Monda: il fuoco di un giornale giovane di 160 anni

Vatican News

di ANDREA MONDA

Un mio vecchio e saggio amico ama ripetere un’espressione divenuta comune: un uomo comincia a invecchiare quando invece di guardare avanti, si guarda indietro. Oggi «L’Osservatore Romano» compie 160 anni, una bella cifra, piccola se confrontata con la storia della Chiesa ma grande almeno il doppio rispetto all’età media di un essere umano e attestante una grande tenacia e longevità, rispetto ai tanti quotidiani italiani e stranieri nati prima o insieme alla testata della Santa Sede. È forte quindi la tentazione di voltarsi indietro e ricordare, celebrare questa lunga vicenda giornalistica che attraversa, non da comprimaria, gli ultimi tre secoli della storia dell’umanità in tutto il mondo. La scelta invece è stata quella della “giovinezza”: guardare avanti. Forti, ovviamente, di quella storia che è dietro le nostre spalle ma ancora continua a sviluppare effetti. È una scelta “tradizionale” nel senso che il grande compositore austriaco Gustav Mahler attribuiva alla tradizione: non la venerazione delle ceneri ma la custodia del fuoco. Questo giornale ha un fuoco da portare, che è lo stesso di cui parla Gesù nel Vangelo, quel fuoco che negli ultimi venti secoli ha incendiato e ancora infiamma tutto il mondo lì dove riesce ad arrivare. Ed è qui che si gioca la missione della Chiesa che, lo ha ricordato il Papa di recente, è credibile solo se è libera. È la sfida grande che ogni giorno affronta anche «L’Osservatore Romano».

Dal punto di vista scientifico quello che noi chiamiamo “fuoco” può essere definito “combustione”, che è un processo di trasformazione della materia che cambia, perdendo consistenza ma donando calore ed energia e purificandosi. È quello che accade ogni giorno quando, dal nulla, nasce il giornale che poi al termine della giornata lavorativa viene pubblicato, cioè sparso per il mondo. Oggi più che mai si può dire “sparso” visto l’approdo che il giornale ha fatto nella dimensione digitale che gli permette, in tempo reale, di raggiungere “i confini della terra”. E questo si può dire a testa alta, dato che il nostro è davvero un giornale internazionale, che esce in otto lingue e attraverso le edizioni linguistiche settimanali arriva in tutti i cinque continenti. Internazionale non rende l’idea: L’Osservatore infatti non è italiano, ma romano, cioè cattolico, quindi universale.

Questo giornale ha, oggi, una “giornata” lunga 160 anni ed è vissuto per tutto questo tempo proprio perché è cambiato, trasformandosi continuamente rimanendo, allo stesso tempo, se stesso. Fedeltà e creatività secondo le parole che Papa Francesco ha rivolto alla redazione martedì scorso in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo. Non solo non sono in contrapposizione ma al contrario si alimentano l’una dell’altra: la fedeltà esiste grazie alla creatività e la creatività vive dentro la fedeltà, che è l’unico modo vero di essere creativi.

«L’Osservatore Romano» ha vissuto, cioè è cambiato, passando per le mani di dieci diversi direttori che voglio ringraziare tutti dalla direzione iniziale condivisa di Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia fino a quella del mio diretto predecessore Giovanni Maria Vian: sono stati tutti tedofori che hanno portato questo fuoco, passandosi il testimone e consegnandomelo ormai due anni e mezzo fa. Se il giornale c’è ed è vivo, se io oggi posso lavorare, spero con fedeltà

e creatività, lo si deve a loro e a loro va la mia gratitudine.

Un giornale è un fuoco, o almeno dovrebbe esserlo. Essere cioè un processo, che trasforma le idee che prendono forma al contatto con la realtà, con le notizie, idee che diventano riflessioni e racconti che si offrono ai lettori; nella qualità dei nostri articoli c’è quel calore e quell’energia che, bruciando, doniamo all’ambiente nel quale ci diffondiamo. Se la nostra redazione brucia di un fuoco buono, vivo, allora il calore e l’energia saranno sane, contribuiranno a rigenerare le persone che ci leggeranno. Sin da quella notte in cui l’uomo ha scoperto il fuoco, gli uomini hanno preso l’usanza di raccogliersi attorno alle fiamme che illuminavano la notte buia, riscaldavano l’ambiente freddo, cuocevano il cibo crudo. E nel raccogliersi cominciavano a sedersi attorno al fuoco e a raccontare, raccontarsi. Questo è l’auspicio che, nel momento in cui ogni pomeriggio mandiamo il giornale in stampa, accompagna la diffusione di questo giornale unico, “singolarissimo” come lo ha definito Giovan Battista Montini nella ricorrenza dei cento anni, il 1° luglio del 1961: raggiungere tutto il mondo con una parola che sia davvero “fuoco”, a volte scottante e urticante, ma sempre di incoraggiamento e di fiducia, di accompagnamento e di speranza.

E oggi la parola che, in questo passaggio dei 160 anni, vogliamo diffondere attraverso il nostro giornale, è fratellanza. Non ci siamo inventati nulla: è la prima parola pronunciata da Papa Francesco la sera del 13 marzo 2013 ed è quella che tiene in piedi, insieme all’altra, misericordia, l’intera arcata di questi otto anni di pontificato. Il 4 ottobre scorso abbiamo pubblicato, nel giorno in cui il giornale tornava alla stampa con un nuovo formato e impostazione, il testo dell’enciclica Fratelli tutti.  È un testo potente che scuote le coscienze di un mondo ancora intorpidito, colto di sorpresa e rimasto senza parole dall’irruzione, tragica e violenta, della pandemia. Al mondo ammutolito il Papa propone una parola: fratellanza. Possiamo rimanere umani se ci riscopriamo fratelli. Non si tratta tanto di volerlo quanto piuttosto di riconoscerlo. E in questo il mondo della comunicazione può giocare un ruolo importante, decisivo. Se però sceglierà di inaugurare una stagione di giornalismo di fratellanza: dove fare il giornalista non sia un esercizio di potere ma un servizio, un servizio da offrire all’altro fratello così come è, nella sua concretezza. Raccontando la sua storia per gettare un ponte, tentando di creare le condizioni di una possibile alleanza, senza cercare invece di acuire le ragioni della separatezza e alimentare le contrapposizioni. Per far questo si deve abbandonare la tentazione dell’ideologia, sempre strisciante, che conduce al risultato di piegare la realtà ai nostri pregiudizi e infine ai nostri interessi; per far questo si deve essere come dice il Papa «un giornale vivo, che ci aiuta; per questo non può essere di laboratorio o di scrivania, dev’essere di strada, per prendere la vita e la vita la si prende come viene, non come io vorrei che venisse».

Il Papa ci ha detto che già lo siamo un giornale vivo, incoraggiati dalle sue parole, con questi inserti  speciali che oggi inauguriamo per il 160° anno di vita de «L’Osservatore Romano», vogliamo contagiare della nostra vitalità tutto il mondo e per questo abbiamo chiesto ai direttori di importanti testate italiane e straniere di mettersi in gioco  e riflettere insieme a noi su come dovrebbe essere il giornalismo adeguato alla sfida dell’epoca che viviamo, “un’epoca di cambiamento” come ha spesso ripetuto Francesco, che esige quindi un servizio che sia all’altezza di tale sfida. Noi ci siamo, giovani di 160 anni, siamo vivi e con spirito colmo di gratitudine guardiamo avanti, certi che il futuro è migliore di tutti i nostri passati.