Il vescovo ausiliare della diocesi di Kyiv-Zhytomyr guarda alla seconda Pasqua segnata dal conflitto con la speranza della pace: “La maggior parte delle persone, credenti e non, sentono che con l’aiuto di Dio questa guerra finirà”
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
Poco più di un anno di guerra e due celebrazioni pasquali vissute sotto assedio. I fedeli cattolici di rito latino dell’Ucraina celebrano la Risurrezione del Signore guardando alla rinascita, alla fine della paura e delle lacrime. Nonostante le bombe non abbiano cessato di cadere, nonostante il timore della morte accompagni ancora la quotidianità di tutti, si rafforza la speranza che si possa presto arrivare alla fine dell’invasione russa. “Quest’anno è diverso”, conferma a Vatican News monsignor Oleksandr Yazlovetskiy, vescovo ausiliare della diocesi di Kyiv-Zhytomyr, che spiega come siano “i giovani a spingere a gioire e a credere nella pace”:
Eccellenza, questa è già la seconda Pasqua che l’Ucraina vive in guerra. Che significato assume la festività in questo contesto?
Sicuramente questa Pasqua, anche se vissuta di nuovo durante la guerra, è un po’ diversa dalla Pasqua precedente, perché adesso abbiamo la speranza e la fede che, con l’aiuto di Dio, il conflitto possa finire. Ricordo che lo scorso anno abbiamo festeggiato, anche se comunque con la gioia della Risurrezione di Cristo, però anche con tanta tristezza, perché non sapevamo cosa sarebbe successo nel nostro Paese, ci chiedevamo come andare avanti, se saremmo riusciti ad esistere ancora come popolo. Abbiamo sentito una grande paura. Adesso è un po’ diverso. Credo che la maggior parte degli ucraini, credenti e non, sentono comunque che con l’aiuto di Dio questa guerra finirà. E perciò anche la Pasqua quest’anno è un po’ diversa: la gioia è più forte perché la gioia dipende prima di tutto dalla Risurrezione di Cristo, ma anche dalle circostanze che ci aiutano a sentirla meglio.
Le prime parole che Gesù ha rivolto ai suoi discepoli dopo la Risurrezione sono state “Pace a voi”. Secondo lei, che significato avrebbero se Cristo le pronunciasse adesso in Ucraina?
Sappiamo che quando uno è giovane non apprezza tanto la salute, perché la possiede, e sappiamo anche che quando questo giovane diventa anziano capisce che la salute è stata una bella grazia e si dispiace per non averla apprezzata abbastanza. Così è anche con la pace. Penso che per tutti i popoli, non solo per l’Ucraina, perché ci sono diversi Paesi che soffrono come noi, questa parola abbia un grande valore. Per noi non significa solo l’assenza della guerra, perché abbiamo capito che anche senza sparare, anche senza la guerra vera e propria, non è che la pace prima la possedevamo. Certo, per noi cristiani la pace sarebbe avere il Cristo come proprio Re, però per raggiungere questo dobbiamo ancora pregare.
Che cosa può dire dei giovani in Ucraina? Qual è la fonte della speranza per i ragazzi?
Sappiamo che di solito gli anziani sono più silenziosi perché hanno una certa esperienza, hanno vissuto i tempi buoni e cattivi. E quando si parla della vittoria, della pace, loro pregano e stanno nel silenzio, sperano, ma sono silenziosi. I giovani, invece, ci spingono a gioire, ma anche a credere in questa pace, basta incontrarli anche qui a Kyiv, basta parlare con loro e ci danno la speranza, con sorrisi e parole di conforto, l’uno verso l’altro. Quando ci salutano, dicono “Vinciamo”, “Ti auguro la pace!” “Speriamo di vederci quando la guerra finirà”. Perciò i nostri giovani sono per noi un motivo davvero di conforto, di aiuto, perché loro credono nella pace. Io vorrei dire che i nostri giovani aspettano anche la visita di Papa Francesco, noi tutti preghiamo per la sua salute, preghiamo per lui e speriamo di vederlo un giorno qui con grande gioia.
Com’è cambiato il modo di svolgere il suo servizio vescovile durante quest’anno? Cosa ha imparato in questo periodo?
Ho imparato tante cose. Per esempio, ho imparato come si accende e si spegne un generatore, o cosa significa avere un power bank, non quello piccolo per il cellulare, ma uno grande, capace di garantire un giorno di elettricità in un appartamento. A parte gli scherzi, questo periodo è stato difficile per tutti noi ma, con l’aiuto di Dio, abbiamo imparato tante cose. A me personalmente ha aiutato anche il fatto che dal dicembre scorso sono diventato presidente di “Caritas-Spes Ucraina”. Qui abbiamo due Caritas: “Caritas Ucraina” della Chiesa greco-cattolica, e “Caritas-Spes Ucraina” della Chiesa romano-cattolica, entrambe stanno realizzando tantissimi progetti. E qui sto imparando a fare le opere di misericordia verso i bisognosi. Papa Francesco parla molto della piaga del clericalismo, io penso che, certamente, in ogni Chiesa vi sono queste macchie di clericalismo, più grandi o più piccole, e anche noi non siamo liberi da questo, ma con la guerra tanti nostri sacerdoti, ed anche io stesso, abbiamo imparato ad essere vicini alla gente, ad uscire, a stare con loro, a chiedere di organizzare qualcosa insieme a loro, con i parrocchiani, perché il sacerdote non può fare nulla da solo. Perciò, per tanti dei nostri sacerdoti e anche vescovi è come se avessero ripreso fiato. Si sente una grande solidarietà, si fanno tanti progetti, tanti benefattori chiamano dall’estero perché vogliono aiutare o perché stanno per arrivare per incontrarci. Abbiamo imparato anche a sperimentare, ad accettare la misericordia degli altri, perché anche questo bisogna imparare. Mi ricordo che una volta, quando ero ancora seminarista in Polonia, mi hanno mandato a fare la raccolta delle offerte durante la Messa, mi sono vergognato talmente da diventare rosso. Mi sentivo umiliato, anche se non chiedevo l’elemosina per me, ma la Chiesa, per la parrocchia. Quindi, bisogna imparare anche a riceverlo l’aiuto. Noi siamo stati umiliati con questa guerra, ma abbiamo sperimentato una grande misericordia. Allo stesso tempo abbiamo imparato anche a fare opere di misericordia per gli altri. La guerra ti aiuta ad essere o un grande peccatore o un grande santo. Sono due cose estreme, ci sono solo due possibilità.
Quello che racconta, credo possa essere visto anche come un grande segno di speranza…
Certo, stiamo imparando tante cose: stiamo imparando ad essere cristiani anche senza nominarci cristiani. In guerra, se vuoi essere una brava persona, se vuoi aiutare gli altri, essere solidale con gli altri e se vuoi lavorare per avvicinare questa pace, devi comportarti come un cristiano, perché altrimenti dove andiamo?
Dopo la Risurrezione, Gesù compare ai suoi discepoli con le ferite. Cosa ci insegna questo nel contesto della guerra?
Guardando le ferite di Cristo e il suo corpo, durante il Venerdì Santo, sentiamo una grande compassione. Di solito è Dio a sentire la compassione verso di noi, in quel giorno siamo noi a sentirla verso Dio che ha pagato un grande prezzo per salvarci. Noi ucraini possiamo vedere queste ferite di Cristo anche nel nostro Paese, sappiamo che Cristo si identifica con le persone che soffrono e noi è da tutto un anno che abbiamo queste ferite aperte. Io sono grato a tutti coloro che sono sensibili alla sofferenza di Cristo, mentre guardano la croce in questi giorni o durante l’anno, e capiscono che Cristo è presente nelle persone che soffrono, nei popoli che soffrono, e non parlo solo degli ucraini. Vedo tanti che vogliono portare aiuti, che vogliono sostenerci con la preghiera, con parole di conforto. E noi percepiamo questa compassione verso noi e siamo molto grati a tutti coloro che vedono Cristo sofferente anche nel nostro Paese, che vedono queste ferite nelle nostre città e nei nostri paesi distrutti, in tanta gente e nei tanti militari che sono morti.