Pubblichiamo il testo di mons. Stefano Russo, Segretario Generale della Cei, consegnato alla Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, in occasione dell’incontro “Le realtà ecclesiali, segno di speranza” che si è tenuto online sabato 18 luglio.
*****
Cari amici della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, sono contento di potervi salutare dando avvio a questo momento d’incontro e riflessione. Nella preparazione avete sottolineato la prospettiva con cui guardare a questo appuntamento e da cui ripartire per il futuro: il nostro modo di essere Chiesa. Quale Chiesa, quale fede, quale sinodalità, quale incarnazione nel qui e ora? “Siamo Chiesa in uscita – avete ricordato – e dobbiamo avere il coraggio di sporcarci le mani, perché la società sia sempre più secondo il sogno di Dio”.
Il primo pensiero che vorrei condividere con voi riguarda l’appartenenza. Come rappresentanti delle diverse associazioni che compongono il mosaico della Cnal, avete un denominatore comune: l’appartenenza. Si tratta di quella spinta propulsiva che porta a pronunciare la propria adesione a un progetto ben definito, a un carisma, a una chiamata. E seppure le sfumature o i contorni possono essere diversificati, tutto risponde a un progetto di Chiesa. È questo sguardo che ci permette di essere nel “qui ed ora” della storia. È un contesto che oggi – per la pandemia – parla di sofferenza e di speranza. Ma parla anche di impegno, di adesione – appunto – a un progetto ben definito. Appartenenza non significa esclusione o privilegio né tanto meno privazione o rinuncia, ma ricchezza. “Il modello è il poliedro –afferma Papa Francesco nell’Evangelii gaudium -, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno” (n.236).
All’appartenenza vorrei associare e consegnarvi un secondo pensiero: testimonianza. Ha una radice profonda che indica un impegno non superficiale o di facciata ma radicale, cioè che va all’essenza. Il cristiano è testimone, martire: incarna nella sua vita il Vangelo tanto da essere continuamente parola che si fa carne. Il laicato impegnato, per fede e per scelta, testimonia l’importanza dell’essere. Molto spesso si è portati a legare la testimonianza alle cose da fare, al che cosa. Invece è richiesto uno scatto: concentriamoci sul come. Questo indica l’ampiezza del nostro sguardo. La capacità di vedere lì dove altri non vedono. La capacità d’intrecciare la propria esistenza con la Buona Notizia. La testimonianza è la trasparenza della vita cristiana, cioè di una vita secondo il Vangelo. In questo senso non si decide di diventare testimoni, ma si decide di essere cristiani veri, autentici. E, allora, è per così dire una conseguenza diventare ed essere testimonianza del Vangelo.
I nostri ambiti di vita quotidiani sono molto sensibili a una testimonianza che sia credibile. Guardando Gesù si può cogliere come egli abbia sempre detto ciò che ha pensato e fatto ciò che ha detto. È una condizione di autenticità, di concordanza con se stessi. Ciò permette di affrontare le relazioni quotidiane: terreno nel quale si gioca la nostra testimonianza. E credo che la nostra Chiesa e il mondo che abbiamo davanti hanno bisogno in questo momento soprattutto di autenticità.
Appartenenza, testimonianza e… speranza. A quest’ultima parola – che è al centro di questo incontro – dedico il terzo pensiero, richiamando il ciclo di catechesi tenuto da Papa Francesco nel 2017 alle udienze del mercoledì. In quella tenuta il 21 giugno 2017, così concludeva: “Che il Signore ci dia la grazia di credere così profondamente in Lui da diventare immagine di Cristo per questo mondo. La nostra storia ha bisogno di ‘mistici’: di persone che rifiutano ogni dominio, che aspirano alla carità e alla fraternità. Uomini e donne che vivono accettando anche una porzione di sofferenza, perché si fanno carico della fatica degli altri. Ma senza questi uomini e donne il mondo non avrebbe speranza. Per questo auguro a voi – e auguro anche a me – che il Signore ci doni la speranza di essere santi”.
Da questo punto di vista un segno di speranza per me significativo è la vostra presenza e la vostra volontà di “esserci insieme” con la coscienza dell’appartenenza all’unica Chiesa e con la forza di chi sa che tanto più in questo tempo particolare il segno forte è quello di una testimonianza che ci vede impegnati ad essere costruttori di comunione. Ecco allora che l’auspicio di vivere questo tempo nella direzione della prossimità, della essenzialità, della creatività, come significava la dott. Pievaioli nella lettera dello scorso 24 maggio ai presidenti delle Aggregazioni CNAL e ai segretari delle Consulte del territorio, si fonda su quelle basi solide che fanno si che questi atteggiamenti diano vita ad azioni suscitate dallo Spirito Santo.
Siate, allora, testimoni autentici chiamati alla santità della speranza che scaturisce dal cuore di persone innamorate di Dio consapevoli che non ci si fa santi da soli ma che l’altro mi è necessario tanto più se con me condivide la passione per una Chiesa chiamata ad essere risposta alle attese più profonde delle donne e degli uomini del nostro tempo. È l’augurio che rinnovo a tutti voi e ai membri delle associazioni, aggregazioni, movimenti e gruppi che voi rappresentate. La santità è la nostra vocazione, una santità declinata al plurale.
E grazie per quanto continuate a fare in questo tempo di difficoltà per tutto il Paese.