Chiesa Cattolica – Italiana

Moraglia, Festa del Redentore: creiamo legami per ricostruire la concordia

Nello scorso fine settimana a Venezia è tornata una delle ricorrenze tra le più sentite in città assieme a quella della Madonna della Salute del 21 novembre. Migliaia di fedeli hanno rinnovato l’antico voto risalente ai tempi della Serenissima per la liberazione della peste con un pellegrinaggio alla basilica del Palladio, sull’isola della Giudecca

Alvise Sperandio – Venezia

“A Te, Santissimo Redentore, vogliamo affidare oggi non solo la nostra città, desiderosa di pace e da sempre luogo d’incontro, ma anche la nostra Europa affinché esprima ancora e di nuovo quella cultura e quella spiritualità che le sue radici cristiane le hanno dato e che l’hanno resa un continente capace di creare ponti tra persone e popoli differenti, relazioni buone e vere, in grado – come la storia insegna – di creare legami stabilendo unità e concordia che oggi paiono smarrite”. È uno dei passaggi più significativi della preghiera di affidamento che il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, ha pronunciato venerdì scorso davanti al Santissimo Sacramento esposto sull’altare, in occasione dell’avvio della festa del Redentore che, come ogni terza domenica di luglio, anche quest’anno ha attirato migliaia di persone in preghiera nella chiesa progettata da Andrea Palladio nell’isola della Giudecca e affidata alla cura pastorale dei frati cappuccini. Venezia ancora una volta ha rinnovato l’antico voto per la liberazione della peste che, all’epoca della Serenissima, negli anni 1575-77, decimò di oltre un terzo la popolazione. L’ha fatto, come di consueto, attraversando il ponte votivo galleggiante lungo 334 metri che ha collegato la fondamenta delle Zattere con il piazzale della basilica: un via vai continuo di fedeli da venerdì a ieri sera hanno gremito il tempio.

Il ponte votivo e l’appello per la pace nel mondo

Il fine settimana di festa si era aperto venerdì sera con l’inaugurazione del ponte votivo, presente il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, il sindaco Luigi Brugnaro, autorità civili, militari e religiose. Giunti in basilica, monsignor Moraglia ha così pregato: “Anche noi oggi sentiamo il bisogno di rivolgerci a Te, nostro Redentore, con la forza della preghiera. Il nostro pellegrinare verso questo santuario, così caro per noi veneziani, si è fatto carico di pensieri e preoccupazioni che affliggono il nostro cuore e toccano la vita del nostro Paese, dell’Europa, del mondo intero. Viviamo – ha detto il presule – “un tempo di guerra, conclamata” in molte parti del mondo ma anche “sotterranea” e che sembra “preparare scenari più allargati e tristi”. Forte si è alzata la richiesta di pace: “Santissimo Redentore, che sei dono di Amore e Verità per tutti, ispira pensieri ed azioni di pace, fa’ emergere il coraggio della verità e progetti sapienti e lungimiranti, in grado di favorire la riconciliazione e ritrovare la fraternità. Da Venezia – “terra che fa fratelli”, “fratelli tutti”, per citare le parole del Santo Padre Francesco risuonate lo scorso 28 aprile in piazza San Marco – si elevi dunque innanzitutto questa invocazione di pace da accompagnare con la richiesta del discernimento, dono dello Spirito del Risorto, per far crescere frutti di bene e saper riconoscere con decisione le vie da seguire”.

“La Chiesa è la relazione vivente con Cristo”

Ieri sera il patriarca Moraglia ha celebrato la Messa solenne a cui hanno partecipato le autorità cittadine, il capitolo metropolitano, le nove congregazioni del clero veneziano, le scuole grandi, gli ordini e le comunità religiose veneziane. “La festa del Redentore – ha affermato nell’omelia – ci conduce al cuore della fede cristiana: noi siamo dei salvati, dei perdonati, dei riconciliati. Il Redentore indica come Gesù si china su di noi, sulle nostre ferite e quelle delle nostre comunità”. Ha proseguito: “Il nostro incontro con Cristo – il Redentore che perdona e chiede alla Chiesa d’esser portatrice di perdono e riconciliazione – avviene nella Parola e nei sacramenti; la Chiesa è proprio tale relazione vivente con Cristo”. Monsignor Moraglia ha anche ricordato le parole di Papa Francesco alla Messa finale della recente Settimana sociale dei cattolici, lo scorso 7 luglio in piazza Unità d’Italia a Trieste, soffermandosi sul concetto di amore politico: “La carità e la speranza del cristiano sono originate dalla fede, dal sì di Cristo al Padre, che consente di costituire un’umanità nuova e quell’amore “politico” di cui ha parlato Papa Francesco a Trieste quando ha sollecitato i cattolici a non trincerarsi in ”una fede marginale, o privata” ma di appassionarsi al bene comune e puntare tutto su quell’amore “che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni”. Al termine della celebrazione Moraglia è uscito sul sagrato a impartire la benedizione eucaristica sulla città.

Una festa che si rinnova da 450 anni

Il Redentore è tra le festività popolari più sentite e attese dai veneziani, che ogni anno la terza domenica di luglio, da 450 anni, rinnovano l’antico voto per la liberazione della peste. Davanti alla morte di quasi 50 mila persone, il Senato veneto, il 4 settembre 1576, deliberò che il doge Alvise I Mocenigo dovesse pronunciare per tutti il voto di erigere una chiesa dedicata al Signore Gesù Cristo invocato con il titolo di Santissimo Redentore, affinché liberasse la città dalla pestilenza. Ogni anno, secondo tale promessa, la città avrebbe reso onore a Cristo nella basilica votiva che si sarebbe costruita, nell’anniversario del giorno in cui fosse stata dichiarata libera dal contagio. Cosa che accade il 13 luglio 1577 quando si decise di festeggiare la liberazione dalla peste la terza domenica del mese di luglio, con una celebrazione religiosa e una festa popolare. A tal scopo fu fatto edificare, su progetto di Andrea Palladio, il tempio votivo che si trova alla Giudecca. Nella festa del Redentore convivono l’aspetto religioso e quello popolare, tra tradizioni gastronomiche, folklore e i fuochi d’artificio il sabato sera, nella cosiddetta “Notte famosissima”, con giochi di luce e di riflessi sul palcoscenico del bacino di San Marco. Quest’anno vi hanno assistito oltre 100 mila spettatori: oltre 28mila in barca, 42mila nelle rive di San Marco, riva degli Schiavoni, Giudecca, isola di San Giorgio, Zattere e Punta della Dogana, altri 30mila dalle proprie abitazioni. Lo spettacolo pirotecnico è stato dedicato alle celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Marco Polo, il leggendario viaggiatore veneziano autore de “Il Milione”. La festa è stata vissuta in un rito collettivo dall’acqua e da terra: chi in barca, chi lungo le rive, chi da terrazze e altane, per rivivere assieme una tradizione tutta veneziana e godere di un caleidoscopio di colori che si è stagliato dietro le guglie, le cupole e i campanili della città. Immancabili le lunghe tavolate allestite alla Giudecca, in un tripudio di palloncini, luci e addobbi, mentre i veneziani hanno preparato le pietanze tipiche della ricorrenza.

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