Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Vite intrecciate” a Cristo, quelle dei missionari martiri, in memoria dei quali oggi si celebra oggi la 29.ma Giornata di preghiera e digiuno, nel giorno in cui la Chiesa ricorda sant’ Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo metropolita di San Salvador, che il 24 marzo 1980 venne ucciso mentre celebrava la Messa. Il tema scelto da Missio, la fondazione della Cei che promuove la dimensione missionaria della Chiesa italiana, per la Giornata 2021, si ritrova in pieno nella testimonianza di padre Ezechiele “Lele” Ramin, il 32 enne comboniano di Padova trucidato il 24 luglio 1985 in Brasile, tra Mato Grosso e Rondonia, per aver difeso i “campesinos” e gli indios dai soprusi dei latifondisti, dopo un incontro con i “sem terra” per invitarli al dialogo con i proprietari terrieri.
Padre Lele: nella fratellanza, arrivare alla giustizia per tutti
“Il missionario intreccia la propria vita con Cristo – così Missio motiva la scelta del tema di quest’anno – e da qui parte per tessere nuove fraternità con i popoli e le persone che incontra nel suo ministero al servizio dell’annuncio del Vangelo, una scelta in nome di Cristo che può portare al dono di sé sulla Croce”. E padre Lele, come il giovane martire veniva chiamato dai familiari e dagli amici e oggi dai tanti ultimi dell’Amazzonia che ne invocano la protezione, in un’omelia considerata il suo testamento spirituale, chiama fratelli “in primo luogo gli ultimi, gli scartati” ricorda a Vatican News il postulatore padre Arnaldo Baritussio, che a breve consegnerà, alla Congregazione delle Cause dei Santi, la “posizio” per il riconoscimento del martirio e la beatificazione. “Ma allo stesso tempo si rivolge ai latifondisti, perché voleva che, nella fratellanza, si giungesse alla giustizia per tutti”.
Il postulatore: chiamò “fratelli” anche i suoi assassini
Davanti ai fedeli di Cacoal, “contadini, ma anche latifondisti e poliziotti”, il 17 febbraio 1985, cinque mesi prima di essere ucciso dai fucili degli “jagunços” le guardie armate della fazenda Catuva, padre Lele scandisce: “Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte… Cari fratelli, se la mia vita vi appartiene, vi appartiene anche la mia morte. Fratelli nella buona, fratelli nella cattiva sorte. Ma fratelli! Così dobbiamo imparare ad essere, non in altro modo”. Trentasei anni dopo, Papa Francesco avrebbe scritto l’enciclica Fratelli tutti. “Dice fratelli – sottolinea padre Baritussio – nell’accezione cristiana, nella quale si includono anche coloro che ti perseguitano”.
“Creava comunione e cercava sempre il dialogo”
Per questo il giovane missionario padovano, arrivato a Cacoal solo da pochi mesi, riesce a creare comunione tra i “campesinos” che cercavano una terra da coltivare e gli indios, ormai confinati nelle riserve. “Sapeva includere e cercava sempre il dialogo – ricorda ancora il postulatore – e quando è morto, aveva appena convinto i contadini a non invadere i terreni” che il fazenderos pretendeva fossero suoi, ma a verificare prima se veramente avesse il titolo per reclamare quella proprietà, e poi “rivendicare i loro diritti”. Quattro giorni dopo l’agguato a padre Ramin, all’ Angelus del 28 luglio, san Giovanni Paolo II unì la sua voce a quella dei vescovi brasiliani e italiani, per condannare un “atto di violenza crudele” contro un “testimone della carità di Cristo”, che “dedicava le sue giovanili energie” per aiutare i fedeli “a sconfiggere la povertà e l’ingiustizia, senza violenza, attraverso la via evangelica dell’amore, della pace e del rispetto per la dignità di ogni uomo”.
La lettera di 200 vescovi brasiliani al Papa: Lele è un martire
Ma padre Lele faceva questo non da solo. Il vescovo di Ji-Paranà, il salesiano Antonio Possamai, brasiliano ma di origini venete, aveva già avviato un’ azione pastorale a sostegno degli ultimi. “La scelta di stare accanto ai poveri era già stata fatta dalla sua Chiesa diocesana e da quella brasiliana, anche se non all’unanimità – spiega padre Baritussio – per questo oggi la sua figura parla così forte in Brasile, perché lo riconoscono come una voce della Chiesa”. Nel luglio 2019, alla vigilia del Sinodo sull’Amazzonia, duecento vescovi brasiliani hanno firmato una lettera nella quale chiedono a Papa Francesco di riconoscere il martirio di padre Ramin.
Il fratello Antonio: “con i poveri, nella pastorale diocesana”
Uno dei sei fratelli di Ezechiele, Antonio Ramin, bancario in pensione che oggi aiuta campesinos e indios dell’Amazzonia con l’associazione degli Amici dello Stato di Espiritu Santu, ricorda a Vatican News cosa gli scrisse: “Io in questa Chiesa mi trovo molto bene, perché ha fatto una scelta di campo ben precisa. Non invento niente, sto all’interno della pastorale diocesana”. “Di suo ci metteva l’approfondimento della realtà, con la conoscenza dei documenti – aggiunge – Per cui riusciva a parlare sia per radio, sia nelle omelie soprattutto, e nel dialogo con le persone, quando quotidianamente andava all’interno delle comunità ecclesiali di base”.
“Da una carità evangelica, l’imperativo della giustizia”
Nella stessa omelia del 17 febbraio, padre Ramin aggiunge: “Le aree libere del nostro Stato di Rondônia, cioè la terra di nessuno, appartengono ai nostri fratelli senza terra, e non ai fazenderos avidi. No, perché non è questa la giustizia…”. Queste sue parole, da qualcuno, sono state considerate un atto politico, più che religioso. “Ma la sua è carità fondata sul Vangelo, dalla quale nasce l’imperativo della giustizia – chiarisce padre Baritussio – una prassi d’amore, un orizzonte di fede con conseguenze socio-politiche di cambiamento”.
Padre Munari: “Comunista? No, innamorato di Cristo”
Affrontiamo la questione anche con padre Giovanni Munari, già provinciale dei comboniani in Brasile e in Italia, nato poco prima di Ezechiele, sempre nel padovano, e che con lui ha condiviso l’amicizia e gli anni della formazione alla missione. Un prete comunista? “Macché, un comunista non si fa prete e nemmeno missionario – ci dice – Lele era innamorato di Cristo e del suo Vangelo” ma anche dei valori della pace, la non violenza e la fraternità universale, “che ha vissuto intensamente, come tutta la sua breve vita”. E’ il Vangelo che ci ricorda, prosegue “che se vedi uno steso lungo la strada e tiri dritto, non serve a nulla la fede che hai”. E sul Buon samaritano, sottolinea la Chiesa brasiliana ha riflettuto molto, in quegli anni. “Si diceva che non c’era una persona, ma un popolo che era stato derubato, picchiato a sangue e abbandonato quasi morto lungo la strada”. In questa luce, di Vangelo, “si capisce la situazione degli indios, o dei contadini di Rondonia in quegli anni”.
Fides: nel 2020 uccisi 20 missionari, 8 solo in America
In occasione della Giornata in memoria dei missionari martiri, rileggiamo anche gli ultimi dati raccolti dall’Agenzia Fides. Nel 2020, nel mondo, sono stati uccisi 20 missionari: 8 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 2 seminaristi, 6 laici. In cima alla drammatica classifica proprio l’America di padre Lele con 8 missionari uccisi. Negli ultimi 20 anni, dal 2000 al 2020, sono stati uccisi nel mondo 535 operatori pastorali, di cui 5 vescovi. “La Chiesa ha sempre venerato i martiri non per pietà cioè come dire poverini, sono morti innocenti – spiega padre Munari – ma perché sono una spina nel fianco, che attraversa i tempi, e ricorda che non è vero che i soldi comprino chiunque o permettano sempre qualsiasi cosa. I martiri, come Gesù, sono più forti di coloro che li hanno inchiodati alla croce”.
Padre Munari: “32 anni vissuti con un’intensità straordinaria”
All’amico e quasi coetaneo comboniano di padre Ramin, oggi 70 enne, chiediamo innanzitutto un ricordo di quali anni di studio insieme, e della “sofferenza spirituale” provata dal giovane Ezechiele prima dei voti perpetui e dell’ordinazione, nel 1980, sintetizzata nella preghiera di ringraziamento: “Signore, mi hai provato molto, però non mi è mai mancata la tua tenerezza e il tuo aiuto”.
R. – Sono stato per diversi anni compagno di scuola e quindi anche amico, credo, di Lele. Ricordo che molte cose anche nostre, personali, le abbiamo condivise in tanti anni passati insieme e quindi mi sento di rispondere prendendo veramente da lui. Lele era un giovane entusiasta come la maggior parte di noi. Ricordo che erano gli anni Settanta del secolo scorso, un tempo in cui i giovani furono protagonisti di cose molto importanti e coltivarono anche grandi ideali, come la pace, la non violenza, la fraternità universale. Lele queste cose le ha vissute intensamente, direi da innamorato. Riguardo alle prove di cui ha parlato nell’ordinazione, io so certamente che si riferiva alla tragica morte di un fratello avvenuta qualche anno prima, in un grave incidente stradale. Ma poi era la difficoltà di rendere comprensibili un po’ le nostre provocazioni, in un’epoca di grandi trasformazioni. Io credo che questo ha sempre creato dei problemi tra noi e chi ci accompagnava come formatore.
Padre Lele era un prete comunista o solo un missionario che credeva che la Chiesa davanti alle ingiustizie sociali dovesse schierarsi a difesa degli ultimi e delle vittime?
R. – Ma che comunista! Uno che ha ideali comunisti non si fa prete… Per fare il prete e soprattutto il missionario bisogne essere innamorati di altre cose, cioè di Cristo e del suo Vangelo. E’ la che si trova l’ispirazione per le scelte importanti. E’ il Vangelo a ricordare che se vedi uno steso lungo la strada e tiri dritto, non serve a nulla la fede che hai. Cito proprio questa pagina del Vangelo, quella del Buon Samaritano, perché fu una pagina centrale, che la Chiesa brasiliana rifletté molto in quegli anni. Si diceva che qui non avevamo una persona, ma un popolo che era stato derubato, picchiato a sangue e abbandonato quasi morto lungo la strada. Ecco da dove veniva la luce per capire la situazione degli indios, o dei contadini di Rondonia in quegli anni o di tante altre categorie sociali alle quali noi nella nostra vita ci siamo dedicati.