizione che la chiesa locale, in particolare attraverso mons. Luiz Fernando Lisboa, già vescovo di Pemba, denunciava da molto tempo: assenza di infrastrutture, analfabetismo, malnutrizione e povertà endemica.
[ Photo Embed: Una donna in fuga dalle violenze]
L’impotenza dello Stato
Il governo di Maputo ha finora tentato una risposta di tipo militare per tentare di arginare quanto avviene nel Nord, ma le risorse limitate e la scarsa preparazione delle sue forze armate non ha dato risultati. Da alcuni mesi gli Stati Uniti, che hanno inserito Ansar al Sunna nelle liste delle organizzazioni terroristiche legate all’Isis, hanno inviato nel paese un contingente di istruttori militari per addestrare il personale mozambicano. Un aiuto che arriva dall’esterno dopo il ricorso a società di sicurezza private. Tra questi i mercenari della divisione Wagner (impiegati anche in Libia e Siria) e quelli della società sudafricana Dyck Advisor Group. Ci sono stati momenti – spiega don Angelo Romano – in cui il numero dei mercenari nel paese superava quello delle truppe regolari.
L’incapacità della comunità internazionale
La tragedia del Mozambico è una tragedia africana e in tal senso dovrebbe essere affrontata: cooperazione internazionale, Unione Africana e Nazioni Unite devono avere la capacità di far sentire la propria voce – ribadisce padre Suate – e il processo dovrebbe coinvolgere anche le multinazionali coinvolte nello sfruttamento delle risorse e che dovrebbero assumersi delle responsabilità che vadano oltre la tutela degli interessi aziendali. Senza dimenticare il ruolo che può giocare la stessa società mozambicana – aggiunge don Angelo Romano – attraverso la ricostruzione del proprio tessuto di relazioni e la legittimazione istituzionale.