Mongolia, il Papa: passino le nuvole della guerra, diamoci da fare per un avvenire di pace

Vatican News

Primo discorso pubblico di Francesco a Ulaanbaatar durante l’incontro con autorità e corpo diplomatico nel Palazzo di Stato, preceduto dalla cerimonia di benvenuto ai piedi della statua di Gengis Khan. Il Pontefice esorta il Paese asiatico ad avere “un ruolo importante” per la stabilità nel mondo, poi loda la sua cura dell’ambiente e la determinazione per la deterrenza nucleare. Infine esorta le religioni a operare insieme contro la corruzione che “impoverisce Paesi interi”

Salvatore Cernuzio – Inviato a Ulaanbaatar (Mongolia)

“Passino le nuvole oscure della guerra, vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali!”

Papa Francesco si presenta come “pellegrino di amicizia” che giunge “in punta di piedi” all’ingresso della Mongolia, “maestosa terra” ricca “di storia di cielo” dalla quale lancia un appello universale: “Diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace”.  

Appello che il Papa, nel suo primo discorso pubblico del viaggio – quello alle autorità – accompagna con l’incoraggiamento al Paese, stretto tra Russia e Cina, a rivestire un ruolo cruciale nello scacchiere globale: per la pace, per la cura dell’ambiente, per la deterrenza nucleare.

La Mongolia non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale.

Dopo la giornata di riposo ieri al suo arrivo a Ulaanbaatar, il 43.mo viaggio apostolico entra nel vivo con l’incontro con rappresentanti delle istituzioni e della società civile e il corpo diplomatico. Il primo evento si svolge alle 9 nella Piazza Sükhbaatar di Ulaanbaatar, costruita nel punto dove l’omonimo eroe rivoluzionario dichiarò nel 1921 l’indipendenza dalla Cina. È lì che si svolge la cerimonia di benvenuto, ai piedi della imponente statua del condottiero Chinggis Khaan, a fianco al presidente Ukhnaagiin Khürelsükh e dinanzi a centinaia di militari in piedi in divisa o a cavallo in armatura.

Dietro le transenne, composti e silenziosi, ad eccezione di qualche applauso o coro di “Viva il Papa!”, sono raggruppati gruppi di fedeli venuti dalla Mongolia o in treno, aereo e macchina da Paesi asiatici vicini, inclusa la Cina. C’è don Ambrosio, ad esempio, che accompagna un gruppo di fedeli di Hong Kong; ci sono gruppi con la mascherina che preferiscono non essere ripresi né fotografati; c’è Garamdorj, anziano, buriato che parla solo russo; c’è Cecilia, nome scelto dopo il Battesimo al posto di Uugantsetseg, giovane mongola convertita al cattolicesimo nel 2004. I presenti non sono numerosi ma fortemente partecipativi, e tutti sono a Piazza Sükhbaatar per “mostrare che siamo tutti la stessa Chiesa, che amiamo il Papa, che lui ci ama e ama la Cina”, come riferisce un uomo cinese che preferisce non indicare né il nome né la provenienza.

Assistono alla cerimonia a distanza, guardando al Papa solo in lontananza. Lo incontreranno più da vicino nei prossimi giorni. Francesco prima di giungere in Piazza si reca nel Palazzo di Stato, dove viene accolto dal presidente. Guardia d’Onore, inni, presentazione delle delegazioni, poi gli onori alla statua di Chinggis Khaan. Il Papa, alzatosi dalla sedia a rotelle, rimane in piedi per qualche istante ad ammirare la sontuosa effigie del guerriero, poi si gira e saluta la gente. Nella Gran Ger si svolge invece la visita di cortesia al presidente della Mongolia che si apre con la firma del Libro d’Onore. Nella Sala Ikh Mongol, infine, l’incontro con le autorità.

Seduto su uno scranno in legno, Francesco pronuncia un lungo discorso in italiano in cui si dice anzitutto “onorato” e “felice” di aver viaggiato “verso questa terra affascinante e vasta”. Poi ricorda le relazioni diplomatiche tra Mongolia e Santa Sede e il 30° anniversario, quest’anno della firma di una lettera per rafforzare i rapporti bilaterali, come pure le radici storiche dei reciproci rapporti a cominciare dal 1246, con lo scambio di lettere tra Guyug, il terzo imperatore mongolo, e Papa Innocenzo IV. Una copia autenticata il Pontefice la dona oggi al presidente.

Possa essere segno di un’amicizia che cresce e si rinnova.

Lo sguardo si sposta poi agli spazi immensi delle regioni mongole, dal deserto del Gobi alla steppa, dalle grandi praterie alle foreste di conifere fino alle catene montuose degli Altai e dei Khangai, con le innumerevoli anse dei corsi d’acqua: “Visti dall’alto sembrano decorazioni raffinate su antiche stoffe pregiate”.

Tutto questo è uno specchio della grandezza e della bellezza dell’intero pianeta, chiamato a essere un giardino ospitale.

C’è da imparare, sottolinea il Pontefice, dalla sapienza dalle generazioni di mongoli allevatori e coltivatori, “sempre attenti a non rompere i delicati equilibri dell’ecosistema”. È una sapienza che “ha molto da insegnare a chi oggi non vuole chiudersi nella ricerca di un miope interesse particolare, ma desidera consegnare ai posteri una terra ancora accogliente e feconda”.

Quello che per noi cristiani è il creato, cioè il frutto di un benevolo disegno di Dio, voi ci aiutate a riconoscere e a promuovere con delicatezza e attenzione, contrastando gli effetti della devastazione umana con una cultura della cura e della previdenza, che si riflette in politiche di ecologia responsabile.

Il Papa rinnova quindi l’appello ad un “impegno urgente e non più rimandabile per la tutela del pianeta Terra”. Questa tutela riguarda pure le “grandi sfide globali dello sviluppo e della democrazia”. “La Mongolia di oggi, infatti, con la sua ampia rete di relazioni diplomatiche, la sua attiva adesione alle Nazioni Unite, il suo impegno per i diritti umani e per la pace, riveste un ruolo significativo nel cuore del grande continente asiatico e nello scenario internazionale”, rimarca Francesco, menzionando in proposito la determinazione del Paese centroasiatico “a fermare la proliferazione nucleare e a presentarsi al mondo come Paese senza armi nucleari”. Un provvido elemento, insieme al fatto che la pena capitale non compare più nell’ordinamento giudiziale.

Esemplare è pure la capacità mostrata dagli antenati in Mongolia di “riconoscere le eccellenze dei popoli che componevano l’immenso territorio imperiale e di porle al servizio dello sviluppo comune”. È quella “pax mongolica” che, secondo Francesco, è necessaria al giorno d’oggi.

Sulla stessa scia, Francesco rammenta la “profonda connotazione spirituale” della identità della Mongolia: “È bello” che il Paese “sia un simbolo di libertà religiosa”, dice. E ricorda che è la stessa Costituzione a sancire la libertà di pensiero e religione, frutto al quale la Mongolia – da sempre caratterizzata dal “rispetto” delle tradizioni sacre – è giunta in modo “naturale”. L’ideologia atea ha provato poi ad “estirpare” il senso religioso, ma anche questa fase è stata superata e oggi il popolo si riconosce nel “valore essenziale dell’armonia e della sinergia tra credenti di fedi diverse”, che contribuiscono “al progresso morale e spirituale dei popoli”.

Alla luce di questo il Papa chiede proprio alle religioni di operare insieme per contrastare i pericoli dello “spirito consumistico che oggi, oltre a creare tante ingiustizie, porta a un individualismo dimentico degli altri e delle buone tradizioni ricevute”.

Le religioni quando si rifanno al loro originale patrimonio spirituale e non sono corrotte da devianze settarie, sono a tutti gli effetti sostegni affidabili nella costruzione di società sane e prospere, dove i credenti si spendono affinché la convivenza civile e la progettualità politica siano sempre più al servizio del bene comune, rappresentando anche un argine al pericoloso tarlo della corruzione.

Sì, la corruzione, afferma il Papa, è “a tutti gli effetti una seria minaccia allo sviluppo di qualsiasi gruppo umano, nutrendosi di una mentalità utilitaristica e spregiudicata che impoverisce Paesi interi”. Francesco è perciò contento che la comunità cattolica della Mongolia, per quanto “piccola e discreta”, partecipi “con entusiasmo e impegno al cammino di crescita del Paese, diffondendo la cultura della solidarietà, del rispetto per tutti e del dialogo interreligioso, e spendendosi per la giustizia, la pace e l’armonia sociale”.

Auspico che, grazie a una legislazione lungimirante e attenta alle esigenze concrete, i cattolici locali, aiutati da uomini e donne consacrati necessariamente provenienti per lo più da altri Paesi, possano sempre offrire senza difficoltà alla Mongolia il loro contributo umano e spirituale, a vantaggio di questo popolo.

Da qui l’augurio che il negoziato in corso per un accordo bilaterale tra Mongolia e Santa Sede rappresenti “un canale importante per il raggiungimento di quelle condizioni essenziali per lo svolgimento delle ordinarie attività in cui la Chiesa cattolica è impegnata”: le attività di culto, ma anche le iniziative nei settori di educazione, sanità, assistenza, ricerca e promozione culturale.

Sono certo che anche i cattolici mongoli sono e saranno pronti a dare il proprio apporto alla costruzione di una società prospera e sicura, in dialogo e collaborazione con tutte le componenti che abitano questa grande terra baciata dal cielo.