“Morto per la droga, ora vivo e sono felice”: storia di Andrea della Comunità Cenacolo

Vatican News

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Ogni mattina, per anni, il primo pensiero di Andrea era quello di ammazzarsi. Per non farlo si faceva di dieci grammi di cocaina, arrivando a spendere anche mille euro a settimana. Oggi, per descriversi, usa una parola semplice ma che racchiude un mondo di cose e di significati: “Sono felice”.

Un percorso a ostacoli 

Non è la classica storia di bene e di male, di discesa e risalita, di sprofondamento negli inferi della droga e poi di redenzione, quella di Andrea Giorgetti, 50 anni, responsabile della fraternità Buon Samaritano della Comunità Cenacolo, che ieri il Papa ha visitato recandosi nella struttura alla periferia di Roma. È la storia di un uomo che è stato toccato nell’intimo da Dio e che, attraverso la fede, declinata in azioni concrete come il pregare (e pregare tanto, anche tre Rosari al giorno) o aprirsi con fiducia al prossimo, ha superato diversi ostacoli: la dipendenza, la menzogna, l’inconcludenza, gli istinti suicidi, la solitudine e una “depressione sparata”.

“Dai, ce la puoi fare”

Andrea è un uomo gentile. “Prima ero un pazzo scatenato”, racconta. Non lo si direbbe vedendolo compiere quei piccoli gesti di generosità verso chiunque approdi in quest’oasi verde della campagna romana, come il preparare il caffè o accogliere le persone al cancello e riaccompagnarle fino alla macchina per l’uscita. “Ho imparato che le cose vanno fatte dalla A alla Z, a fare tutto fino in fondo perché prima con la cocaina non riuscivo a concludere nulla”. Toscano, ex imprenditore finito sul lastrico, con due aziende fallite, è approdato una ventina d’anni fa nella Comunità fondata da madre Elvira Petrozzi nel 1983 per dare rifugio, ascolto, accompagnamento a chi – come lui – si trovava invischiato in situazioni di disagio fisico e spirituale. “Sono arrivato in questo posto e non mi sono sentito giudicato, mi hanno solo abbracciato e detto: ‘Dai, che ce la puoi fare anche te’”, spiega a Vatican News.

Il dono dei figli

E ce l’ha fatta, Andrea. È dimagrito di quasi 20 kg e nella fraternità ha incontrato la attuale moglie, Antonia, anche lei ex tossicodipendente, con la quale ha formato una famiglia. È quando parla dei suoi due figli che Andrea si sposta gli occhiali dalla montatura nera per asciugarsi le lacrime: “Sono un dono”. Dono ricevuto tra i 45 e i 50 anni: “Ho fatto tutto un ritardo, ma è davvero un miracolo”. Ieri pomeriggio si è commosso nel vedere i suoi bei bambini, sorridenti e ben vestiti, figli suoi ma anche di tutta la fraternità, accogliere il Papa all’ingresso e dirgli che ogni sera pregano per lui. “Mi viene da piangere quando racconto che posso andare a letto e stare con loro, sentirmi chiamare babbo a quest’età… A volte non mi rendo conto di che miracolo sia. Soprattutto è un miracolo che vado a dormire con la coscienza pulita, non l’ho avuta per anni. Trascorrevo le notti nel male, nella menzogna, nelle schifezze”.

Aiuto e provvidenza

Dopo il percorso vissuto nel Cenacolo con la moglie, Andrea ha deciso di rimanere nella Comunità per aiutare gli altri. Lui però non parla di aiuto ma di “donarsi”: “Abbiamo deciso di donarci per un periodo, non so se sarà per tutta la vita”. “Con gioia” dice di svolgere questo servizio di responsabili della piccola fraternità Buon Samaritano nata tre anni fa in questa struttura che sembra un collegio ma che profuma di casa, offerta parzialmente (in un’ala chiamata “Secondario”) dalle consacrate laiche del Fraterno Aiuto Cristiano – FAC, divenute anziane e sempre meno a causa della crisi vocazionale. “Si è stabilito un rapporto quasi familiare, sono come delle nonne, delle zie, delle mamme per tutti i ragazzi che vengono qui. A pranzo cuciniamo anche per loro perché da sole non riescono”.

Si cucina quello che capita, o meglio, quello che si riceve grazie alla provvidenza. Tra i maggiori sostenitori della Comunità, racconta Giorgetti, c’è il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski che dona alla Buon Samaritano pacchi di cibo e di beni necessari: “Proprio sabato è venuto con un furgone nero targato SCV. Ha scaricato pacchi di salame, prosciutto, prodotti per l’igiene. C’è un’amicizia vera e, tramite questi gesti, vediamo davvero la madre Chiesa che ci vuol bene”.

Un programma per fare ordine 

Il pranzo fa parte di un preciso programma che ospiti e operatori della Comunità seguono ogni giorno, mirato a mettere ordine in vite prima perse nel caos più totale. Andrea racconta la sua giornata tipo: “La mattina ci svegliamo alle 6 e la prima cosa da fare è pregare. È una ‘regola’ nata da un’esperienza di madre Elvira con un ragazzo in crisi, incontrato una mattina alle 5.30, che voleva scappare per drogarsi e che invece, rimanendo mezz’oretta con lei in cappella, si è rilassato e tranquillizzato. Le disse che tutti, dopo certe nottate terribili, dovevano svegliarsi e fare questo. E così noi ogni mattina ci alziamo e andiamo a ringraziare, recitando un Rosario”. C’è poi la colazione, seguita dai lavori di ogni tipo: muratura, ristrutturazione, abbellimento della casa. “Perché com’è la casa, stiamo noi. Madre Elvira quando veniva a trovarci guardava i fiori: se erano morti, vuol dire che anche noi lo eravamo”. La giornata prosegue ancora con preghiere e momenti di fraternità e condivisione “per raccontarsi le rabbie e i giudizi”, a cui seguono anche serate di allegria con spettacoli o la pizza. “Noi qui accogliamo tutti, senza chiedere soldi o credenziali. E a tutti quelli che vengono qui – soprattutto tossici e alcolizzati – proponiamo lo stesso stile di vita. Una vita semplice, in cui è la preghiera la ricchezza. Non siamo un ospedale che togliamo via la cocaina o l’alcol dalla vita della gente, ognuno ha la sua terapia e i suoi problemi. Noi facciamo anche dei colloqui, non sbattiamo subito in faccia una realtà, la nostra è una proposta”. E la proposta consiste nell’incontrare Dio: “Si può anche smettere con le sostanze, ma non serve a nulla se non si conosce questo amore. Qua facciamo tanto lavoro di amore per gli ultimi…”.

Felice

“Io – dice Andrea – penso di averlo conosciuto Dio e di aver imparato a portare la croce con dignità. Vorrei che questo accadesse anche ad altri. Io sto in questi 1000 mq ventiquattr’ore su ventiquattro, non mi muovo mai. Non è che se mi arriva un ragazzo che sta male, alle 18 stacco… Spero che tutti, come me, vedano che è possibile salvarsi la vita. Io qui ho visto tanti miracoli: non parlo di ciechi che rivedono o di uno che si alza dalla sedia a rotelle, ma ho visto tanti disperati che piano piano, con una pacca sulla spalla, un sorriso o una semplice preghiera, vanno avanti. Sono vivi, hanno creato famiglie e fatto cose belle, ma soprattutto hanno voglia di vivere. Io non ce l’avevo, ora sì. Prima ero ricco fuori e povero dentro, oggi sono povero fuori e, spero ricco dentro, ma soprattutto… sono felice”.