Chiesa Cattolica – Italiana

Monsignor Gambelli: il carcere è una delle periferie umane che la Chiesa ha nel cuore

Il neo arcivescovo di Firenze fino alla sua nomina a presule, avvenuta l’aprile scorso, è stato cappellano della casa circondariale di Sollicciano. Prima ancora di questo incarico, ha trascorso sette anni in Ciad come missionario “fidei donum” dell’arcidiocesi fiorentina

Roberta Barbi – Città del Vaticano

Le prime parole sono state per loro, i detenuti di Sollicciano in mezzo ai quali ha trascorso questo ultimo anno pastorale e ai quali ha promesso che andrà comunque a visitarli, ogni volta che potrà. Monsignor Gherardo Gambelli il 18 aprile scorso è stato nominato nuovo arcivescovo di Firenze e oggi prende possesso del territorio ecclesiale, succedendo al cardinale Giuseppe Betori, dal quale ha raccolto il testimone nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, quando ai cronisti ha parlato ancora una volta di carcere e di pastorale penitenziaria, una “priorità della Chiesa” perché consente davvero di “vivere la fedeltà al Vangelo”. Un concetto semplice che riprende anche nell’intervista con Radio Vaticana – Vatican News: “Anche Papa Francesco desidera attenzione verso le periferie e il carcere è una delle più importanti periferie esistenziali”.

Ascolta l’intervista con don Gherardo Gambelli:

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2024/05/16/12/137950457_F137950457.mp3

Cappellano e vescovo: due figure chiave della Pastorale carceraria

Avendo ricoperto entrambi i ruoli chiave della Pastorale penitenziaria, il neo presule riconosce l’importanza della collaborazione tra queste due figure: “È una vera e propria vicinanza, quella tra cappellano e vescovo, perché il cappellano ha il mandato del vescovo, ma attraverso di lui di tutta la Chiesa. E’ un ruolo – spiega – che coinvolge non solo lo stare accanto ai ristretti, ma anche alle loro famiglie”. “Il Papa afferma che i poveri con le loro sofferenze sono coloro che sono più vicini al Cristo sofferente e la Chiesa mettendo al centro i poveri mette al centro Gesù. Non dimentichiamoci che Gesù – sottolinea monsignor Gambelli – si identificava con i carcerati e non dimentichiamo che il Vangelo ci ricorda che saremo giudicati sulle opere di misericordia. È un cammino che ci rende sinodali: passando dalle periferie ritorniamo al centro, al cuore della Chiesa”.

Il dialogo interreligioso? È fatto di opere

Da cappellano, l’arcivescovo di Firenze ha lavorato spesso accanto all’imam Hamdan Al Zeqri, guida spirituale islamica per i detenuti che a Sollicciano abbracciano questa fede: “La nostra collaborazione è un esempio del dialogo che si fa con le opere, un impegno comune a servizio dei bisognosi”. I due si sono conosciuti perché uno insegnava arabo all’altro, poi, quando si sono ritrovati in carcere è stato naturale condividere: “Lui veniva alla Messa di Natale così – ricorda monsignor Gambelli – io ho iniziato a partecipare ai loro momenti di preghiera e poi insieme abbiamo promosso una riflessione sul Documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana siglato da Papa Francesco e dal grande imam di al Azhar al Tayyib, mettendone in risalto il tema della costruzione della pace”.

Il detenuto povero tra i poveri

Nella bolla di indizione del Giubileo 2025, Spes non confundit, il Papa ha annunciato che aprirà una Porta Santa all’interno di un carcere come invito per i ristretti a guardare al futuro, auspicando che si prendano iniziative volte a ridonare loro la speranza: “Papa Francesco – afferma il neo presule – ha detto una frase decisiva per la pastorale carceraria: ‘Non dimentichiamo i poveri che sono quasi sempre vittime e non colpevoli’. Il carcere è pieno di poveri ed esclusi , se impariamo a vederli così come sono, saremo finalmente illuminati”. In conclusione, don Gherardo, da nuovo vescovo, ha preso un impegno personale nei confronti dei ristretti che riecheggia nelle parole della Lettera agli Ebrei: “Ricordatevi dei carcerati come se foste loro compagni di carcere”. Un impegno che può prendersi anche ognuno di noi come parte della Chiesa, ma in che modo? Risponde monsignor Gambelli: “Le parole sono due che s’incastrano una nell’altra: prevenzione e accoglienza”.

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